Hitler l'ultima beffa

Hitler, l'ultima beffa Sugli schermi tedeschi la truffa che costò due miliardi allo «Stern» Hitler, l'ultima beffa / falsi diari diventano cinema I— BONN diari di Hitler tornano alla ribalta. Non come una sensazionale scoperta storica, ma in un film che racconta una delle più grandi «bufale» giornalistiche di tutti i tempi. Il settimanale tedesco Stern annunciò la scoperta del secolo il 28 aprile 1983, una settimana dopo il «compleanno» del Fùhrer: il ritrovamento dei diari di Adolf Hitler. «La storia del Terzo Reich - proclamava il settimanale -, dovrà in gran parte essere riscritta». In copertina c'era una foto dei diari, sessanta sottili volumi blu dati per scomparsi dopo la fine della guerra, e invece - spiegava lo Stern - salvati miracolosamente a bordo di un JU 352 che li avrebbe trasportati al sicuro fuori Berlino. Illustri storici e grafologi ne avevano assicurato l'autenticità, e il settimanale aveva già venduto i diritti in tutto il mondo. Ma pochi giorni dopo la pubblicazione, il Bundeskriminalamt, l'ufficio criminale federale, svelò il falso: «Un'imitazione grottesca e superficiale». Lo scoop crollò, per lo Stern fu una perdita di due miliardi di lire, tra il costo dei «diari» e le liquidazioni ai giornalisti responsabili. Per il reporter Gerd Heidemann, che nel 1983 si era fatto fotografare raggiante con i diari in mano, è la fine della carriera. Viene condannato a 4 anni di prigione perché i soldi sborsati dal settimanale per acquistare il falso non sono mai stati recuperati. Tre anni di prigione toccano anche a Konrad Kujau, un grasso signore calvo che ha scritto di suo pugno i «diari» e da allora è diventato il falsario più famoso del mondo. Lo hanno intervistato oltre 200 televisioni, fa l'anchorman per la rete televisiva privata SAT 1 e vende le sue opere nella «Galleria dei falsi» di Stoccarda. Sempre a Stoccarda, al Kriminalmuseum, sono esposti i falsi diari: per il film è stata usata una copia. La trasposizione cinematografica, spiega il regista Helmut Dietl, «non poteva essere così assurda come fu la realtà, altrimenti sarebbe diventata una farsa». Schtonk, il titolo, è un termine yiddish che letteralmente significa «grande pasticcio», ma è anche l'interiezione preferita di Charlie Chaplin nel Grande dittatore. In Schtonk la verità deve essere smussata per apparire credibile. «Quando per esempio il giornalista Heidemann racconta che i diari gli furono lanciati da una macchina in corsa in una strada di campagna della Ddr - dice Dietl -, la circostanza suona troppo fantastica: così nel film la scena non c'è». Sembra impossibile che nella redazione di un grande settimanale come Stern nessuno si sia accorto delle incongruenze e delle contraddizioni in tutta la vicenda. Un esempio: le iniziali dei diari sono in caratteri gotici, ma invece di A.H. si legge F.H. Una falsificazione del genere sarebbe stata subito smascherata se avesse riguardato un qualsiasi altro documento, commenta lo Spiegel. Il giornalista coinvolto nella messa in scena, Gerd Heidemann, era l'esperto di temi hitlerianir in redazione: ma non ha più visto niente se non il suo scoop. Dice beffardo il falsario Kujau: «Quello non è tanto a posto, quando vede una croce uncinata o una foto di Hitler o Goerìng perde la testa... avevo pensato di propinargli il Fuhrer vivo e vegeto in sedia a rotelle, ma poi non c'è stato più tempo». Heidemann si difende: «A posteriori sembra tutto così ovvio. Tutti se la sono presa con me, ma anche i più famosi periti del mondo hanno creduto all'autenticità dei diari; e persino i criminologi del Land Renania Palatinato avevano assicurato che la grafia era di Hitler». E in un certo senso lo era davvero: uno studio successivo del Bundeskriminalamt fa notare che il caso dei diari è unico nella storia, il falsario Kujau ha agito con «energia criminale» riuscendo a fare prò- pria la calligrafia del Fùhrer. Non era mai accaduto prima che una persona riuscisse nel breve periodo di due anni a falsificare sessanta diari oltre ad innumerevoli altri scritti e numerosi dipinti, del Fùhrer naturalmente, tra cui un nudo di Eva Braun. Il film inizia con una scena nel bunker, di Hitler. Un soldato tedesco cerca di dare fuoco ai corpi del dittatore e della sua compagna. «Herr Obersturmbannfùhrer - grida il soldato - non brucia. Il Fùhrer non brucia e neanche Frau Braun, la Frau Fùhrer». Il comandante prende una tanica di benzina e la rovescia sui cadaveri. Per il regista Helmut Dietl è soprattutto questo che conta, la verità psicologica. L'attore Goetz George (per il film ha abbandonato il ruolo di commissario televisivo che lo ha reso famoso in Germania) recita il ruolo del reporter; è sempre nervoso, sudato, ansima, è ossessionato dallo scoop e non vede altro. Quando il falsario gli presenta un'urna con le ceneri di Hitler e Eva Braun (più scure e granulose quelle di lui, grigie e fini quel¬ le di lei) ne prende un pizzico per la sua tabacchiera. E il falsario, nel film Uwe Ochsenknecht (uno degli Uomini di Doris Dome), si sottopone ad una metamorfosi anche fisica. Da placido quarantenne, coccolato dalla mamma e dall'amante, si tramuta in un nuovo Fuhrer con una lunga chioma bionda e dallo sguardo allucinato. L'amante gli dice che puzza e lui scrive nel diario «soffro di costipazione, Eva mi ha detto che ho l'alito pesante». Francesca Predazzi Troppe assurdità nella storia vera: il regista costretto a «tagliarle» a Gerd Heidemann con i presunti diari del Fuhrer, il giorno che lo «Stern» annunciò la clamorosa scoperta. In alto, Konrad Kujau, divenuto il falsario più famoso del mondo. Sotto, Hitler: Kujau imitò perfettamente la sua calligrafia

Luoghi citati: Berlino, Ddr, Germania, Renania, Stoccarda