Ho visto i killer di Salvo Lima di Francesco La Licata

«Ho visto i killer di Salvo Lima» «Ho visto i killer di Salvo Lima» ora della vittima nel racconto del superteste L'AGGUATO ATTIMO PER ATTIMO hi/In i.tjnmhrtA ir) PALEHMO DAL NOSTRO INVIATO «Sì, li ho visti. Ho visto quella motocicletta, i due a bordo. Sa perché li ho notati? Perché avevano entrambi i caschi. E non quelle bagneruole piccole che lasciano il volto scoperto. Erano caschi integrali. Sembravano marziani quei due. Per un momento ho pensato: che ci fanno qui? Sì, hanno attirato la mia attenzione. Non mi piacevano. Mi chiedevo cosa ci facessero così equipaggiati, in una città dove il casco non lo usa nessuno». Ecco il racconto del supertestimone, il giovane che è stato con Salvo Lima nell'ultima ora della sua vita. E' il figlio di un amico di famiglia dell eurodeputato assassinato, uno che nella villa di Mondello era di casa. Figlio d'arte, il supertestimone, visto che suo padre, oltre che grande amico di «Salvino» Lima, era anche uno dei vecchi de siciliani. Il suo nome? Preferisce non pubblicizzarlo anche se non ha nulla da temere. «Cosa possono fare a uno che ha visto solo due uomini col casco? Non sono riuscito a capire neppure se fossero alti o bassi, biondi o bruni, robusti o smilzi. Erano solo due ombre che volavano su una motocicletta». E allora perché tante preoccupazioni? «Sa, viviamo a Palermo e qui più della realtà conta ciò di cui gli altri sono convinti». «Questa è Palermo», aggiunge indicando la garitta degli agenti che difendono l'abitazione palermitana del giudice Giovanni Falcone, a due passi dal bar dove ci incontriamo. Sentiamolo, dunque, il racconto di quel giovedì maledetto. «Abbiamo lasciato la villa che potevano essere le dieci meno un quarto. Lima si è seduto vicino al professor Li Vecchi che guidava. Nel sedile posteriore è salito l'assessore Liggio che aveva la sua macchina, una Prisma dell'amministrazione provinciale, ma preferiva stare con gli altri per continuare a discutere. Abbiamo lasciato la via Danae in quest'ordine: avanti l'auto di Li Vecchi seguita da quella della Provincia guidata dall'autista di Liggio. Erano dirette all'Hotel Palace per organizzare la cena in onore di Andreotti prevista per il giorno 23. Io, sulla mia auto, ho perso qualche attimo perché dovevo fare inversione. Avevo già salutato Lima ed ero diretto in città. Prima di svoltare l'angolo ho visto che la macchina di Li Vecchi tornava indietro verso la villa. Mi sono chiesto perché, ma avevo fretta ed ho proseguito. Allora ho notato i due in motocicletta». Probabilmente erano già pronti per intervenire, i killer, ma il ritorno inatteso nella villa deve averli spiazzati e costretti a ritardare l'esecuzione. Pochi minuti dopo tutti si ritroveranno attorno al cadavere massacrato di Salvo Lima: Li Vecchi, Liggio e il terzo testimone. Racconteranno dei colpi di pistola sul vetro dell'auto, diranno come l'eurodeputato cercasse scampo nella fuga a piedi, inesorabilmente raggiunto. «Aveva dimenticato l'agenda a casa. Per questo è tornato indietro. E' rientrato - continua il racconto - e ha trovato la borsa con le agende. Ci ha ripensato, così ha deciso di prendere solo una rubrica, lasciando a casa la borsa, per un momento al centro di un giallo inesistente perché non la trovavano sull'auto». Com'era Lima quella mattina? Il racconto del testimone è nitido. E' il racconto di un amico, di uno che spesso andava in quella casa, abituato sin da bambino al rito quotidiano del caffè mattutino a Mondello. «Ci andavo con mio padre e lui mi raccontava spesso storie e aneddoti della loro gioventù. Lima non voleva sentire ragioni: ogni giorno, dalle 9 alle 10, incontrava gli amici. E spesso non voleva neppure parlare di cose serie in quell'ora. Mio padre la chiamava l'ora dedicata alla squaglia acquazzina. Letteralmente vuol dire sciogliere la rugiada: una metafora per spiegare una specie di dolce far nulla». Il giovane testimone torna a quella mattina. «Son arrivato alle 9. Me l'aveva detto lui, il giorno prima, di andarci presto. L'ho visto scendere dalla stanza da letto e gli ho chiesto: onorevole si sta alzando adesso? No, mi ha risposto, è già venuto Mario D'Acquisto. Ha aggiunto che aspettava Lillo Pumilia e mi ha fatto accomodare nel salone, naturalmente offrendomi il caffè. Quindi è arrivato Pumilia. Se ne sono andati nello studio a parla¬ re. L'argomento non poteva essere che la campagna elettorale. Lima era molto impegnato, aveva i suoi da sorreggere». Dice il testimone: «Si è parlato di politica. L'onorevole non era ottimista come al solito. Ma era convinto che la de avrebbe tenuto anche questa volta». E i suoi? «Ecco, proprio quella mattina, quando arrivarono Alfredo Li Vecchi e Nando Liggio, si facevano previsioni. Tutti ci chiedevamo se ce l'avrebbe fatta il professor Antonio Palazzo, candidato andreottiano al Senato nel collegio Palermo 1 e grande amico di Lima. L'onorevole non si sbilanciava, diceva che quello è un collegio difficile, una tombola». Preoccupazioni, timori? «No, assolutamente. Era tranquillo: le cose normali della campagna elettorale. Eppoi, lui non dava mai a vedere se era preoccupato. Mi ricordo che, quando ero più giovane, si divertiva a prendermi in giro col gioco delle tre carte. Mi faceva vincere per due o tre volte, quindi mi diceva: ora punta i soldi. Io, che credevo di essere furbo, una volta c'ho messo 100 mila lire, ma la carta non era quella giusta. Lui mi ridiede i soldi, avvertendomi: mai fare il gioco delle tre carte. Che tipo che era. Certe volte se ne veniva fuori con racconti divertenti e non capivi mai dove finiva l'ironia. Fu lui a raccontarmi che in Svezia avevano fatto un test tra i bambini per scoprire le doti attitudinali di un leader. Mera¬ vigliato, mi spiegò che gli psicologi avevano dato dièci caramelle ad ogni ragazzino e che il più idoneo alla leadership era risultato quello che si era fatto fregare tutte le caramelle. Capisci? Mi disse. Qui lo avremmo liquidato frettolosamente come il più scimunito. Eppure gli piaceva il rischio. Gli piaceva la competizione, il gioco. Era capace di stare seduto al tavolo di poker o fare una scopetta con lo stesso impegno. Una volta andò negli Stati Uniti, era con molti amici a New York. Non lo videro per una giornata intera, poi si scoprì che non aveva resistito alla tentazione di fare una puntatine a Las Vegas, tra slot-machines e tavoli verdi. E a Capodanno se n'era andato a Montecarlo». E il Lima chiacchierato? Come reagiva agli attacchi? Che pensava dei suoi avversari Orlando e Mattarella, di quelli che lo indicavano come mafioso? Il testimone abbassa il volume. Viene fuori ancora l'amico di famiglia: certi argomenti è meglio non toccarli. «No, Lima non amava cariare dei suoi nemici». Francesco La Licata wm Il corpo di Salvo Lima coperto da un lenzuolo bianco