Il boss in trappola dopo 141 giorni

Il boss in trappola dopo 141 giorni Fuggi dall'ospedale di Palermo provocando uno scontro tra il Guardasigilli e il giudice Barreca Il boss in trappola dopo 141 giorni Vernengo preso in casa da 100 agenti e un bulldozer PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Latitante a casa sua. Come da copione, come ogni padrino che si rispetti, don Pietro Vernengo accusato di 99 omicidi, condannato all'ergastolo per uno solo se ne stava nascosto nel suo quartiere. A Ponte Ammiraglio, tradizionale centrale operativa della «famiglia». E' stato tirato giù dal letto all'alba. Se ne stava chiuso in una piccola abitazione all'interno del suo cantiere nautico. Cento poliziotti armati lo hanno accerchiato. Lui ha cercato la libertà scavalcando un muro. Alla fine della scalata, però, in pantaloncini, maglietta e ciabatte, si è ritrovato con le mitragliette puntate addosso. Fine della corsa. Una fuga che era cominciata nel clamore generale, nelle polemiche fra magistratura e ministero. Vernengo lasciò, insalutato ospite, il Centro tumori dell'ospedale civico di Palermo, mentre i magistrati dibattevano se un decreto governativo che aboliva ogni beneficiò ai boss detenuti dovesse avere o no valore retroattivo. Martelli chiese provvedimenti contro il giudice Pasquale Barreca, ritenuto troppo indulgente nei confronti dei padrini ricoverati in ospedale. «Punite quel magistrato», disse il ministro al Consiglio Superiore. «Ho applicato la legge e basta», replicò Barreca. Sono passati 141 giorni da quel 15 ottobre. Il Consiglio Superiore non ha ancora deciso, ma Vernengo è stato ripreso. Tra la soddisfazione dello stesso Barreca che ha commentato così la cattura del boss: «Sono soddisfatto. Ho appreso la notizia dalla radio, mentre mi facevo la barba e devo dire che mi è riuscita un'ottima rasatura». L'operazione di polizia, perfetta nell'esecuzióne degli lìomini del servizio centrale operativo di Roma, della squadra mobile e Criminalpol di Palermo,' non ha dato solo questo risultato. E' stata proprio una maledetta domenica, quella dei Vernengo. Un clan decapitato: la polizia ha preso anche Antonino, fratello di don Pietro, detto «u dutture» per le sue spiccate attitudini alla chimica ed in particolare alla raffinazione dell'eroina. E sono stati presi pure il giovane Cosimo, e Francesco Paolo Conti, rispettivamente figlio e genero di Antonino. I due dovranno rispondere del possesso delle armi sequestrate e spiegare anche la provenienza dei soldi trovati in cassaforte. Il blitz a Ponte Ammiraglio e la cattura di Antonino sono stati eseguiti contemporaneamente. Spettacolare l'arrivo dei poliziotti nel cantiere dove si nascondeva Pietro. Il cancello ed una parte del muro di cinta sono stati abbattuti con l'ausilio di un mezzo cingolato. Dalla breccia sono entrati i poliziotti armati. Hanno abbattuto porte e saracinesca servendosi di pesantissime mazze di ferro. Le grida, il frastuono, gli agenti che correvano, il rombo dei motori degli elicotteri concentrati nel cielo di Calzascaffa e Ponte Ammiraglio. Don Pietro era a letto, con la moglie. Era stata proprio lei a dare alla polizia la conferma che il boss si nascondeva in quel cantiere. La sera precedente era stata vista salire sulla Mercedes del genero. L'auto si era fermata davanti al cancello e, poco dopo, la donna scompariva tra le barche in rimessaggio: Se la signora Rosa, hanno pensato i poliziotti, va a dormire in cantiere di sabato sera, ci sarà pure un motivo. L'intuizione si è rivelata giusta. Don Pietro non ce l'ha fatta a svanire giù per un piccolo tunnel che si era scavato sotto il piatto della doccia. Si è arreso senza fiatare. Il fratello, invece, era riuscito a dileguarsi. Gli agenti che all'alba hanno fatto irruzione nelle tre ville di Ficarazzi, un paesotto quasi attaccato a Bagheria, non lo trovavano. Eppure c'era la moglie e il lètto era ancora caldo. Hanno tastato i muri delle tre ville ed è stato chiaro che una parete celava un piccolo nascondiglio ricavato da un'intercapedine. Antonino, «u dutturi», se ne stava rannicchiato in basso. Riusciva a respirare grazie a due prese d'aria e si era cosparso di ammoniaca per non farsi scoprire dai cani. Fine della corsa anche per lui. Torneranno in carcere, i fratelli. Pietro per scontare un ergastolo sancito dalla Cassazione, Antonino condannato definitivamente a 16 anni. Appaiono lontani i tempi delle vacche grasse, per i Vernengo. Quando Pietro, il pioniere del traffico degli stupefacenti, si propose come produttore d'eroina e mise su un laboratorio in proprio. Un ciclo produttivo che assicurava 90 chili di droga a settimana, come sostiene Francesco Marino Mannoia, ex «direttore» del laboratorio poi passatonelle fulèdèfp'èntiti. Fu l'eroina a permettere a don Pietro il,salto, di aualità. Capì per primo che la droga avrebbe permesso guadagni inimmaginabili. I «vecchi» erano dubbiosi, ma Vernengo si lanciò nell'avventura, trasformando la struttura del contrabbando di sigarette in un formidabile veicolo di approvvigionamento della morfina da raffinare. La guerra di mafia lo risparmiò. Don Pietro si trovò schierato dalla parte giusta: i giovani leoni corleonesi che spazzavano i vecchi e troppo riflessivi palermitani. Arrivò persino a sedere tra i «signori della cupola», ma per questo ora è accusato di essere il mandante di 99 omicidi. Molti di questi processi - risoltisi con assoluzioni - saranno ora ridiscussi per effetto di una recente sentenza della Cassazione. Per il momento un giudizio definitivo condanna don Pietro all'ergastolo: è accusato di avere strangolato un piccolo delinquente, tale Antonino Rugnetta. Però è malato, tumore alla vescica. Certo chiederà di essere curato. Ma è difficile che lo mandino nell'ospedale di Palermo. Il grand hotel del Civico è stato chiuso. Francesco La Licata Spietato signore della droga è stato accusato di 99 omicidi ma condannato per uno solo Si nascondeva in un cunicolo scavato sotto la doccia Gli agenti l'hanno trovato pedinando la moglie Catturati anche figlio e fratello La villa (a fianco) del boss Pietro Vernengo (sotto) e il cunicolo scavato sotto la doccia (a sinistra) che fungeva da rifugio dopo la fuga dall'ospedale il 15 ottobre

Luoghi citati: Bagheria, Ficarazzi, Palermo, Ponte Ammiraglio, Roma