Peckinpah genio e ubriachezza

Peckinpah genio e ubriachezza «Maledetto Sam», la storia del grande regista scomparso: lemanie, le liti, i retroscena dei film più famosi Peckinpah genio e ubriachezza ~7v~]UALCHE settimana fa la 11 tv inglese ha trasmesso 11 un bellissimo documen11 tario sul regista americaY 'no Sam Peckinpah, morto v di un attacco di cuore nel 1984. Era il tipo di servizio fatto con interviste molto curate e materiale di repertorio, ma c'era una strana atmosfera: come se i suoi amici più cari - tutti attori come James Coburn, Jason Robards e Kris Kristofferson - non riuscissero a nascondere dietro la commozione una sorprendente voglia di scoppiare a ridere. Piano piano si capiva perché: i loro ricordi davano forma al ritratto di un uomo formidabile, un attaccabrighe gemale pieno di alcol e cocaina, con un'anima poetica e una dolcezza virile. Uno che quasi somigliava agli eroi dei suoi celebri western, costretti a rinunciare a vivere con dignità, per corteggiare la violenza, la vendetta e la morte come ùnica via d'uscita. Aveva solo sottovalutato la forza distruttiva dei suoi vizi, esaltati dal gusto della provocazione. Basti dire che rispose alle accuse di Hollywood sul suo alcolismo facendosi fotografare sul set di Pat Garrett e BUly Kid in barella, accanto a un finto infermiere che gli faceva una fleboclisi di whisky. E poi mandò la foto a Variety, la rivista più diffusa nello show business. Con la stessa spudoratezza sostenne tutta la vita di avere sangue pellerossa nelle vene. Ma oggi lo smentisce Marshall Fine nella sua biografia Bloody Sam (Maledetto Sam), appena uscita negli Stati Uniti, che racconta i retroscena dei suoi celebri film, amati e coltivati con passione anche in Italia. E c'è davvero da unirsi al sorriso un po' amaro di Coburn, Robards e Kristofferson, nel leggere quali situazioni assurde si celassero dietro quelle pellicole. La storia di Sam Peckinpah gira tutta intorno a due grandi film, Il mucchio selvaggio c Pat Garrett: se il primo lo tirò fuori dai guai nel '69, dopo l'insuccesso commerciale di un paio di western e il licenziamento in tronco sul set di Cincinnati Kid, il secondo nel '73 gli procurò la più dolorosa delusione della sua vita, che non riuscì mai a superare. Peckinpah era arrivato al 1968 con due catastrofi matrimoniali alle spalle (ma ne avrebbe accumulate tante che è difficile persino contarle), e la reputazione di essere rissoso con i produttori e di sperperare enormi quantità di pellicola. Ci vollero quattro anni di esilio dagli studios prima di ottenere con un colpo di fortuna l'incarico di girare II mucchio selvaggio, una storia di fuorilegge con i capelli grigi (William Holden, Robert Ryan e Ernest Borgnine) con tutti gli ingredienti che stanno a cuore a Peckinpah: amicizia virile, onore e disprezzo per là paura della morte. Ma in Messico, dove viene girato il film, racconta Marshall Fine, la situazione è ai limiti della sopravvivenza, e non soltanto per il caldo e il pessimo cibo. «Ci alzavamo alle quattro e mezzo della mattina e non tornavamo fino a mezzanotte - ricorda un attore -, sempre con i fucili carichi e i cavalli che scalpitavano. Avevamo tutti paura di morire. Possono andare storte un sacco di cose quando si girano scene con 30 o 40 cavalli». E Peckinpah, un perfezionista che lavorava in perenne stato di ubriachezza, aumentava la tensione punendo il più insignificante errore con il licenziamento su due piedi (circa il 30 per cento della troupe fu costretto a fare le valigie). «Un pomeriggio andammo in un bar pieno di gente che avrebbe fatto paura a King Kong», ricorda l'attore L. G. Jones, che aveva lasciato il set con Peckinpah e Warren Oates, sperando in un po' di riposo. «Sam chiede da bere e poi sento che dice al barista "Dì un po', ci hai pisciato dentro, per caso?". So solo che un attimo dopo io e Warren siamo contro un muro a lottare per le nostre vite. Ci hanno quasi ammazzato. Sam era salito in macchina e se n'era andato a casa come se niente fosse». Sarà Peckinpah, invece, a rischiare il linciaggio 0 giorno della presentazione del Mucchio selvaggio a Kansas City, dove il pubblico assiste sbigottito alla più violenta sparatoria che si fosse mai vista al cinema, con 15 mila comparse e pezzi di carne sfilacciata sotto i buchi .insanguinati dei vestiti. In un momento in cui bruciano le morti di Robert Kennedy e Martin Luther King e cresce la protesta per il Vietnam, la critica celebra II mucchio selvaggio come la magnifica metafora di una società fondata sulla violenza. Non si capisce bene nemmeno oggi che spessore avesse la coscienza politica di questo imprevedibile regista, a parte la notizia che prese la cittadinanza messicana il giorno in cui Nixon fu eletto presidente. Ma dovette ferirlo l'accusa della stampa di avere fatto con Cane di paglia (del 72) «la prima opera d'arte fascista in America», un'opera in cui si legittimava la vendetta dei deboli come