«Instinti» cuore e professionalità per i sopravvisuti del video

«Istinti», cuore e professionalità per i sopravvissuti del video TIVÙ'a TIVÙ' r n «Istinti», cuore e professionalità per i sopravvissuti del video GUERRA. Sopravvivenza. Morte. Vendetta. Solidarietà. Istinti. Di tutto questo si è parlato per cinque puntate a Canale 5, il martedì intorno alle 23. Ora tarda, ora in cui si trasmettono cose che vanno tenute un po' nascoste: spettacoli teatrali, dibattiti tra scrittori, film vietati, rubriche di libri. Oppure cronaca fatta di immagini forti, come nel caso di «Istinti», la cui visione era consigliata «ai soli spettatori adulti». Come se i bambini fossero tutelati, durante il giorno, dalla violenza di molti film, dall'amoralità dei quiz dove ti danno milioni per dire come ti chiami, dalla barbara opera diseducativa di infiniti spot, dalla sfilata di certe facce e dall'ipocrisia di certe parole. Peccato per «Istinti»: se l'aggettivo «educativo» non avesse assunto ormai un significato equivoco, si potrebbe definirlo proprio così, educativo. Prima di tutto perché gli autori, Mimmo Lombezzi e Elena Caputo, hanno realizzato una serie di reportage brevi, incisivi, senza tempi morti: siccome sono andati davvero nei luoghi di cui si parlava, chissà quanto materiale hanno sacrificato. Però il sacrificio ha prodotto delle sintesi essenziali. Nell'ultima puntata si trattava l'istinto della solidarietà. Tre i servizi in programma: uno sui cattolici tedeschi che si adoperano perché l'olocausto non venga dimenticato e combattono allo I pere I dime stremo il neonazismo; un altro su Vesna Bosanac, l'«angelo di Vukovar», un medico che, durante l'assedio della città croata da parte dei serbi, ha lavorato in condizioni spaventose, con l'ospedale bombardato, i feriti accatastati l'uno sull'altro, operando senza sosta tutti, croati, serbi, cetnici; il terzo servizio era il più choccante, drammaticamente originale, titolo «I trecento figli di papà Jaime». Jaime J arami Ilo è un ingegnere petrolifero di Bogotà, Colombia: agiato, bella moglie, beila casa, due bei figli, dedica tutte le sue energie alla salvezza, al recupero, dei «gamines», i bambini che vivono come topi nelle fogne cittadine, scappati dalla povertà ancora maggiore delle campagne, dalla spietata legge dei «cartelli» della droga, dalla violenza delle famiglie. I «gamines» sono perseguitati dagli squadroni della morte, spesso in combutta con la polizia; periodicamente vengono sterminati, come se davvero fossero topi, nel mome della «limpieza social», la pulizia sociale. Vivono di nulla, sniffano colla e fumano «besujo», una sottospecie di crack che li aiuta a sopportare i morsi della fame e accartoccia i polmoni. Solo Jaime li aiuta, solo in Jaime hanno un po' di fiducia. Ma nessuno aiuta Jaime, tanto meno lo Stato, che gli ha soltanto messo a disposizione una costruzione diroccata. Quella vecchia casa è diventata la fondazione «de los nifi os de los angeles»: di «ninos» ne ha già raccolti 300, ed è sempre più solo di fronte agli squadroni della morte. Dice, con la sua bellissima faccia e un tono pacato: «Mi possono uccidere in qualunque momento, ma io non posso che andare avanti». Lo dice con semplicità, come se quello che fa, potessero farlo tutti. Con poche paroìe mette in rilievo una bella serie di istinti: la ferocia, la morte, la sopravvivenza. La solidarietà: grazie a lui che ce l'ha dimostrata, grazie a questo programma che ce l'ha ricordata. Alessandra Co mazzi zz^J Gemma in «La moglie nella cornice»

Persone citate: Alessandra Co, Elena Caputo, Mimmo Lombezzi, Vesna Bosanac

Luoghi citati: Bogotà, Colombia