PRATOLINI solo contro tutti

PRATOLINI solo contro tutti Dal '39 alla morte, diario di 50 anni nelle lettere all'amico Parronchi, ora pubblicate a Firenze PRATOLINI solo contro tutti w~f| FIRENZE 1/ ASCO Pratolini, scritto-W re frainteso, tormenta■ to, in condizioni econo! I miche spesso assai dure, mal tollerato durante il fascismo anche se del lavoro «di regime» ebbe bisogno; outsider isolato nella sinistra intellettuale dopo la guerra e l'impegno nella Resistenza; amato dal pubblico, non altrettanto dalla critica; spesso in difficoltà con gii editori; questo è il ritratto sofferto e sincero che si ricava dalle Lettere a Sandro, che Alessandro Parronchi, poeta e critico d'arte, destinatario delle confidenze dell'amico per più di cinquant'anni, pubblica per il tipografo-editore fiorentino Mauro Pagliai. Far conoscere la formazione umana e intellettuale di Pratolini, la gestazione lunga e dolorosa delle sue opere, è un debito d'amicizia per Parronchi, che accusa i critici di non aver letto attentamente Metello, Lo scialo, Allegoria e derisione, la trilogia di Una storia italiana, meritevole - secondo lui - di ben altra attenzione. Parronchi sostiene the la critica non ha colto come «la Trilogia si sia formata nel suo limpido disegno fin dal 1949, e attraverso quali vicissitudini e tormenti sia stata elaborata nell'arco di vent'anni». E indica nella lettera la riprova della sua tesi. Pratolini, dopo il successo delle prime opere, non è stato valutato come meritava, insiste il poeta fiorentino. Il rimprovero va a tutti gli studiosi più importanti, da De Robertis a Carlo Bo. Giuseppe De Robertis scrisse nel '55 un articolo, I due Pratolini, nel quale il celebre italianista riconosceva «quel tanto di poesia» alla parte di Metello dove l'autore parla di sé; l'altra, quella storica, gli appariva come «nulla di diverso da una rispolveratura di giornali di mezzo secolo fa». Questa recensione alimentò una polemica che si allargò al romanzo italiano in generale e alla quale presero parte anche Romanbo Bilenchi e Francesco Alicata. Nelle lettere, Pratolini risponde con veemenza ai suoi critici. Emilio Cecchi aveva definito la narrativa dello scrittore «nei momenti migliori» soltanto becera (termine fiorentino che significa sciatto e volgare insieme). Di lui, in una lettera del 1952, Pratolini scrive: «E' che il Cecchi non mi ha scoperto lui e allora non vuole che esista...». Carlo Bo lo aveva accusato di aver scritto Metello con un occhio alla macchina da presa e Pratolini, che gli era amico, se ne ricorda con amarezza in una lettera del 1956. Ma prima ancora aveva considerato la recensione di Bo «un articolo così povero di argomenti, così "psicologico" e così acritico da rasentare, se non lo conoscessimo, la malafede. Ma è lo schieramento dei cattolici e viene il momento in cui anche la buonafede diventa una inalazione». L'insofferenza per i critici è una costante. Pratolini, nella sua corrispondenza privata, sembra non risparmiare nessuno. Lancia frecciate ancora contro Cesare Cases e Carlo Muscetta, definiti «bisonti» e «filistei della malora»; e contro Pietro Citati, Paolo Milano, Anna Banti e Giorgio Bassani, «gente che conta così poco, in definitiva, se non per la sua perfidia, e la sua ignoranza della poesia». Pagina a cura di Lela Gatteschi m t| Roma, agosto 1940 m ON posso addirittura m uscire a causa del vestito 1 d'inverno che mi dik 11 strugge di sudore, si è macchiato, puzza senza scampo... (In quegli anni Pratolini ebbe quasi sempre lavori saltuari. Visse in squallide pensioni insieme alla moglie Cecilia; non possedette, per anni, neppure una macchina per scrivere. Ottenne nell'ottobre del '42 una cattedra di Poesia moderna e Storia dell'arte al conservatorio di Torino, desiderata e aborrita insieme. E a questo proposito, così scrisse a Parronchi, nell'ottobre del '42): «Ho fallito a scuola, caro Sandro. Sono in una condizione spirituale mortale. Mi