Quando il Reich traslocò sul Rio de la Plata

Quando il Reich traslocò sul Rio de la Plata Quando il Reich traslocò sul Rio de la Plata // «complesso argentino» per l'ospitalità ai nazisti in fuga «Lei è ebreo? "Sì". Lei è sionista? "Sì". Le mani legate dietro la schiena, gli occhi bendati, il mio primo interrogatorio ebbe luogo dopo che per varie ore ero stato lasciato in piedi». A provocarlo, anche il sospetto di una «cospirazione internazionale messa in atto dal giudaismo». Racconta così, nel libro «Prigioniero senza nome, cella senza numero», il suo calvario Jacobo Timerman, direttore dell'«Opiniòn», il più autorevole fra i giornali stampati nell'Argentina del medioevo, quella della dittatura militare, della sporca guerra, dei desaparecidos. Ufficiali argentini che a più di 30 anni dalla fine della guerra mondiale credevano nella grandezza del Reich fecero quell'interrogatorio, non in un Lager ma a Buenos Aires. Gli stessi che forse hanno aiutato i terroristi per la bomba e che Menem ha messo sotto accusa. L'Argentina «justicialista» di Juan Domingo Peròn ricca e un po' sguaiata, con simpatie filofasciste e filonaziste e ventate di antisemitismo, rappresentò la terra promessa per i gerarchi della svastica. Anche se proprio qui c'è la comunità israelitica più numerosa dell'America Latina: trecentomila ebrei in tutto il Paese, 250 mila nella capitale. I «nazi» che sbarcavano alla Darsena Norte a Buenos Aires eran stati aiutati non soltanto dall'organizzazione clandestina «Odessa» ma anche dalla Croce Rossa e dal Vaticano. Spesso erano carnefici semisconosciuti, ma qualcuno godeva di una triste notorietà. Quando arrivò nel 1949, Adolf Eichmann, l'ideologo della «soluzione finale», al funzionario di dogana mostrò un passaporto intestato a Richard Klement. Ventun anni dopo, catturato da un commando israeliano, fu portato a Gerusalemme, processato e giustiziato. Ma il caso Eichmann fu unico e le carte conservate nell'archivio della Divisione affari esteri della polizia, fatto aprire il mese scorso dal presidente Carlos Menem, confermano come l'Argen¬ tina sia stata un santuario per i nazisti in fuga. E, forse, lo sia tutt'ora. Nessuno ha disturbato Martin Bormann, il «delfino» del Fùrer, condannato in contumacia alla forca dal tribunale di Norimberga. O Josef Mengele, l'angelo della morte di Auschwitz. Arrivato nel '49 con un documento intestato a Gregor Helmuth, e accolto con benevolenza da Peròn, fu coperto dalla rete di protezione anche dopo la caduta del dittatore, tanto che il 18 novembre 1955, presidente il generale Eugenio Aramburu, al macellaio di Auschwitz fu dato un passaporto per un viaggio in Svizzera e poco più tardi ottenne la carta d'identità numero 3940484 col proprio vero nome. Quando il tribunale di Friburgo lo condannò all'ergastolo, Bonn ne chiese l'estradizione. Ma lui si trasferì in Paraguay, altro paradiso per i nazisti, eppoi in Brasile dove, si dice, nel 1985 col nome di Wolfgang Gerhard sarebbe affogato in mare. In una provvidenziale alluvione sarebbero scomparse numerose schede di fuorusciti, ma si sa che il primo ad arrivare, nel 1945, fu Walter Kutschmann, responsabile della carneficina di Lvov, luglio 1941: arrestato, morì l'annno seguente. Poi Franz Rademacher, capo del Dipartimento affari giudaici del Terzo Reich, braccio destro di Bormann: visse fino al 1963 in un elegante quartiere di Buenos Aires. Eppoi, Ludolf von Alvensleben, aiutante di Heinrich Himmler nella Gestapo: visse a Cordoba con il proprio nome; Heinrich Mùller, capo della Gestapo: scomparve da Cordoba al momento della cattura di Eichmann; Gunther Talau, medico aiutante di Mengele: rimase nell'elegante stazione sciistica di Bariloche; Franz Wagner, colonnello delle SS: arrestato nel 1976 fu liberato e si trasferì in Brasile dove si uccise nel 1985; Eduard Roschmann, capitano delle SS, distruttore del ghetto di Riga: visse a Vicente Lopez, sobborgo della capitale, dove diresse la cooperativa della polizia; nel 1949, arrivò anche Josef Schwamberger, capo dei campi di sterminio in Polonia: l'unico ad esser stato estradato in Germania nel 1987. Ancora: Johannes von Leers, aiutante di Goebbels; Otto Skorzeny, l'SS che aveva liberato Mussolini sul Gran Sasso; Gerard Bohme, cervello del programma di eutanasia per i malati di mente; Han Ulrich Ruddel, eroe della Luftwaffe che più tardi si trasferì alla corte del cileno Pinochet; Willy Kurt Tank, ingegnere aeronautico. Ma ci sono altri nazisti, ben coperti e protetti. Fra tutti, Wilfried von Oven, antico aiutante di Goebbels, già caporedattore di «Freie Presse», periodico filonazista stampato a Buenos Aires; e ci sono sospetti anche su Rudolph Milssner, capo della Gestapo a Katovice, in Polonia, e carnefice ad Auschwitz. Vincenzo lessandoti