soluzione estrema. Il produttore Daniel Melnick ricorda che Dustin Hoffman - cui era andata la parte del tranquillo professore che per difesa massacra uh gruppo di teppisti - chiedeva scrupolosamente a Peckin¬ pah quali fossero i sottintesi di una particolare battuta, oppure cercava di discutere la «realtà emotiva» del suo personaggio. E quello gli rispondeva con una pacca sulla spalla: «Tu vai là e fai il tuo numero». Hoffman lo guardava senza capire: «Il mio numero?», mormorava sbalordito. «Sam era davvero un uomo fuori del suo tempo, un pistolero nell'era dei viaggi nello spazio», lo giustifica oggi Dustin Hoffman. Del resto, anche per un regista che ha legato i) suo nome a un clan di attori fedelissimi come Warren Oates, Jason Robards e James Coburn, la scelta del cast poteva dipendere dalla produzione, come nel caso dell'incompatibile Hoffman, oppure semplicemente dal caso. Si rèsta un po' sorpresi a leggere come Bob Dylan fu scelto per la parte di «Alias» in Pat Garrett accanto a James Coburn e Kris Kristofferson. Lo aveva portato da Peckinpah lo sceneggiatore Rudolph Wurlitzer che non sapeva nemmeno se quello avesse ca¬ pito bene chi fosse. Solo dopo una cena, quando Dylan prese la chitarra e suonò la canzone che aveva composto per i titoli di testa, Peckinpah si sciolse in lacrime e gli offrì la parte di «Alias», chiedendogli di comporre quella che diventò un'indunenticabile colonna sonora. Ma Pat Garrett avrebbe portato a Sam Peckinpah la più dura delle sue sconfitte. E i guai - i guai veri, quelli che lo amareggiarono fino a togliergli ogni illusione - cominciarono quando il produttore James Aubrey, che a Hollywood chiamavano «il cobra che sorride», ingannò il regista impegnato nel montaggio, e fece fare di nascosto un secondo montaggio, sciatto e incongruente, quello che poi è circolato dappertutto. Della storia vera del fuorilegge Billy Kid che alla fine del secolo scorso fu braccato dall'ex amico Pat Garrett - storia che per Peckinpah doveva avere il ritmo e la tristezza di una ballata popolare - restava il tessuto, ma senza profondità. Tutto il film era stato invece pensato come un lungo flash back pieno di malinconia che cominciava nel 1908 con la morte di Pat Garrett, ucciso dagli stessi proprietari terrieri che 30 anni prima lo avevano armato contro l'amico. ((Andai nel suo ufficio dopo lo screening e trovai Sam distrutto», ricorda il nipote Dave. Ma nessuno poteva immaginare, in quel momento, quello che era passato per la testa a Sam Peckinpah. Aveva telefonato a un amico a Malibu chiedendogli di procurargli due pistoleros messicani per liquidare Aubrey. Offriva anche il viaggio in prima classe. Ma l'amico rispose che non se la sentiva di diventare complice nell'assassinio del capo della Mgm. E a Peckinpah non restò che rassegnarsi, come dice il nipote, «con il cuore spezzato». Tutti i film che girò dopo portano l'impronta della cocaina con cui Peckinpah si illudeva di potere sostituire l'alcol senza danni, e che invece lo avrebbe condotto a una forma grave di paranoia. Non c'è un attore che non ricordi Convoy (del '78) come (amo zoo» in mano a una malato di mente che si rifiutava di uscire per un giorno intero dalla sua roulotte; mentre 3 mila comparse e 100 camion lo attendevano sotto un solo abbagliante. Peckinpah era stanco, non se la sentiva di continuare a vivere a Los Angeles, e se ne andò nel Montana vicino a una grande proprietà che aveva comprato con Warren Oates, arroccato all'ultimo piano di uno squallido motel, con un pace maker nel cuore e la folle, testarda convinzione che fosse una micro bomba collegata a un detonatore in mano alla Cia. La notte vedeva dischi volanti scendere sui boschi del Montana e si appostava armato con Warren Oates per combattere gli alieni. Ma nessuno dei suoi amici rammenta questi episodi senza almeno un sorriso di complicità. Sam Peckinpah era diventato il suo personaggio, e tutti stavano al gioco. Una notte, poco prima di morire a 59 anni, andò a trovare in ospedale un amico che era appena stato operato. «Aveva un fazzoletto da indiano arrotolato intorno alla fronte e gli stivali da cowboy. Mi disse: "Ti ho portato un libro", e vidi che era ^Anticristo di Nietzsche. Poi cercò di insegnarmi un poker a due, e dopo un po' disse "devo andare a una riunione di lavoro". Erano le due del mattino. Io gli credetti». Livia Maniera La delusione maggiore da «Pat Garrett»: il produttore gli rovinò il montaggio, lui cercò invano di assoldare due pistoleros messicani per eliminarlo Ben Johnson, Warren Oates, William Holden e Ernest Borgnine in una scena di «Mucchio selvaggio». Sotto Bob Dylan, che interpretò «Alias» in «Pat Garrett», e James Coburn, fra i «fedelissimi» di Peckinpah Sam Peckinpah alla cinepresa. " regista morì d'infarto nel 1984 a 59 anni: negli ultimi tempi si era illuso di poter sostituire l'alcol con la cocaina. In alto, Dustin Hoffman: «Sam era un uomo fuori del suo tempo»