Calamandrei e la farfalla di Piero Calamandrei

Calamandrei e la farfalla Il giurista che amava la natura Calamandrei e la farfalla ROMA. Piero Calamandrei, il giurista-letterato morto 26 anni fa, viene ricordato oggi all'Accademia dei Lincei. Fra i relatori Galante Garrone, Luti, Barile. Norberto Bobbio parlerà di «Calamandrei uomo». Pubblichiamo in anteprima la parte finale del suo intervento. RILEGGENDO le opere letterarie di Calamandrei, con l'aiuto di coloro che le hanno commenta— te, l'esistenza di un contrasto tra il mondo antagonistico della storia e il mondo rassicurante della natura mi è sembrato sempre più chiaro: un contrasto che è anche una chiave di spiegazione di quella che è sempre apparsa una certa divergenza, difficile da conciliare, tra il giurista, il moralista, l'uomo politico, da un lato, e il letterato dall'altro. L'autore dell'Inventario della casa di campagna cerca nell'osservazione della natura quella regolarità che non trova nella partecipazione attiva alla creazione della storia, il ritorno del sempre eguale, le ore, i giorni e le stagioni, il prevedibile di contro all'imprevedibile, la quiete di un ordine meccanico di contro al tumulto delle passioni. Il ritorno alla natura, che è insieme con l'evocazione del mondo dell'infanzia tanta parte del Calamandrei letterato, rappresenta il desiderio di cercare un rifugio e, se non un rifugio, una sosta, nelle lotte quotidiane. Scrive Giorgio Luti: «Gli affetti familiari e l'amore per la natura trascorrono nella prosa autobiografica dell'Inventario con una forza ideale che sopravanza le vicende pur tragiche della dittatura e della guerra». Una citazione tra mille, che traggo dallo stesso articolo: <'La felicità delle farfalle (sta nel fatto che) possono dedicare al canto tutta la loro breve vita, senza distrarsi nelle rivoluzioni... Sono ormai in quanto a politica, al di là del progresso: si sono liberate in eterno da questa ansiosa febbre di crescenza che gli uomini chiamano storia». La farfalla è un simbolo della bellezza, dell'incanto, della fantasia leggera, dell'agire disinteressato, e insieme del monotono riprodursi a ogni stagione del mondo naturale. Questo tema della farfalla è stato svolto in modo impareggiabile da Carlo Cordié in un bel saggio intitolato Piero Calamandrei e la farfalla del Poveromo (1988), in cui, attraverso una lettura minuziosa degli scritti di lui, riporta e commenta i moltissimi passi in cui incredibilmente ritorna il tema della farfalla. Il saggio comincia così: «Nell'eterna varietà delle stagioni, il fiorentino Calamandrei, di antico ceppo senese, e, a maggiore ragione, tutto abbandonato ai vivi colori della natura, ha considerato, sin dalla prima infanzia, l'immutabilità del mondo: l'operosità degli Etruschi e il concetto della dignità della vita dei Greci, rinvigorita dalle meditazioni del Rinascimento, spingono a meditare sui misteri della eterna vicenda delle cose. A tutte sovrasta la Natura: alla quale, leonardescamente, si comanda solo obbedendo alle sue leggi» (p. IH). Cordié prende lo spunto dalla commemorazione di Calamandrei, tenuta a Cuneo il 9 marzo 1957 da Filippo Sacchi il quale scrive tra l'altro: «Mentre, appoggiato allo stipite, io guardavo, colgo un dialogo tra due che mi stanno vicino. Uno chiede all'altro piano: "E" vero che gli hanno messo la farfalla nella cas- Piero Calamand ei ( 1889-1956) sa?". "Mah - risponde l'altro -, non so". "Aspetta che lo chieda a..." dice il primo e si rivolge accanto a un terzo. "No - riprende rigirandosi in qua - non l'hanno messa"» (p. 112). Si trattava, spiega Sacchi, della farfalla che appariva regolarmente al tramonto ogni sera sul terrazzo del suo studio e vi restava a lungo quasi a rappresentare il ritmo misterioso di ciò che torna sempre nello stesso luogo. Trovata morta un giorno, la mise tra due vetri, e la teneva sul proprio tavolo. Quando Cordié mi inviò il suo saggio, gli risposi che egli mi aveva fatto capire ciò di cui non mi ero reso mai ben conto, vale a dire che «la farfalla era per Calamandrei il simbolo della libera fantasia, della felicità solitaria e spontanea, della bellezza non artificiale». Oggi aggiungerei che era anche il simbolo di ciò che nel perpetuo fluire delle cose torna continuamente al suo principio. La passione di Calamandrei per il mondo della natura era antica. Gran parte dell'Inventario è fatto di descrizioni di paesaggi, di storie di insetti e di animali. Più volte rievoca con una punta di orgoglio il prodigioso erbario che si era costruito quand'era ragazzo. Gli dedica persino un'ingenua poesia nei Poemetti della bontà: «...l'erbario fatto a quarta ginnasiale / quando, assai più del greco avevo cara / la variopinta Storia Naturale» (p. 117), e «con vascolo e vanghetta all'alba chiara / me ne partivo cacciator non reo / in cerca sol di qualche pianta rara». Il ritorno alla natura è dunque anche un ritorno all'infanzia. Il mito della natura e il mito dell'infanzia si rincorrono l'uno con l'altro. Anche l'infanzia, come la natura, è innocente. Il ritorno alla natura, così come il ritorno all'infanzia, è il ritorno al mondo non contaminato dalle passioni, dagli odi, dal delirio di potenza e di distruzione. Così si può spiegare l'ammirazione che egli ebbe per Pavese, umanamente così diverso, chiuso nella propria solitudine e nella indifferenza assoluta all'azione. Ma furono la nostalgia dell'infanzia e la contemplazione della natura rasserenatrice due temi essenziali anche della poesia dell'autore del Mestiere di vivere. Com'è noto, Calamandrei gli scrisse, dopo aver letto La luna e ifalò, pochi giorni prima del gesto fatale, parlando di «grande arte», di «poesia vera», e commentando: «Gli artisti veri, senza proporselo toccano sempre le ferite della loro società, l'accento occasionale che prende nel loro tempo la eterna pena dell'uomo». La «eterna pena dell'uomo»: breve e felice espressione che serve molto bene a penetrare nel fondo dell'animo di Calamandrei di fronte alla vita. La vita è pena, sofferenza, dolore. Ma di fronte alle inevitabili «ferite della società», l'uomo può trovare il proprio riscatto, o attraverso la poesia, o attraverso la vita morale. Di questa duplice via di salvezza egli ci ha dato un esempio, che noi, venuti dopo, abbiamo il dovere di non lasciar dimenticare. Norberto Bobbio Piero Calamandrei ( 1889-1956)

Luoghi citati: Cuneo, Roma