«Questo è un delitto politico» di Cesare Martinetti

«Questo è un delitto politico» «Questo è un delitto politico» // sindaco Lo Vasco evita la parola «mafia» NELLA PALERMO PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Il cadavere eccellentissimo di Salvo Lima entra a Palazzo delle Aquile quando mancano pochi minuti alle 8 di sera e da due ore soltanto la giunta ha deciso, dopo un lungo dibattito e un lungo imbarazzo, di ospitare la camera ardente. Solo alle 6 i commessi in marsina nera si sono messi a sgomberare la sala Antinori, mentre gli operai del Comune stendevano la lunga guida rossa nell'atrio monumentale, dove sarebbe stata più sontuosa e adeguata la sala per il cordoglio, ma non si può, perchè il tetto è rotto e ci piove dentro. Intanto Domenico Lo Vasco, sindaco de di una giunta dc-psipsdi, si affanna nel suo studio immenso, circondato da divani damascati rossi su cui siedono gli amici di Lima, parlottano a bassa voce, ogni tanto si alzano, si baciano sulle guance, si toccano la mano e se ne vanno. Il sindaco si districa tra telefoni e telefonini, deve capire dove si trova il segretario Forlani che dicono appena arrivato a Palermo, ma vuole anche sapere da casa se possono mandargli una giacca blu perché quella che ha addosso, grigia, a quadretti, gli sembra che non vada. Intanto la segretaria gli ha finalmente trovato la figlia di Salvo Lima e può parlarle: «Il mio dolore... papà sta arrivando qui... abbiamo pensato ai fiori». Ma che dice Lo Vasco di quest'omicidio? «Un delitto politico, non c'è dubbio, per il momento in cui è stato fatto... Se fosse un altro momento, voglio dire non in campagna elettorale, potrei pensare che si tratta di un'altra cosa...» Un delitto mafioso? Lo Vasco prende tempo, non dice di sì, non dice di no, fa una smorfia, fa capire che non vuol rispondere: «Un delitto politico», e saluta spiegando le «determinazioni» della giunta. Un giorno di lutto cittadino, la camera ardente in Comune perché Lima è stato sindaco, qui a Palazzo delle Aquile, dal '58 al '63, un manifesto che si sta stampando e sarà affisso in tutta la città. Funerali oggi, a mezzogiorno, nella chiesa di San Domenico, a vantiquattr'ore appena dall'omicidio perché la vicenda sia chiusa subito e presto. Per la camera ardente in Comune, il pds era contrario, chiedeva che si facesse prima un consiglio comunale in cui discu¬ tere sul delitto politico a Palermo e poi perché non si fece per Poppino Insalaco, ex sindaco pure lui e scomodissimo democristiano, ammazzato dai killer come Salvo Lima. Michele Figurelli, capogruppo, non usa giri di parole: «Lima è caduto sotto il piombo di quel sistema politico mafioso del quale era uno dei più alti e potenti rappresentanti». Nino Alongi, di «Città è per l'uomo», uno dei motori della «primavera di Palermo», invece non si oppone alla camera ardente: «Il giudizio storico su Lima non cambia». Arrivano i primi fiori, tre mazzi, nella sala Antinori, ed ecco il senatore (de) Cappuzzo, che è stato comandante generale dei carabinieri ed è siciliano. Gli si fa incontro Mimmo Di Benedetto, è uno degli uomini più vicini a Lima, uno dei suoi eredi. Come spiega il delitto? Mimmo scandisce le parole: «Io non spiego, constato: il delitto è avvenuto oggi, non quindici giorni fa e non tra venti giorni...» Che vuol dire? Che siamo in campagna elettorale? Che a Palermo lo scontro è duro? «A Palermo? E questo sarebbe un delitto palermitano? Sempre questa...cosa nostra? No questa è molto più grande e colpisce un partito che dovrebbe prendere molti e molti voti». Politica, fa capire Di Benedetto, altro che mafia. Lima, l'ultima uscita pubblica, l'aveva fatta al tribunale di Palermo, giugno 1991, quando scese in campo per difendere Vito Ciancimino, anche lui ex sindaco, ma per il quale (quando sarà il momento) difficilmente sarà allestita una camera arden¬ te in Comune dal momento che prove di mafiosità ne ha lasciate fin troppe. Poi Lima non s'era più sentito, solo il silenzio del suo lavoro politico, al terzo piano del palazzo di via Amari dove adesso incontriamo un sottotenente dei carabinieri che presidia gli uffici: «Non c'è nessuno, stiamo controllando le carte». Cinque piani più sopra c'è la sede regionale della de. Ma ci hanno lasciato solo, sotto un crocefisso di metallo lucidato, Raffaello Rubino, forlaniano, uno dei tre vicesegretari. Dice che Lima lo vedeva ogni mattina, nel suo ufficio. Che faceva? «Campagna elettorale per Mario d'Acquisto, il suo fedelissmo, riceveva gente, organizzava la venuta di Andreotti, il 23». Si sentiva minacciato? «No. Non aveva nemmeno la scorta, non l'ha mai avuta». E' buio e piove ancora quando una lunga fila di auto blu, col fungo blu acceso, taglia il traffico impazzito di Palermo e annuncia l'arrivo di Forlani, in via Alumia, dov'è la vera sede. Al quarto piano, le facce di pietra della nomenclatura de. Nicolosi, Mattarella, Marinino; ecco veloce e terreo Mario d'Acquisto, l'uomo di Lima, ecco il ministro psdi Carlo Vizzini: «...non mi sento di dare dei giudizi. Ho portato solidarietà». E' la volta di Forlani: «Campagne diffamatorie irresponsabilmente condotte hanno spianato la strada a un crimine mostruoso...» Segretario, si riferisce a Leoluca Orlando? Ma Forlani non risponde. Cesare Martinetti I fedelissimi «Cosa Nostra? Questa vicenda è più grande» Polemica sulla camera ardente II pds: non doveva essere il municipio Sopra il segretario della democrazia cristiana, Arnaldo Forlani e, di fianco, Sergio Mattarella, vicesegretario nazionale della de