L'impossibilità di essere normali di Lietta Tornabuoni
L'impossibilità di essere normali L'impossibilità di essere normali solito espressioni forti, parole grosse: «Lo Stato c'è e sa essere spietato», garantisce Cossiga negli stessi toni con cui quindici anni fa, quand'era ministro degli Interni, garantiva: «A chi attaccherà lo Stato con le armi, lo Stato risponderà nello stesso modo». Al solito frasi efficaci e ultimative, basta rileggere certi titoli di editoriali dei giornali del marzo-maggio 1978 per constatare la continuità d'una Italia dell'emergenza perenne: «Reagire con forza» («Il Corriere della Sera»); «E' il momento dell'unità per salvare la democrazia», «Non siamo il Libano» («la Repubblica»); «Non farsi dividere», «La democrazia schiaccerà i suoi nemici» («La Stampa»); «Fermezza», «La risposta del Paese» («l'Unità»). Al solito, ricorso ai cittadini: da soli non ce la possiamo fare, ci dovete aiutare tutti, spiate, parlate, denunciate, ribellatevi. Ma se un appello alla legalità e a comportamenti onesti è ovvio e giustissimo, il sogno di trasformare tutti gli italiani in informatori della polizia non sembra granché. A ciascuno il suo. Che gli stessi governanti responsabili di aver consentito alla criminalità di espandersi e radicarsi chiedano adesso alla gente vittima di quella criminalità di difendersi da sola, è un po' come voler far pagare un altro ticket: pure sulla mafia. Al solito, si ricomincia a parlare di leggi speciali, di sospensione dei diritti: mentre tutte le azioni di polizia e carabinieri in Sicilia nell'ultima settimana sembrano dimostrare che le leggi esistenti sono più che sufficienti. Si capisce che, mortificati dalle critiche d'inefficienza, pressati dai governanti presi dall'urgenza di dare un qualche segno positivo prima delle elezioni sempre più rischiosamente vicine, dopo l'uccisione di Salvo Lima polizia, carabinieri e gruppi speciali si siano «attivati»; si capisce che i telegiornali controllati dai partiti al governo siano stati particolarmente generosi di spazi e di lodi. Salvo Lima è stato ucci- u so giovedì scorso. In meno d'una settimana, è stata «sgominata un'organizzazione che faceva capo a due delle più potenti famiglie mafiose impegnate nel riciclaggio del danaro sporco», con arresti, perquisizioni, sequestri eccetera. Un'operazione che viene descrìtta di tale importanza da non aver potuto certo esser stata improvvisata: quindi le in~ formazioni si avevano, magari s'aspettava di averne di più o di più sicure, le circostanze avranno accelerato l'azione. E' stato preso Pietro Vernengo, fuggito dall'ospedale dov'era ricoverato perché malato di cancro, latitante da cinque mesi, ed è stato preso anche suo fratello Antonino, pure ricercato. Un'impresa che non deve aver presentato difficoltà troppo aspre, dato che (come ha precisato il capo del servizio centrale operativo della polizia di Palermo, Achille Serra) il primo stava «in una casetta nei cantieri di sua proprietà» e il secondo stava «nella villa dove abitava con la famiglia»: insomma, erano tutt'e due latitanti in casa. Si può immaginare che nei prossimi giorni seguiranno altre azioni, altre iniziative, altre dinamiche attività anticrimine. E se non saranno soltanto atti dimostrativi occasionali, ma verranno convalidati dai magistrati, vorrà dire che di leggi speciali non c'è bisogno: basterebbe lavorare con costanza e serietà per far rispettare quelle vigenti. Perché si dovrebbe arrendersi all'impossibilità di essere normali, a cosa servirebbero nuove leggi speciali se ci vogliono 1 eccezionalità di un'emergenza ed eventi sanguinosi persino per applicare quelle vecchie? Lietta Tornabuoni
Persone citate: Achille Serra, Cossiga, Pietro Vernengo, Salvo Lima
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