Noriega riciclava i dollari dei clan di Francesco La Licata
Noriega riciclava i dollari dei clan Anche avvocati e commercianti nel traffico internazionale: 32 ordini di custodia Noriega riciclava i dollari dei clan Da Palermo ordini per commesse di armi e droga PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Da una piccola pizzeria di via Pitrè, nel cuore del regno di Pippo Calò e della mafia di Palermocentro, ai computers delle banche di Zurigo. Un vorticoso giro di banconote vere e false, di titoli falsificati, assegni in bianco. Una ragnatela che dal piccolo locale di via Pitrè ha portato polizia e carabinieri prima in Germania, poi in Ungheria e in Russia, nuovo paradiso del riciclaggio mafioso. Passando anche per i trafficanti centroamericani, per la Bolivia, per il contrabbando di armi, per i big della finanza collusi con Cosa Nostra ed i signori della droga, gente del calibro del generale Noriega, l'ex dittatore di Panama. Ecco la mafia degli yuppies. Quella che ha diversificato l'attività, allontanandosi dal racket, per prendere dimestichezza coi conti correnti e le commesse via fax. 32 ordini di custodia cautelare: avvocati e commercianti famosi come quel Giacomo Conciauro titolare di una catena di negozi di scarpe, insospettabili operatori economici. L'operazione, da Palermo si estende in Lombardia, a Modena e in Germania. 26 personaggi, rimasti nell'ombra, hanno ricevuto avviso di garanzia e la visita degli investigatori con l'autorizzazione a perquisire: molti sono impiegati di banca, commercialisti e consulenti. Al centro della ragnatela, un ingegnere tedesco che gli «007» descrivono come un genio della finanza. Ulrich Bahl, 43 anni, capace di saltare da un capo all'altro del mondo per trattare, per esempio, col cognato di Noriega, o per organizzare la fornitura di una partita di armi, spendendo il nome di Licio Gelli, ex venerabile della P2, nei confronti degli «amici siciliani». Parlando al telefono con un boss dice: «La saluta tanto il signor Licio Gelli». Attorno a lui, alcuni palermitani esponenti della mafia, come Giovanni Lo Cascio o Tanino Troia, nipote del defunto boss di Pallavicino, Don Saro Riccobono. E accanto a lui, inseparabile, la giovane Silvia Hartweger, fidanzata e complice. Ora sono entrambi in carcere, in Arizona, accusati di avere cercato di introdurre in Germania dollari falsi per 2 miliardi di lire. Parte da questa vicenda, l'inchiesta che ha impegnato polizia e carabinieri. Dalla pizzeria di via Pitrè, dove si stampavano le banconote false. Che efficienza, quella dell'ingegner Bahl. Riesce a far entrare in Germania prima 30 mila, poi 60 mila dollari. Non sa, però, di essere già sotto sorveglianza. Così, quando tenta il colpo grosso, il trasporto di 2 milioni di dollari falsi, gli investigatori intervengono. Si alza il velo sulla più grossa centrale di riciclaggio che abbia mai lavorato alle dipendenze della mafia. Si scopre che Bahl si serve di consiglieri siciliani, come gli avvocati Francesco Conti e Vincenzo Di Bella, e che tra i numeri di telefono memorizzati nel suo data-bank figurano quelli di Li- ciò Gelli e di una società che qualcuno ha già segnalato agli uffici dell'alto commissario. Viene alla luce un giro d'affari da far impallidire le più potenti banche del mondo, un business che poggia sulla conoscenza di meccanismi bancari e su una vastissima rete di complicità. L'organizzazione riesce a riciclare assegni rubati e negoziare titoli «trattati» da uno specialista che in gergo chiamano «spinottista». Un tecnico attrezzato per cancellare le scritture di compilazione degli assegni con un'appa- recchiatura laser. L'ingegnere Bahl è di casa a Palermo dal 1985 al 1991. Vola col suo jet e da Zurigo arriva a Mondello: Hotel La Torre. Incontra tanti palermitani. Quelli che erano entrati nell'affare della Bolivia, soprattutto. Un affare da 450 inUiardi in titoli del governo boliviano congelati nelle banche di Zurigo e perciò inutilizzabili. Il tedesco prova a «liberare» quei soldi. L'operazione non va bene. Nel girovagare per l'Euorpa i travellers cheque boliviani, per un miliardo e 150 milioni di pesos, rimangono in Spagna. Un vulcano, quel Bahl. Mentre lotta per sbloccare i «boliviani», si occupa dei dollari falsi e tiene i contatti con una serie di personaggi dediti a tutto: persino alla vendita di uno stock di abiti Valentino e Ferré. E nel dicembre del '90 la polizia riceve notizia che «un'organizzazione criminale facente capo al tedesco Bahl si apprestava a mettere sul mercato 40 milioni di dollari Usa, provento di attività illecite, attraverso un cambio in rubli russi da effettuare in parte a Palermo». Rubli rastrellati al mercato nero in tutta Europa, fatti entrare in Russia e convertiti in conti correnti in oro. Un'operazione che, se fosse andata fino in fondo, avrebbe provocato danni incalcolabili alla precaria economia sovietica. Ora gli investigatori sospettano che dietro quella incetta di rubli vi fossero gli interessi delle famiglie mafiose dei Madonia e Santapaola. Già, la mafia. Interessata soprattutto alle armi. Ed è sempre Bahl che se ne occupa. Salta sul suo LR-35 della «Phoenix Air» e si sposta in Jugoslavia. Siamo all'inizio della crisi serbo-croata: contatta i contrabbandieri di armi. Il telefono lo tradisce. L'operazione prevede l'acquisto in Jugoslavia, il pagamento attraverso i conti aperti anche in Austria. Lo sbarco è previsto in un porto del Nord Italia. Non è una commessa da niente: cento mitragliatori kalashnikov, 200 pistole russe Tokarev, 10 silenziatori, 100 granate, visori notturni, bazooka e munizioni. Tutta roba che al telefono viene indicata coi nomi più bizzarri: «Acciaio russo», «ferri», «tubi della stufa» per riferirsi ai bazooka o l'«ananas» per bombe a mano. Sarà l'inizio della guerra a mandare all'aria i piani. E la polizia a smantellare gran parte dell'organizzazione. Francesco La Licata L'ex dittatore di Panama Manuel Noriega era in affari con la gang del riciclaggio
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