Addio vecchia Talpa di Pierluigi Battista

Addio vecchia Talpa Chiude il supplemento del «Manifesto» Addio vecchia Talpa In dieci anni, 444 numeri ROMA EN scavato, vecchia Talpa. Dopo dieci anni chiude il supplemento del I Manifesto adibito ogni giovedì a sondare gli abissi profondi dell'attualità. 444 numeri, oltre mille collaboratori, l'inserto monotematico che ogni settimana doveva regalare ai lettori del quotidiano un «punto di vista» sui fatti del mondo cessa di esistere. Se ne va un pezzo del giornalismo culturale di questo decennio, sa crificato l'altare suldell' «accorpamento». Se ne va la vecchia «Talpagiovedì» assieme a quella dei libri programmata il venerdì. E nel piano di ristrutturazione sparisce anche il numero «domenicale» ideato per dotare il quotidiano di un settimanale fatto in casa. Come pure chiudono i bat tenti le pagine di «Tempo e Lavoro». Sin dalla fine di questo mese il direttore del Manifesto Luigi Pintor «accorperà» tutti i suoi supplementi per diventare un giornale più compatto e concentrato. Almeno nelle intenzioni. «Al ristorante nessuno si mangia tutto il menù, ma deve esserci almeno un piatto che l'attira. Così per la Talpa», scrive nell'articolo di commiato l'attuale responsabile del supplemento Marco d'Eramo. A creare quel menù del giovedì è stato, nell'aprile 1982, Michelangelo Notarianni, attuale direttore degli Editori Riuniti. Gianni Riotta, che è oggi inviato a New York per il Corriere della Sera e che di Notarianni è stato il primo successore, racconta che Pintor avrebbe preferito chiamare il supplemento «Giovedì» con esplicita allusione all'indigeno di Robinson Crusoe. Alla fine prevalse il nome concepito da Rossana Rossanda e il 29 aprile 1982 nacque «la Talpa» del giovedì. La testata fu disegnata da Piergiorgio Maoloni. E accanto al titolo il fregio creato da Walt Kelly, un talpino con bastone, sciarpa e Borsalino in testa di nome «Talpìriio de Talpis». Prima Notarianni, poi Riotta, poi Do- menico Starnone, poi Marco Bascetta e infine Marco d'Eramo (con la collaborazione, in successione, di Giuseppina Ciuffreda, Stefania Giorgi e Alessandra Orsi) hanno coordinato gli scavi della Talpa. Il primo numero fu dedicato a un tema molto tradizionale: la de. Ma per rendere appetibile il menù, accanto all'inserto dedicato alla detestata proprietà privata («Uomini e bottegai»), ecco spuntare un numero dedicato ai ristoranti stranieri in Italia, o un fascicolo sulla «biblioteca del pei» alternarsi a un'inchiesta sulle «industrie nuziali». Non mancano i temi più popolari, come il mondo del calcio, magari accompagnati da un titolo volutamente sbarazzino («Che pal¬ la»). Ma a temperare l'eccentricità di una Talpa troppo attratta dai feticci moderni provvedono i fascicoli più consoni alle caratteristiche di un giornale che in fin dei conti continua a chiamarsi «quotidiano comunista»: come quello del 1986 sui «dieci anni di Mao» o come l'impegnativo «Laboratorio Marx» del 1983. In dieci anni la Talpa crea o amplifica polemiche. Quando esplode il caso dei rapporti tra Heidegger e il nazismo, dedica un numero al rapporto tra vita privata dei filosofi e loro produzione teorica. Affiorano i temi sollevati dal «revisionismo» storiografico tedesco e subito la Talpa scava una trincea per opporsi ai tentativi di «relativizzare» l'orrore dell'hitlerismo. Nel 1983, in piena bagarre per il decreto sulla scala mobile, la Talpa fornisce armi teoriche nella guerra santa contro Craxi. Qualche volta si cede alla tentazione del titolo frizzante (come quell'«agit-spot» dedicato al mondo della pubblicità), ma nella titolazione prevale l'allusività solenne e spesso enigmatica. «Sete di nulla e di frusta», e il tema è la creazione dei mostri da sbattere in prima pagina. «Sotto le gallerie del presente» e il tema è se stessi, cioè quelli della Talpa. La ricerca del difficile e dell'oscuro talvolta sfiora la volontà punitiva nei confronti del lettore: come il numero dedicato alla democrazia «quantitativa» infarcito di una sequenza impressionante di numeri accompagnata dall'illustrazione delle più sofisticate teorie matematiche. Ma ora là Talpa se ne va. Lo esige la teoria dell'«accorpamento». Pierluigi Battista Talpinio de Talpis, imbolo creato da Walt Kelly per la «Talpa» un numero aprivata dei fizione teoricasollevati dal riografico tedpa scava una

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