I Rusteghi visti dai babbei

I Rusteghi visti dai babbei Al Donizetti di Bergamo il lavoro di Goldoni nell'allestimento di Venetoteatro regista Massimo Castri I Rusteghi visti dai babbei Lettufa del testo ricca di sfumature e luci di Iuraj Saleri «alla Vermer» Tra le quattro donne spiccano la Giochetti-Felice e la Felicioli-Lucietta BERGAMO. La novità dei «Rusteghi», incantevole testo che Goldoni buttò giù, pare, in gran fretta, per il carnevale del 1760, è che per una volta una delle situazioni più frequentate dal teatro, ossia le nozze combinate fra dUe giovani che non si conoscono, viene presentata dalla prospettiva dei barbogi che tali nozze architettano, ai quali viene così dato modo di esporre le loro ragioni; in altre parole, il tradizionale «senex» non è qui soltanto il despota ovvero il babbeo da ingannare, ma protagonista, personaggio a tutto tondo. E per esaurirne ogni sfaccettatura, Goldoni lo moltiplica addirittura per quattro, che oltre a rispecchiarsi nel futuro consuocero Maurizio padre di Felippetto, il burbero Lunardo padre di Lucietta ha due amici a nome Canciano e Simon, coetanei e totalmente solidali sul suo atteggiamento di totale prevaricazione su moglie e prole. Fatta di nulla, la commedia racconta in tempo reale l'innocuo stratagemma messo in opera dalle mogli di costoro allo scopo di fare incontrare almeno una volta i fidanzati prima della firma dei contratti; i tuoni e i fulmini dei mariti quando il complotto è scoperto; e la pacificazione finale in seguito all'appassionata, assennata arringa della più intraprèndente delle comari. E' stata comunque una tempesta ih un bicchier d'acqua, che per fortuna i giovani avevano avuto il buon senso di piacersi a vicenda. Oggi naturalmente sarebbe possibile leggere tutto ciò in una chiave molto più femminista che al tempo di Goldoni, e spezzare lance sulla condizione di donne conculcate, sorvegliate, tenute a stecchetto, costrette a non mettere mai il naso fuori di casa. Ma sarebbe una forzatura, che l'avvocato veneziano non intende contestare il sistema, bensì soltanto mostrare sorridendo qualche esemplare ormai quasi fossilizzato dell'austerità di una volta, e indi. care come per farlo venire a più miti propositi possa bastare un po' di ragionevolezza. Questo avviene mediante scene di vita rese con un orecchio infallibile, alternando spassosamente quelle fra gli uomini soli, quelle fra le donne sole, e quelle con la guerra fra i sessi. Fra le prime vedi per esempio, stupendo, il coretto dei padri che vantano a gara le proprie avarizie (io, mai stato a teatro; io da ragazzo misi insieme cento ducati con le mance e li investii al quattro per cento); fra le seconde, quella con la matrigna che regala alla sposina qualche orpello innocente da mettersi addosso; fra le terze, il finale con la grande tirata della quasi emancipata Felice. Comprensibilmente Massimo Castri chiamato ad allestire questo lavoro per Venetoteatro nell'ambito delle celebrazioni per il bicentenario di Goldoni che ormai ci sta rovinando addosso, se ne è innamorato e quindi ce lo ha porto con una delicatezza persino trepidante. Antonio Fiorentino ha creato cinque eleganti interni, variazioni sul tema comune della claustrofobia, che in un paio di casi Iuraj Saleri ha illuminato lateralmente, alla Vermeer, da finestre a vetri alle quali le comari ogni tanto si affacciano per rubare qualche canzone, qualche lazzo del carnevale che si sente fervere nelle calli: è uno dei piccoli, ispirati tocchi del regista. Il quale per il resto ha semplicemente orchestrato i contrappunti di un eccellente complesso di attori, dando agio a ciascuno di conferire alla sua figuretta tutto lo spessore che questa meritava. Ottimi dunque i sei uomini, Daniele Griggio, Mario Valgoi, Enrico Ostermann e Gian Campi più Piergiorgio Fasolo che è il timido Felipetto e Quinto Parmeggiani come il conte Riccardo, osteggiato cavalier servente di Felice; e perfette le quattro donne Gianna Giachetti, Stefania Felicioii, Michela Martini e Wanda Benedetti, con spicco particolare per le prime due, ossia per l'eloquente, energica, convinta eppur femminile Felice della Giachetti in un divertente costume (di Claudia Calvaresi) e per lo spiritoso peperino argentovivo della LuciettaFelicioli. Conseguenza di una lettura così rispettosa di ogni sfumatura del dettato originale col suo saporito veneziano, la serata ha una durata abnorme per una commedia tanto leggera, tre ore e dieci con due intervalli; ma benché potremmo immaginarcela più breve, nessuno si è lamentato, e gli applausi al Donizetti, dove i dieci giorni di repliche che rimangono si annunciano trionfali, sono stati calorosissimi. Masoiino d'Amico Mario Valgoi e Stefania Felicioii in una scena dei «Rusteghi» scritto da Goldoni nel 1760 per il Carnevale di Venezia

Luoghi citati: Bergamo, Venezia