Forlani: prima le calunnie, poi i killer di Augusto Minzolini

Forlani: prima le calunnie, poi i killer a piazza del Gesù, de in trincea. Il segretario in prima linea, i commenti dei leader Forlani: prima le calunnie, poi i killer «Chi ha diffamato Lima ha spianato la strada al delitto» E Sbardella accusa La Malfa: «Fa speculazioni ignobili» ROMA. Sono le 11 di ieri mattina e Giuseppe Sinesio si guarda intorno esterrefatto alla buvette di Montecitorio. E' un democristiano siciliano di lungo corso, ha otto legislature alle spalle e in queste elezioni tenta di lasciare in eredità al figlio Antonio il suo seggio alla Camera. Ma anche lui, che ha visto morire gente come Piersanti Mattarella e Salvatore Reina, è quasi senza parole di fronte al delitto di un uomo che fino a ieri nella de siciliana era considerato ^«intoccabile» per antonomasia: Salvo Lima. «Il rischio - si sfoga - è che sia il primo di una lunga serie... In Sicilia c'è una situazione politica ingessata... e questo male non riguarda solo la de, sotto Milazzo il consociativismo c'è stato per tutti. A me dispiace perché Lima era una persona garbata, ma da quel mondo non si esce quando ti conviene, non te lo permettono e forse lo hanno ammazzato proprio perché voleva mandarli affane...». Questo pensa e sussura la de siciliana sia pure senza nominare la parola «mafia». Ma c'è un'altra de, quella dei capi, che nelle stesse ore è alle prese con questo delitto eccellente, inaspettato e scabroso che ha come vittima un esponente della direzione, un notabile. A piazza del Gesù la notizia arriva mentre nel suo studio Arnaldo Forlani sta parlando di ben altro con Antonio Gava. Arriva su una linea telefonica interna riferita dal «portavoce» Enzo Carra, un attimo prima della chiamata di Giulio Andreotti. Tra tanti mali, forse per la de è un bene che in quest'occasione sulla poltrona di segretario sieda proprio Forlani, forse solo lui trai capi de può ajzare la voce e dire che si tratta «di un delitto politico», «di un atto terroristico». Le parole di Giulio Andreotti, il padre politicò'ÓTLima, infatti, non avrebbero avuto lo stesso effetto perché il presidente del Consiglio, volente o nolente, recita una parte in questo delitto, visto che per molti è il destinatario di quel messaggio inviato con tre colpi di pistola. Né avrebbe avuto la stessa efficacia la presa di posizione di Ciriaco De Mita, che diede i natali politici a Leoluca Orlando il «nemico» di Lima. Forlani si rimbocca le maniche e fa fino in fondo la sua par¬ te. E' teso il segretario quando appare sul portone di piazza del Gesù, ma senza indugiare detta alle agenzie di stampa la linea della de sul «delitto»: «E' un fatto mostruoso che si aggiunge alla catena di crimini terroristici». E per essere più efficace Forlani mette in relazione l'assassinio di Lima con quello del giorno precedente del consigliere del pds di Castellammare. Poi, in ultimo, l'attacco ai vari Orlando, a tutti quelli che hanno identificato Lima con la mafia. «In queste situazioni - spiega Forlani - sono comprensibili tutte le espressioni di dolore, ma queste suonano male quando vengono da chi con campagne diffamatorie e calunniose spiana la strada a questi delitti». Dietro a Forlani si schierano tutti gli alti vertici della de. Pure Sergio Mattarella sposa la tesi del delitto politico. Intanto a Montecitorio appare Antonio Gava, il grande sacerdote doroteo. Anche lui a prima vista appare sperduto. «Abbiamo saputo - dice - della morte di un amico. Ci sono state altre campagne elettorali drammatiche, ma questa certo...». E giù anche lui contro i vari Orlando, La Malfa, Occhetto e quant'altri hanno tentato di processare la de e i suoi uomini. «Chi ha indicato all'odio avrà problemi di coscienza. Si può contrastare una persona, ma non indicarla all'odio della gente». Eppure, anche tra loro, tra i capi, aleggia il dubbio. «Non lo so - dice, seduto su un divano di Montecitorio Mino Martinazzoli - ma prima di dare a questo delitto un significato politico bisogna stabilire se la cupola mafiosa fa politica. E per me questa è già un'idea ostica». C'è la de siciliana che parla anche di «mafia». Qjjè la de dei capi che parla di «delitto eccellente», di attacco allo Stato, di attacco al partito. E, infine, clè la ad andreóttiffi&à; quella pnr colpita. Sì, perché Lima era nato de, ma negli anni era diventato soprattutto «andreottiano». Per questo molti nel partito arrivano addirittura ad interpretare il delitto come un avvertimento ad Andreotti. E anche ieri la corrente, in morte come in vita, ha difeso a spada tratta l'immagine dell'uomo. Andreotti non scende in campo, ma i suoi uomini, ad uno ad uno, rifiutano con veemenza l'ipotesi del delitto di mafia e at¬ taccano frontalmente chi non ha rispetto. «Hanno ucciso il mio migliore amico» si sfoga Franco Evangelisti. «Un grande lavoratore per l'integrazione europea» gli fa eco Claudio VitaIone. «Un feroce assassinio conseguenza dell'odio e delle calunnie» rincara Nino Cristofori. Su tutti, Vittorio Sbardella, che all'interno della corrente aveva in Lima un fedele alleato nelle continue scaramucce contro Paolo Cirino Pomicino. «Questo - dice con fermezza - è un delitto politico. Lo dicono tutti tranne quel deficiente di Occhetto e quella merda di La Malfa, perché ha paura che gli tocchino il gruzzoletto di voti che spera di raccogliere con speculazioni ignobili». E insieme a Sbardella, gridano il loro sdegno altri andreottiani di complemento come Roberto Formigoni o il leader del movimento popolare, Giancarlo Cesana, che giudica il delitto Lima figlio «del moralismo, della cinica indifferenza, della velata approvazione del cosiddetto "partito degli onesti"». Gli stessi che poche settimane fa avevano appaludito ad un editoriale del Sabato: «Meglio Lima di Bobbio». Una mobilitazione obbligata quella degli andreottiani: Luna era uno dei capi della corrente. «Quando parlava - racconta Sbardella - lo stesso Andreotti lo ascoltava». E Lima nel gruppo aveva un ruolo di «equilibrio». Neanche due mesi fa, proprio il «proconsole» andreottiano in Sicilia organizzò una cena per mettere fine ad una guerra che da anni sconquassa il gruppo, quella tra Sbardella e il braccio finanziario del capo, Giuseppe Ciarrapico. Già, non si può dire che con Lima sia stato assassinato un oscuro de. Ecco perché la de in Sicilia trema, per i voti e per il resto. E proprio i siciliani ieri sera, sono gji ultimi a parlare. «La paura non è un coefficiente di successo» avverte Calogero Marmino, «Probabilmente,Jha colpito la spada della mafia, ma non si capisce chi e perché l'ha armata» è la tesi di Pano Nicolosi. E Vito Fàggio è il più efficace a descrivere il terrore de: «Qui non è guerra di preferenze, è come in Colombia. Gli hanno ripristinato il maxi-processo e il resto e loro ci hanno fatto sapere chi comanda in Sicilia ammazzando proprio l'intoccabile». Augusto Minzolini Nella foto grande il cadavere dell'eurodeputato della de Salvo Lima, nel riquadro l'ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando che è stato uno dei suol più accaniti oppositori