I privati salvano San Filippo di Maurizio Lupo

I privati salvano San Filippo La chiesa più ampia di Torino: una storia tormentata San Filippo, la più vasta chiesa di Torino - 2600 metri quadri in via Maria Vittoria 5, settecentesca opera firmata da Guarini, Garove, Juvarra e Tarucchi, sarà salvata dalle infiltrazioni d'acqua grazie alla «Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino». E' l'associazione guidata dal presidente della Utet Gianni Merlini che, con l'appoggio di 19 sponsor industriali, dal 1987 ad oggi, ha già restituito all'antico splendore il Parlamento Subalpino, la facciata degli archivi di Palazzo Reale e le chiese di San Carlo e Santa Cristina. Ora ha concordato un finanziamento a favore di San Filippo, che dovrebbe superare il miliardo. L'intervento è stato approvato dopo l'esame di una commissione tecnica costituita dagli architetti Mario Verdun, Emanuela Recchi e Angela Griseri, che, per conto della Consulta, valutano i suggerimenti della Soprinten¬ denza e dei privati. La Consulta aveva preso in esame anche il restauro delle Porte Palatine, ma si è convenuto che i lavori per San Filippo fossero più urgenti. I muri sono intrisi d'acqua e i marmi si stanno sfaldando. Saranno bloccate le infiltrazioni rifacendo i tetti, quindi si prowederà alla facciata e agli infissi. «Per risanare l'intero complesso - dice Clara Palmas, ispettore generale del ministero per i Beni culturali - ci vorrebbero almeno 3 miliardi, ma l'intervento della Consulta sarà determinante per salvare un monumento che attende da troppo tempo». La chiesa, voluta nel 1675 da Maria Giovanna di Savoia Nemours, accolse come ospedale i feriti dell'assedio di Torino del 1706, Napoleone la trasformò in caserma, poi con la Restaurazione divenne l'ufficio postale del Regno Sardo. Riconvertita al culto, dal 1862 passò al ministero degli Interni, che ancora la annovera fra i «Benefici vacanti». Da allora lo Stato ha fatto ben poco per conservarla. Solo nel 1987 stanziò qualche lira: 300 milioni per rifare il tetto che sovrasta il presbiterio, ma ne vennero spesi circa la metà solo per i ponteggi. L'edificio da allora sopravvive grazie alla buona volontà dei padri Filippini, ai quali è affidato. Eppure Roma conosce bene le cifre necessarie almeno per contenere il degrado. Non sono elevate. L'architetto Daniela Biancolini, che veglia sull'edificio a nome della Soprintendenza, l'anno scorso fece un conto di 1200 milioni. Ma nessuno era disposto a sborsarli. Neanche il Comune. Già nel'90 l'assessore alla Cultura Marzano negò i contributi civici, perché la Chiesa non è di proprietà municipale. Più generosi sono stati privati e volontari. Da Italia Nostra agli «Amici dell'arte e dell'antiquariato» di Torino che restauraro¬ no una tela attribuita alla scuola del Guercino. Due associazioni, «Ca' Geminiani» e «L'Arte per l'arte», hanno organizzato serate culturali, devolvendo poi il ricavato all'opera dei restauri. Padre Giuseppe Goi, responsabile dei Filippini, quasi stenta a credere alle buone notizie: «Ci aiutano? L'intervento della Con- Proprietà di Stato, ignorata dal Comune, è devastata dalle infiltrazioni, ora interverrà la «Consulta» I privati salvano San Filippo Sponsor di più di un miliardo per sanare tetti e facciata del grandioso tempio voluto dai Savoia nel 1675, al quale lavorarono Guarini, Garove, Juvarra e Tarucchi sulta è provvidenziale». Basterà? «A rimediare il peggio, ma questo edificio è immenso...». Grande come la sua importanza. Clara Palmas lo ha ricordato più volte: «Alla nostra San Filippo si è ispirata tanta architettura europea degli ultimi due secoli». Maurizio Lupo

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