Gentilini: la realtà è sogno

Gentilini: la realtà è sogno A Mantova in 120 opere il pittore «amato dai poeti» Gentilini: la realtà è sogno Piazze metafisiche e gatti stregati MANTOVA I ritomo dalla Germania, dov'è stata presentata da Erich Steingrà- I ber, direttore dei musei statali bavaresi, un'ampia mostra antologica di Franco Gentilini (Faenza 1909-Roma 1981), fa tappa a Mantova (fino al 31 maggio). Con l'aggiunta di un nuovo nucleo, sono 120 opere ospitate nelle tardocinqùecentesche aranciere di Palazzo Te. Ancora una volta l'antica residenza gonzaghesca rivela le sue capacità espositive, volte al moderno come all'antico. Bisogna dire anche grazie ai programmi espositivi d'un Centro Internazionale cui evidentemente giova l'accorto connubio tra pubblico e privato: tra l'opera fattiva d'un presidente come Renzo Zorzi e la direzione di Gian Maria Erbesato, curatore, questi, dell'esposizione di Gentilini, come dell'inedita antologia di prose e liriche a lui dedicate da scrittori e poeti che, da Ungaretti e Palazzeschi a De Libero, Carrieri, Gatto e Pasolini, furono tra i primi suoi estimatori. Tuttavia Steingràber ha intitolato il saggio in catalogo (Electa) «Franco Gentilini pittore amato non soltanto dai letterati» mentre, quasi a spiegare la tournée tedesca e, in fondo, questa stessa sosta in un'area baricentrica, Arturo Carlo Quintavalle si riferisce al pittore definendolo «Quel tedesco di Faenza». In questa collocazione non entrano tuttavia i suoi omaggi a Cranach (non più che un amore dettato da un consentaneo ideale di muliebre bellezza), ma la sensibilità d'un pittore dalla formazione ben più complessa di quanto possa credersi, ove ci si fermasse soltanto alla linearità del più facile percorso gentiliniano e alla più superficiale lettura del suo mondo visivo. , . Se si approfondiscono le questioni, anche testuali, l'area di incidenza culturale si fa subito più ampia, diventando mitteleuropea. Fin dal primo suo disegno dal vero, Mia zia Maddalena (1922) fa certo pensare al realismo di Kate Kollwitz (un modello cui proprio da Bologna aveva già guardato un Severo Pozzati!), mentre più tardi matureranno rapporti, anche più evidenti, con l'illustrazione aspra e impietosa che della vita del dopoguerra tedesco diedero Grosz e Dix. Non fu un caso se, nello stesso clima romano, cui Gentilini riconduce, operava un Mafai che, nel momento di contestare il nazi-fascismo guardò anch'egli all'espressionismo, in senso lato, riallacciandosi a Nolde come ad Ensor e a Daumier. Gentilini, nato a Faenza nel 1904, crebbe con la vocazione dell'arte: quindicenne a bottega in una fabbrica di ceramiche, poi aiuto del pittore Mario Ortolani che gli pose sott'occhio i primi libri e le riproduzioni degli impressionisti, di Cézanne e dei cubisti. Passò quindi a Bologna dove l'incoraggiamento di Giovanni Romagnoli e del critico d'arte Nino Bertocchi, facendo leva sulla prima sua produzione faentina, tra ritratti, figure e paesaggi, l'indusse dopo aver dato un'occhiata a Parigi nel 1928 - a stabilirisi, dal '29, a Roma: attratto principalmente dalla presenza di Scipione e con i primi legami, l'amicizia con Càpogrossi e Cagli. . . Di qui muove l'esposizione. Del '29 è il Nudo distesò, con l'incarnato femminile d'un colore acceso che sa di Scuola Romana, ma non meno di Spadini nel drappeggio come nella natura morta nell'angolo destro. Così Stradone a Faenza (931) potrebbe anche avere una sua continuità in Ragazze di periferia (1945) (più vicino ad un Omiccioli), se il «gusto» tedescheggiante non si chiarisse nel doppio ritratto con II padre con la ballerina del '31, e nel vedutismò che tra Scipione e certi espressionisti alla Heckel, caratterizza Trinità dei Monti e Ponte Sant'Angelo. Con gli Anni 50, le scelte di Gentilini possono dirsi ormai compiute. Di lì in avanti l'artista ha saputo eprimersi in una visione poetica tutta sua. La realtà poteva stargli dinanzi, e tuttavia Gentilini spiegava: «Non lavoro, sogno». Può così intendersi come le città ch'egli ha dipinto non saranno propriamente Roma, né Faenza, né quelle altre che potrebbero essere individuate in Toscana, in Romagna o nel Ferrarese - con decine di piazze e chiese deserte, tra portali e absidi in cui l'inconfondibile grafia pittorica come il colore assumono valori di stregata bellezza - ma rimarranno gli ambienti d'una tutta sua «Gentilinia» (per dirla, non a caso, con Buzzati). Ed è quanto lega i primi Banchetti - tra i quali particolarmente felice nella sua essenzialità grafica il Banchetto bianco (1953) con il suo campanile e il gatto - e la suggestiva serie delle architetture: la Cattedrale di Monreale (1953) e le due versioni, scura e chiara, della Cattedrale di Ferrara (1956), l'ornata facciata della Chiesa dei Miracoli (1960) e la coeva Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, con l'irruzione nell'ombra densa di luce come del fantasma di quella bambina ch'è un vero e proprio transfert dechirichiano. Sogni, anche le figure. Dai Nudi distesi del 1956 al Nudo sul divano che due anni dopo può diventare nuovo tema, con variazioni come le Sirene o alcuni ritratti, da Le due amiche allo straordinario Gatto con il gomitolo, da Daniela all'intenso sguardo di Ippolita, e ai rasserenanti, amorosi volti di Luciana, la seconda moglie, ritratta con tenerezza. Sogni, mai evasioni. Né di fronte all'America vista Dal ponte di Brooklyn, né quando evoca l'immaginario, metafisicheggiante Nudo nella camera delle piume. Così che al Ponte di Sant'Angelo, nell'81 non gli rimase da ritrarre che I travestiti. Angelo Dragone V- f Franco Gentilini nello studio di via Margutta nel 1973. Qui accanto: «Banchetto bianco» olio su tela del 1953