Orlando: non mi pento d'averlo combattuto di Fabio Martini

Orlando: non mi pento d'averlo combattuto Orlando: non mi pento d'averlo combattuto ROMA. Sul viso ha ancora il cerone che gli hanno messo quelli di «Tribuna elettorale», ma ora che i riflettori sono spenti, Leoluca Orlando, tra sé e sé, ricorda quel momento, quando ha saputo che il suo nemico di tanti anni era stato ammazzato: «Stavo andando a Trapani - racconta - e ho saputo la notizia dalla radio della polizia». E in quel preciso istante, cosa ha pensato? Orlando non esita, non pensa la risposta: «Ho pensato che l'omicidio è sempre terribile. Ho pensato a che livello è arrivato lo scontro. Ho pensato al delitto Calvi. Ma ho pensato anche a Giulio Andreotti». Sono le 19,30, sono passate dieci ore da quando Salvo Lima è stato ammazzato. Finita la registrazione della tribuna, in una saletta della Rai, Leoluca Orlando beve un po' d'acqua, guarda la tv, che trasmette notizie sull'omicidio e, a voce bassa, commenta: «E poi il modo in cui l'hanno ammazzato: hanno guardato negli occhi uno e non' hanno sparato, hanno guardato gli occhi di un altro e non hanno sparato...». Orlando non finisce la frase, guarda negli occhi chi gli sta vicino, non vuole infierire su quel nemico morto ucciso, ma come è suo stile, non si tira indietro. Più di un anno fa se ne è andato dalla de lanciando strali terribili contro Salvo Lima e il suo «patron» Giulio Andreotti e ora non può fare a meno di riaccendere quella polemica' «Sulle cause della uccisione di Salvo Lima bisognerebbe che Andreotti ne chiedesse qualcosa a Vito Ciancimino, che un tribunale della Repubblica ha riconosciuto mafioso. Quel Ciancimino che ha raccontato - sta scritto negli atti processuali - di avere avuto un incontro a palazzo Chigi con Lima e con Andreotti». Già, Andreotti, uno degli obiettivi fissi della polemica di Orlando, che infatti insiste: «Andreotti ha detto dalla tv pubblica di essere amico di Ciancimino. Ora lo difende ancora?». Orlando attacca* ma c'è anche chi lo attacca, lì primo commento a caldo di Arnaldo Forlani non lo chiama esplicitamente in causa («suona male lo sdegno di chi spiana la strada a questi delitti con la diffamazione»), ma è facile cogliere un'allusione all'ex sindaco di Palermo. Orlando, perché quel commento di Forlani? Orlando ci pensa, riflette, ma stavolta preferisce non rispondere. E un quarto d'ora prima, a chi gli aveva chiesto se Lima potesse essere stato vittima di una campagna di diffamazione, l'ex sindaco di Palermo aveva evitato di replicare a muso duro a Forlani, rispondendo così: «Da 25 anni sull'attività di Lima ci sono fatti, atti e non solo giudizi. Io non credo di dovermi pentire per averlo contrastato. Deve pentirsi chi ha tenuto nel proprio recinto cavalli di Troia che hanno fatto entrare la criminalità, una criminalità che è ormai presente nelle istituzioni». L'allusione è chiara e si porta dietro una nuova domanda: Lima è stato il cavallo di Troia della mafia dentro la de? «Io dico che Ciancimino faceva parte della corrente di Lima e io lo avevo più volte indicato come persona vicina alla mafia. E credo anche che sia la più grande delle ipocrisie paragonare questo omicidio a quelli di Pio La Torre, del generale Dalla Chiesa, di Mattarella, di Libero Grassi». Orlando non arriva a dire che Lima è stato ucciso per un regolamento di conti, ma lo fa capire: «La de dice che è un delitto politico? Sì, certo perché scoppia dentro in un groviglio di rapporti tra mafia, affari e politica». Ha paura, Orlando? «La mafia - dice - uccide da anni e lo scontro è così forte che non esistono intoccabili». E andrà ai funerali del suo nemico? «Domani non avevo in programma di stare a Palermo». Fabio Martini