Cancellati gli ergastoli ai killer del boss di Enzo Laganà

Cancellati gli ergastoli ai killer del boss Clamorosa decisione della prima sezione della Cassazione sul delitto che scatenò la guerra di mafia Cancellati gli ergastoli ai killer del boss Carnevale ordina di rifare il processo per l'agguato di Reggio REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Corrado Carnevale, implacabile e incurante delle critiche sempre più forti, ha colpito un'altra volta, annullando sentenze costate anni di indagini. Ieri a subire la sua censura è stato il verdetto che i giudici avevano emesso lo scorso anno nei confronti dei presunti autori dell'omicidio del boss Paolo De Stefano, il capo della mafia locale, ucciso il 13 ottobre 1985 all'inizio di una terribile guerra tra le «famiglie reggine». La prima sezione della Cassazione ha infatti rinviato all'esame della corte d'assise d'appello di Reggio quella parte della sentenza con la quale erano stati condannati all'ergastolo Domenico e Pasquale Condello, Antonino Roda e Giuseppe Saraceno, che dovevano rispondere dell'omicidio del De Stefano e del suo guar¬ daspalle Antonino Pellicano. E' rimasta pressoché invariata - a parte l'annullamento senza il rinvio per favoreggiamento a carico di alcuni imputati - l'impalcatura generale del maxiprocesso che aveva visto per la prima volta alla sbarra una buona fetta della «'ndrangheta» reggina (14 imputati erano stati uccisi durante le varie fasi processuali). La guerra di clan si era scatenata dopo l'attentato contro il boss emergente Antonino Imerti soprannominato «nano feroce». Un'auto imbottita di tritolo era stata fatta saltare a Villa San Giovanni mentre Imerti usciva dalla sua agenzia di assicurazione: il capo se la cavò per miracolo, tre suoi accompagnatori ci rimisero la pelle. Due giorni dopo la prima reazione con l'uccisione di Paolo De Stefano del quale Imerti era stato luogotenente. Da quel giorno le strade di Reggio hanno visto cadere sotto il piombo di killers 300 persone, molte «colpevoli» soltanto di essere parenti o legate ad affiliati delle cosche in guerra. Dopo anni di omertà e silenzio a svelare molti segreti e particolari della guerra tra le bande ci pensò un ragazzo sedicenne, Giuseppe De Carlo, figlio di un costruttore edile, Sebastiano, ucciso in un agguato. Il ragazzo confermò di aver assistito a riunioni ed incontri della malavita assieme al padre che era cognato di Antonino Saraceno (condannato in appello all'ergastolo per l'omicidio De Stefano ma latitante). In appello anche una giovane, Giovanna Zaccone, 25 anni, raccontò quanto aveva appreso durante il periodo di fidanzamento con Bruno Trapani, affiliato alla cosca Imerti. Proprio ricordando queste due testimonianze l'altro ieri in Cassazione il sostituto procuratore generale Sebastiano Suraci aveva insistito sulla conferma del verdetto di appello. «Una volta - ha affermato - si diceva che, per dimostrare che la mafia esisteva o che certe persone erano mafiose, le pietre della strada avrebbero dovuto parlare in un'aula del tribunale, altrimenti non ci sarebbero state prove sufficienti. Ma il miracolo in questo processo è avvenuto. Le pietre della strada, assumendo le sembianze di testimoni, hanno parlato e lo hanno fatto in modo chiaro, tanto da convincere i giudici sia di primo che di secondo grado». In corte d'appello, a Reggio, nessun commento ufficiale, ma la rabbia era evidente. «Certo, qui il lavoro con 10 giudici in meno su 17 in organico non manca, solo di questo è lecito lamentarsi», ha dichiarato a bassa voce uno dei magistrati della corte d'appello. Enzo Laganà

Luoghi citati: Reggio, Reggio Calabria, Villa San Giovanni