Dalla Pravda un arrivederci al veleno

Dalla Provaci un arrivederci al veleno Il giornale annuncia: Sobchak andrà al Congresso dei nostalgici. E promette: torneremo Dalla Provaci un arrivederci al veleno Disinformazione e cattiverie nell'ultimo numero MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ci fanno chiudere, ma torneremo: l'ultimo numero della «Pravda», il quotidiano che per 80 anni ha diffuso i punti di vista della nomenklatura comunista, si apre con una promessa che suona quasi come una minaccia. E continua in quattro pagine piene di veleno sputato a secchiate contro gli «ardenti democratici» del presidente Boris Eltsin, colpevole di tutti i mali economici e ideologici. «Senza lavoro, senza medicine, senza giornale». Sotto questo titolo campeggiano in prima pagina le fotografie di un minatore triste, quella di un malato in corsia d'ospedale che si regge il capo tra le mani, e quella di un affranto linotipista della «Pravda». Almeno quest'ultimo ha i suoi buoni motivi: la Casa editrice del giornale ha deciso di mandare in ferie «non retribuite» tutti i tipografi, per due mesi. A far chiudere la «Verità» (questo significa «pravda» in russo) sono state le difficoltà della riforma economica, ma «il torchio del mercato che ha schiacciato le nostre pubblicazioni ha lavorato chissà perché selettivamente, senza colpire nessuno degli altri quotidiani». Sul giornale non c'è scritto, ma la «verità» è che la «Pravda» ha perso più lettori di tutti, crol¬ lando in un paio d'anni da 12 milioni a un milione e mezzo di copie. Riconoscerlo, certo, è difficile. Più facile è accusare «la pressione dei prezzi di mercato, che soffocato la libera Pravda». Più facile è addurre oscure macchinazioni politiche, paragonando il governo democratico di oggi alla repressione dell'epoca zarista. «Ai tempi dello Zar il giornale fu chiuso nove volte». Altre quattro fu bloccato dal governo provvisorio di Kerenskij, tra il febbraio e l'ottobre del 1917. «E infine è arrivato l'agosto 1991», quando Eltsin ordinò la chiusura della «Pravda» e di altri quotidiani che avevano apertamente appoggiato il colpo di Stato. La fine delle pubblicazioni è vissuta come una «vendetta dell'attuale potere», furioso per il fatto che il giornale dell'ex pcus «non ha cambiato colore né convinzioni, al mercato delle passioni politiche». Chissà come, malgrado la proverbiale lentezza delle Poste patrie, il quotidiano ha fatto a tempo a ricevere la lettera di un veterano, indignato per la scomparsa del «compagno di tutta una vita»: «Non riesco neanche a crederci». Oltre alle dispiaciute reazioni di un paio di corrispondenti stranieri, sulla prima pagina appare quella di Egor Gajdar, massimo responsabile della politica economica di Eltsin e quindi, agli occhi dei «pravdisti», principale colpevole del loro avvenire da disoccupati. Alla notizia della chiusura del giornale, Gajdar, anch'egli ex collaboratore della «Pravda», avrebbe reagito con un «Dio mio!». Ma guarda caso proprio un attimo prima che il giornalista-intervistatore accendesse il registratore. Dopo, il commento della «mente» della riforma è stato implacabile: «Non possiamo fare miracoli». Allora non sorprende che la «voce» dell'ex pcus si sia contratta in un urlo di rabbia. Gettato fango sul consigliere di Eltsin Galina Starovojtova («è esperta di caccia ai topi»), colpevole di essere donna e di pretendere al posto di ministro della Difesa, il giornale passa agli arcinoti artifici deformanti usati per tanti anni per dividere e distruggere i propri nemici ideologici. Il sindaco democratico di Pietroburgo, Anatolij Sobchak, avrebbe detto che il «congresso» che un migliaio di deputati dell'ex Urss vogliono organizzare martedì è legittimo, ed anzi avrebbe addirittura annunciato l'intenzione di parteciparvi. Pravda, verità? Pare di no, ma il direttore del giornale non si scoraggia: «Torneremo. Sentirete senz'altro parlare di noi». Fabio Squillante

Persone citate: Anatolij Sobchak, Boris Eltsin, Egor Gajdar, Eltsin, Fabio Squillante, Gajdar, Kerenskij, Sobchak

Luoghi citati: Mosca, Pietroburgo, Urss