Steiner in fuga da Bisanzio

Steiner in fuga da Bisanzio Parla il grande studioso: nel suo nuovo saggio, un atto d'accusa contro Università e media Steiner in fuga da Bisanzio «I nemici dell 'arte? Sono i critici» ixl TORINO 11 UE parole di Ungaretti II! dicono molto più di tutti i Il miei libri, e di tutti i vo- " I stri discorsi senza fine. Due parole: "M'illumino / d'immenso"». George Steiner, che di libri ne ha scritti moltissimi, lancia un atto d'accusa non solo contro i critici, il sistema accademico, ma contro l'intero mondo dei media. Non è una provocazione per far discutere, la sua. E' un appello che ricalcando un celebre titolo di Josip Brodskj, invita a cambiare mondo, a uscire, a fuggire da questo: invita alla «fuga da Bisanzio». Il critico, ora docente a Cambridge e a Ginevra, ha appena pubblicato in Italia Vere presenze (Garzanti). E' un libro dell'epilogo, un giudizio spietato sulla nostra epoca che per lui è quella dei discorsi secondi, dei commentari, del giornalismo, del «pretesto»; quella dove si è persa completamente la capacità di avvicinarci all'opera d'arte, al «testo», quella dove è andata smarrita, forse è stata uccisa, la capacità di leggere. Il disastro non è solo accademico, universitario, non riguarda le élites del sapere ma tutti noi, insiste Steiner: «Il bizantinismo, il despotismo accademico, l'alessandrinismo del gergo - dice - è il contrario della democrazia». Non è una questione di estetica, ma di etica. Non un problema da specialisti ma, semplificando, un dramma della coscienza sociale. A queste conclusioni Steiner è arrivato lentamente, accumulando erudizione, critica letteraria, studi, e amore per la letteratura. Nato a Parigi da una famiglia di ebrei tedeschi poi riparata negli Stati Uniti, ha avuto a New York insegnanti come Maritain e Levi Strauss. «Una educazione straordinaria», ricorda. Poi, alla fine della guerra, ha continuato gli studi negli Stati Uniti e in Inghilterra: matematica e fisica, soprattutto, prima di arrivare alla filosofia e alla letteratura. Ora è una delle voci più signi- ficative nel mondo della critica letteraria; e nel suo modo discreto e sorridente, ma non privo di durezze improvvise, ha dichiarato guerra alla tendenza dominante fra Europa e Stati Uniti, quella che può essere rappresentata da nomi come Umberto Eco, Jacques Derrida, Hans George Gadamer. Per lui sono i «bizantini», coloro che usano i testi come puri pretesti: i semiologi, i «decostruzionisti», gli ermeneuti, insomma i personaggi descritti con qualche affettuosa ironia nei romanzi di David Lodge. «Siamo in una Bisanzio, in una straordinaria Alessandria. La lettura è scomparsa. Ma una lettura ben fatta è un atto politico e sociale di importanza capitale»: questa la sua tesi, che ha difeso l'altra sera alla libreria Campus durante un dibattito molto affollato con Carlo Ossola, Guido Almansi, Gianni Vattimo. Viviamo, dice, nel mondo delle teorie, ci preoccupiamo di «come» interpretare, dimentichiamo la voce della grande arte. Ma, «la vera democrazia è l'individualità davanti al testo; la vera filologia - ci spiega - è amore del testo. Una teoria è sempre un'impazienza dell'arroganza. La stessa parola teoria nella musica, nelle lettere, è una pietosa bugia». Invece, aggiunge, «nella nostra igiene della letteratura accademica e scolastica c'è una paura silenziosa davanti alla potenza dell'artista». Abbiamo paura dell'atto creatore, perché non vogliamo più porci la domanda sull'esistenza di Dio. Steiner fa un esempio: «Paul Klee ricorda che da bambino venne portato a fare una gita scolastica. Si annoiava, non sapeva che fare. Vide un acquedotto, e provò a disegnarlo con le scarpe. Da allora tutti gli acquedotti hanno le scarpe, e non sappiamo perché. Questo è l'atto creativo, che i discorsi secondi finiscono per nascondere. Ma solo la grande arte può commentare l'arte. Ha ragione Borges quando dice che Omero viene dopo l'Ulisse di Joyce. E il più al¬ to commento a Velàzquez sono le Meninas di Picasso». La provocazione è grave: che faremo nelle nostre aule accademiche se Steiner ha ragione, sembrano chiedersi i suoi colleghi. Che cosa diremo ai nostri allievi? Lui, imperturbabile, cita la distruzione del tempio di Gerusalemme. Il tempio bruciò, i libri si salvarono perché Akiba, il «lettore dei lettori», andò nel deserto con dieci discepoli, e lì ripresero a leggere. «A imparare a memoria - ci spiega - perché le opere vivono nella memoria. Nessuno le può distruggere se sono nel cuore delle persone». Non siete convinti? E allora pensate alla musica, incalza. «La musica è al centro del mio libro; la musica è una provocazione, nel senso di una chiamata a noi, di una "vocazione". E per me la vocazione è nell'arte, non nel mestiere del commentario. Davanti alla musica non abbiamo niente da dire». Mario Baudino «Due parole di Ungaretti valgono più dei vostri libri» Nel nostro mondo solo teorie: sono l'impazienza dell'arroganza George Steiner e Gianni Vattimo alla libreria «Campus» di Torino. Un duro confronto sulla «società del commento» ^^^^^^ Umberto Eco e, a sinistra, Jacques Derrida: per Steiner rappresentano la «nuova Bisanzio»