Aziende, ora l'Italia fa shopping all'estero di Leopoldo Pirelli
Aziende, ora l'Italia fa shopping all'estero POLITICHE INDUSTRIALI Fusioni e acquisizioni: cala la febbre, ma nel '91 abbiamo comprato più di quanto si è venduto Aziende, ora l'Italia fa shopping all'estero L'ultimo colpo è della Fochi che entra in una holding brasiliana MILANO. Italia non più terra di conquista, ma anche di conquistatori. Una ricerca della Kpmg Peat-Marwick sulle fusioni e acquisizioni (in gergo anglo-tecnico Mergers & Acquisitions o più semplicemente M&A) effettuate nel 1991 mostra che, nonostante la crisi, le società italiane continuano a fare shopping all'estero. Anzi, per la prima volta il nostro Paese risulta acquirente netto di attività in terra straniera: 147 operazioni concluse da italiani oltrefrontiera, per un controvalore di 8200 miliardi, contro le 120 M&A (valore complessivo 7300 miliardi) effettuate da società straniere nei nostri confini. Una tendenza che sembra confermata anche in questi primi mesi del '92. L'ultimo esempio è di ieri: il gruppo bolognese Focili ha pagato oltre sei milioni di dollari per il 30% dei diritti di voto della brasiliana Montreal Empreendimentos, una holding che controlla venti società con inte¬ ressi che spaziano dall'ingegneria all'energia, dalla chimica agli impianti industriali. E le «avventure» oltrefrontiera continuano, anche grazie all'attività delle banche d'affari come la neonata Cragnotti & Partners di Sergio Cragnotti, che nel '91 ha effettuato sei operazioni di questo tipo. Certo, la recessione ha colpito duro: nel '91 l'attività di acquisizione e fusione ha subito un drastico calo rispetto agli anni precedenti e anche chi compra di più, come l'Italia, spende di meno. L'anno scorso 1 valore totale delle M&A che hanno coinvolto società italiane, considerando anche le operazioni «Italia su Italia», è stato di 30.500 miliardi, con un calo di oltre un terzo rispetto ai 48 mila miliardi del '90. E anche in termini numerici il mercato è balzato indietro di tre anni: 613 operazioni concluse, vicine alle 641 del 1988 e in forte calo rispetto alle 920 del '90. Ma quali ragioni stanno dietro la nuova voglia di estero degli italiani? Merito di imprenditori che anche in tempi difficili cercano occasioni in giro per il mondo, anche a rischio di inciampare come nel caso PirelliContinental? O, al contrario, segnale di una profonda sfiducia delle imprese estere nei confronti dell'Azienda Italia? «Contano entrambi i fattori - dice Claudia Negri, l'analista che ha curato la ricerca della Kpmg - negli anni scorsi le società estere sono state molto attive in Italia e nel 1991 si sono limitate, un po' per la guerra del Golfo, un po' per la situazione difficile dell'Italia, a effettuare gli investimenti programmati in precedenza, senza farne di nuovi». E l'Italia, perché si muove all'estero? «Per le nostre società lo scenario sta cambiando rapidamente, con l'apertura della competizione europea hanno spesso dimensioni limitate per garantirsi la sopravvivenza: così fanno fusioni o scambiano quote di minoranza strigendo accordi strategici con altre società». Allearsi per non soccombere, insomma, specie in settori dove la piccola e media impresa prevale: non a caso nel '91 la maggioranza degli acquisti all'estero sono stati fatti nel settore meccanico e in quello del tessileabbigliamento, [f. man.] Sergio Cragnotti Leopoldo Pirelli
Persone citate: Claudia Negri, Cragnotti, Fochi, Peat, Sergio Cragnotti
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