ero preparato bene. Conosco i fatti dell'arte cretese e micenea da farne un saggio, ho comprato tutti i libri necessari rinunziando a mangiare. Ero preparatissimo. Ma appena entrato in classe, e mi son visto quei 21 individui davanti, mi sono emozionato, ho visto tutto bianco e le gambe mi tremavano. Una cosa ignobile. Non ho nemmeno finito la premessa, cioè non ho nemmeno incominciato la lezione vera e propria. Ho cercato di salvarmi leggendo sul testo, ma non ci vedevo, ho fatto appena in tempo a dure che non mi sentivo bene ed a scappare di classe e dalla scuola prima di cascare in terra svenuto». Arte e sincerità il mio problema Roma, 1 febbraio 1946 Tu dici: «il bisogno di essere sinceri...». E tutto quello che dici mi trova d'accordo, ma non codivido quella incertezza, quasi pau- ra direi, che ti procura la conclusione a cui le tue parole finirebbero col pervenire: cioè l'identità arte-sincerità. So che affrontando questo problema scopro l'America ed ho dietro di me pagine sterminate che mi danno ragione e altrettante che mi danno torto. Un artista è un po' sempre, per dirla scherzando, l'inventore del cavallo. Tu sai bene che Dante, Goethe, "Scespir", e Petrarca, Tasso e Leopardi hanno già espresso tutta la poesia e prima di loro l'avevano già espressa Omero, Saffo e Virgilio. Ma rinunciarono forse a esprimerla nuovamente? Rinunci tu «Carlo Bo rasenta la malafede. Cases e Muscetta? Bisonti filistei» Nel '56, dopo la rivolta diPoznan: «Sono leninista, per questo ho messo a tacere la mia coscienza» Un convegno e una mostra FIRENZE. A poco più di un anno dalla morte, Firenze celebra Pratolini con un convegno di studi a partire da giovedì 19 marzo; parteciperanno intellettuali e poeti che allo scrittore furono vicini fin dalla gioventù: oltre allo stesso Parronchi, il poeta Mario Luzi, il critico Oreste Macrì e il poeta e critico Piero Bigongiari. Lunedì 16 marzo, inoltre, verrà inaugurata al Teatro della ComTogliatt«Purtroppo è unA lettera che pubblichiamo, del 5 luglio 1956, segue di poco gli avvenimenti di Poznan, in Polonia, dove i sovietici avevano represso con la forza la protesta operaia e popolare. La parte più sensibile della sinistra italiana reagì: Romano Bilenchi, allora direttore del quotidiano fiorentino Nuovo Corriere, scrisse, il 10 luglio, un articolo di fondo dal titolo I morti di Poznan che non piacque a Togliatti e che fu~7T| Roma, 5 luglio 1956 1 ' ARO Sandro, non ti ho I scritto in questo ultimo 1 i mese perché non sono \èi stato troppo bene, i soliti disturbi che mi tolgono anche la velleità, non dico il desiderio, di pigliare la penna in mano per scrivere a te. (...) Io sono un uomo preso alla sprovvista in questo momento, perciò, malgrado collassi e deliqui, non sono intervenuto e non interverrò per ora nella discussione. Sono stato sempre antistaliniano, per questo la vera Ghepeù del pei mi ha dato la battaglia che mi ha dato, per questo mi trovo fuori del partito e in questa particolare condizione. Ma antistalinismo perché leninista. E per questo ho accettato tutto, messo a tacere la mia coscienza. Stalin aveva vinto, aveva creato il socialismo in un solo Paese, o comunque, a costo di spaventose, sanguinose ingiustizie, creato le grandi premesse di tutto ciò, aveva diretto il popolo russo nano il socialPaese, direttaflesso, più di trebbe Sceibamorte del lenifata sotto la nuovi, «un paindietro», infquel grande uorin sussulteralui, almeno, erdestra che nonrivata a questalo». A prometsgelo, e a negarprima ogni libScriverò, creun qualcosa digomento, non e non si può pcandidi Cassofesserie: almeSalinari sono fsa di cosa parlTogliatti, purttelligente, più un uomo di gdegli ottusi e sulla base, nonminata, che ha Pietro Citati, sopra, e Cesare Cases, qui accanto. Giudizi duri per entrambi nelle lettere di Pratolini: il primo «conta così poco se non per la sua perfidia». Il secondo è definito, con Muscetta, un «filisteo della malora»