I GRAFFITI DI POMPEI ACCALAPPIAVOTI di Sabatino Moscati

I GRAFFITI DI POMPEI ACCALAPPIAVOTI I GRAFFITI DI POMPEI ACCALAPPIAVOTI Una campagna elettorale di duemila anni fa LA campagna elettorale del candidato si divide in due parti: la prima consiste nell'assicurarsi la simpatia degli amici, la seconda nel conquistarsi il favore della gente. La simpatia degli amici si ottiene facendo loro dei piaceri, mantenendo gli obblighi, conservando il rapporto, mostrando buon carattere. Ma la parola "amici" nella campagna elettorale ha un'estensione di significato assai maggiore che in tutto il resto della vita: chiunque ti mostra qualche interesse o qualche riguardo, chiunque viene a casa tua è un amico». Chi ha scritto le parole di questo vero e proprio manuale del candidato, prezioso in periodo elettorale? Preghiamo i lettori di pazientare e andiamo avanti. «C'è poi la seconda parte della campagna elettorale, quella per assicurarsi il favore della gente. Bisogna conoscere la gente per nome, blandirla, starle appresso, essere generosi, far parlare di sé, suscitare speranze... La generosità ha un campo di azione assai vasto. Si manifesta usando il patrimonio: se anche non si può arrivare alla folla intera, tuttavia bisogna farne profittare gli amici, perché questo fa piacere alla gente. Si manifesta inoltre nei banchetti, nel rendere favori». Riveliamo, ormai, l'autore di questi consigli. Sembra in tutto e per tutto moderno, e invece visse nientemeno che duemila anni fa: si chiamava Quinto Cicerone, scriveva in occasione della candidatura al consolato del fratello Marco. Come si vede, il tempo ha modificato ben poco i caratteri della politica: per rappresentare il popolo bisogna ingraziarselo, e il metodo è sempre quello di distribuire favori e denari. Ma non basta, bisogna fare propaganda; e qui intervengono i manifesti murali, scritti e figurati, che pure esistevano duemila anni fa. Con una differenza: invece di attaccarli sui muri, si scriveva sui muri direttamente. Le testimonianze più abbondanti ci vengono da Pompei, lacelebre città distrutta dall'eruzione del Vesuvio. Per paradosso, la coltre di cenere e lapilli ricoprì la città ma in qualche modo ne protesse i resti, o almeno alcuni resti. Così troviamo ancora dipinti e scritte elettorali, che non si allontanano molto dalle nostre. Ecco un manifesto semplice: «Votate il tale». E uno più complesso: «Votate il tale come magistrato per l'amministrazione della giustizia. E' persona degna, capace di difendere la cittadinanza». Le scritte e le immagini elettorali sono tra le testimonianze più tipiche di un'arte che ha lasciato a Pompei amplissime testimonianze: la pittura. S'in- tende che, per il loro stesso carattere, tali testimonianze appartengono a un genere specifico, quello popolare. Ne dà un'ampia ricostruzione Fausto Zevi nell'opera di più autori La pittura di Pompei (Jaca Book, Milano, pp. 336, L. 240.000), corredata da ben 175 tavole a colori e 162 in bianco e nero. Si tratta, per l'uso del colore, della più imponente opera finora esistente al riguardo. Ma torniamo all'arte popolare, a quella vera e propria vocazione di dipingere ovunque, sulle pareti delle case e delle strade, propria della piccola città di provincia che in fondo fu Pompei; piccola in sé ma grande nelle testimonianze, ineguagliate per quantità e qualità. Orbene, la vita di ogni giorno ci torna incontro, ad esempio, nel dipinto della rissa nell'anfiteatro, scoppiata tra Pompeiani e Nocerini in occasione di uno spettacolo gladiatorio. L'episodio ricorda da vicino quelli accaduti nei nostri stadi: e anche l'esito è analogo, perché lo stadio di Pompei venne per lungo tempo squalificato. Non meno suggestivo è un dipinto con scene di vita nel Foro. Sulla piazza, i venditori ambulanti espongono le loro merci; una coppia di acquirenti esamina gli utensili di un fabbro, che siede sul suo banchetto in abito da lavoro; poco lontano, due signore si sono accomodate su sgabelli e un calzolaio presenta loro le scarpe. Altrove, maestro e allievi compaiono in una scena di scuola all'aperto; vengono letti gli editti pubblici, affissi sui basamenti delle statue equestri che ornavano il Foro; alcuni cittadini solennemente togati contrattano con i mulat tieri l'affitto degli asini. E' davvero rara l'efficacia di queste scene, che per certi aspetti sembrano moderne. E non sono le sole: ecco una la vanderia in funzione; ecco vari episodi di osteria accompagnati da scritte non proprio castigate, in un latino popolaresco; ecco un fornaio che offre il pane ai viandanti; ecco una venditrice di feltri e babbucce, confusa tra mobili affastellati. E così via, in una folla di protagonisti della vita d'ogni giorno raffigurati con realismo, bonarietà, finanche caricatura. Certo, la pittura pompeiana non è solo questa. All'interno delle case si dispiegano le pareti dipinte con scene mitologiche, o comunque ispirate all'antica e raffinata arte ellenistica. Il mondo mitico degli dei è accompagnato da quello favolistico degli eroi, in scene che non solo si dissociano dalla realtà quotidiana ma in qualche senso si oppongono a essa, creando nell'interno delle case un distacco e un'evasione. Ecco, dunque, Ercole nelle sue imprese straordinarie, Teseo e Perseo, Polifemo e Galatea, le tragiche eroine del fato da Alcesti a Medea e Dirce. Ai temi del mito eroico si aggiungono quelli ispirati ai poemi omerici e ai cicli connessi: da un lato gli episodi dell'Iliade e dall'altro lato le vicende di Enea, tanto care perché assunte a premessa delle origini di Roma. V'è poi l'influenza del teatro nelle scene derivate dalle tragedie, e più ancora nei quadretti di argomento teatrale inseriti a guisa di ornamento sulle pareti. Esisteva dunque, accanto al gusto popolare, una cultura letteraria che si rifletteva nell'arte: basti pensare alla raffigurazione, nella casa di Quinto Poppeo, del poeta Menandro in atto di leggere una sua commedia. Naturalmente, v'è una evoluzione storica nella pittura pompeiana, che trova espressione nella teoria dei quattro stili successivi: secondo la terminologia corrente, quello strutturale, quello architettonico, quello ornamentale e quello fantastico. Ma oggi sempre più si evidenzia il convivere, il sovrapporsi, l'alternarsi e il dettagliarsi delle componenti pittoriche. Di tutto ciò tratta diffusamente l'opera sulla pittura pompeiana a cui abbiamo fatto riferimento, e a cui possiamo rimandare. Raccogliamo piuttosto, concludendo, l'impressione di Arnold Bòcklin, un pittore svizzero che soggiornò a lungo in Italia e che così scrive: «Sebbene artigiani, i pittori pompeiani sono stati più grandi di tutti quelli succedutisi nei secoli XV e XVI. E' sorprendente con quale eleganza e bellezza abbiano saputo dare ordine a tutto e come si siano influenzati artisticamente tra loro. Ci si stupisce di quanto fosse profonda la loro padronanza del mezzo pittorico». Eppure, erano modesti provinciali del tempo antico. Sabatino Moscati

Persone citate: Arnold Bòcklin, Dirce, Fausto Zevi, Perseo, Quinto Cicerone, Quinto Poppeo

Luoghi citati: Italia, Medea, Milano, Pompei, Roma