Andreotti: calunniatori peggio dei killer di Pierluigi Battista

Andreotti: calunniatori peggio dei killer Il Capo dello Stato convoca al Quirinale i vertici di polizia, carabinieri e servizi segreti Andreotti: calunniatori peggio dei killer Dall'assenza di Cossiga altre picconate ai democristiani ROMA. Meno malo che c'è il protocollo. Francesco Cossiga ricorre alle astuzie sottili dell'etichetta di Stato, sfodera tutt'intera la sua maestria nel destreggiarsi tra le insidie del cerimoniale per raggiungere simultaneamente due obiettivi: dimostrare il suo rispetto per le forme e intanto sferrare un micidiale colpo basso a una de ancora stordita dall'assassinio di Salvo Lima. Soffocare sul nascere una rissa istituzionale ma rimarcare, attraverso la simbolica assenza dai funerali dell'esponente democristiano ammazzato a Palermo, la sua lontananza dalla de più prossima a Salvo Lima: quella di Giulio Andreotti. Sarebbe dunque la «costante prassi del cerimoniale di Stato» la causa della mancata partecipazione del Capo dello Stato al rito funebre palermitano. Il Quirinale spiega che, se si tratta di funerali di Stato, è consuetudine che «il Presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio si alternino nelle loro presenze in cerimonie funebri». O l'uno o l'altro, dice Cossiga: uno dei due è superfluo. E stavolta è toccato a me essere di troppo. La forma è salva, ma il comunicato del Quirinale concentra nelle righe immediatamente successive le allusioni più aspre. Cossiga fa sapere infatti che «il Capo dello Stato ha dolorosamente partecipato in tutti questi anni a tutte le esequie di appartenenti alle forze di polizia e semplici cittadini caduti nella lotta contro la criminalità». E perché allora stavolta il Capo dello Stato fa eccezione con Salvo Lima? Che vuol dire, che il caso dell'eurodeputato de trucidato a Palermo non rientra nella categoria dei «caduti nella lotta contro la criminalità»? La «prassi» non consente al Quirinale di sciogliere l'ambiguità. Ma Cossiga conosce alla perfezione la valenza simbolica dei riti funebri di Stato. Proprio in occasione di un altro funerale, quello di Franco Maria Malfatti, il Presidente della Repubblica colse l'opportunità per umiliare pubblicamente la nomenklatura democristiana schierata al gelo fuori della Chiesa in attesa, vana, di un cenno del Capo dello Stato. E adesso, con la sua non partecipazione ai funerali di Salvo Lima, Cossiga aggiungo un tassello velenoso alla sua offensiva antiandrcottiana. Naturalmente nel rispetto più scrupoloso della «prassi»: «Avendo il presidente del Consiglio deciso di partecipare alle esequie solenni dell'onorevole Lima anche a motivo dei suoi rapporti di partito e di personale amicizia, si è deciso che il Capo dello Stato non vi partecipi». Ci mancavano le perfidie del Quirinale a rendere più difficile una delle giornate più cupe per Giulio Andreotti. Nella sua intervista a Panorama, il presidente del Consiglio difende a spada tratta la memoria di Lima, attacca a fondo «i calunniatori che sono peggio degli assassini». Risparmia la replica pe- sante al Presidente della Repubblica. Ma è un andreottiano di ferro, Vittorio Sbardella, che si prende l'incarico di dire quello che il suo capo non può nemmeno sussurrare: «L'assenza di Cossiga è stato un errore perché il senso dello Stato in queste occasioni si fa sentire». Un Capo dello Stato senza «senso dello Stato». Con l'omicidio Lima il Palazzo sembra entrato nel tunnel del panico. Ma sulla de e su Andreotti cala in serata la scure di Claudio Martelli che mette impietosamente tutti i «politici democristiani» assassinati dalla mafia su un piano diverso da quello dove giacciono gli «eroi» Dalla Chiesa o La Torre o Chinnici. Un esponente della Rete, Carmine Mancuso, dipinge un inedito scenario: l'omicidio di Lima «è un messaggio diretto ad Andreotti attraverso una "picconata" per il sistema andreottiano, che ora viene messo da parte e quasi cancellato». E se rispunta il fantasma della «picconata», Achille Occhetto ribadisce il suo sospetto su un «complotto» contro Andreotti: «L'omicidio di Lima può essere anche visto come un regolamento di conti, ma dato che si è consumato durante una campagna elettorale è soprattutto un avvertimento a tutte le forze politiche, de compresa». E nella de si fa quadrato. Ciriaco De Mita accusa chi, anziché contribuire alla «lotta contro la criminalità», si fa prendere dalla tentazione di «strumentalizzare e fare processi a ignoti e emettere sentenze non motivate». Parole analoghe per il segretario del pli Renato Altissimo: «C'è un'altra ombra: quella del sospetto fine a se stesso, delle insinuazioni, del gioco al massacro che non si ferma neanche di fronte a una bara». Altissimo entra in polemica diretta con Martelli e con La Malfa. Ma il segretario repubblicano, nonostante le esortazioni di Giovanni Spadolini a costituire «un fronte morale nazionale dopo le elezioni», non modifica la sua gelida posizione iniziale: «Provo orrore di fronte all'assassinio. Ma non si può dimenticare chi era la vittima». Sul Palazzo attraversato dalla paura e dallo sgomento piombano le minacce del segretario del msi Gianfranco Fini: occorre «decretare lo stato di guerra interna e passare per le armi gli assassini che imperversano oramai in tutta Italia». Filippo Caria, capogruppo psdi alla Camera, propone di affidare il ministero dell'Interno «a un generale dei carabinieri con ampi poteri militari nella gestione dell'ordine pubblico». E proprio mentre a Palermo si svolgono i funerali di Lima, quelli ai quali si è ostentatamente sottratto, il Presidente della Repubblica ha convocato al Quirinale il Capo della polizia Parisi, il Comandante Generale dell'Arma Viesti e il direttore del Sisde Voci. E oggi è intenzionato a vedere il ministro Scotti. Pierluigi Battista Giulio Andreotti in chiesa tra il sindaco di Palermo Lo Vasco e Forlani

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