SCAPIGLIATI ALLA CONTINI di Giovanni Tesio

SCAPIGLIATI ALLA CONTINI SCAPIGLIATI ALLA CONTINI U800 da Faldella a Cagna EPILETTICI della penna, terremoti della frase». Così Giovanni Faldella incideva per sé e per l'amico Achille Giovanni Cagna una puntualissima epigrafe. Ma c'è voluto poi l'occhio acuto di Gianfranco Contini per fare dei due scrittori vercellesi dei piccoli europei. Contini non ha mancato di registrare in un calcolato passaggio il tempo e il luogo dell'acquisto: «un mezzogiorno di agosto all'attacco di una collinetta da scampagnata prealpina». Il suggeritore è nientemeno che Gadda e quasi possiamo indovinare la fiera mole del gran Lombardo in procinto di mescolare alla fatica più che probabile il gusto randagio di un consiglio chissà quanto interessato. Ora quella ghiotta occasione, già trasformata in libro nei primi e precocissimi Anni Cinquanta, esce dal circuito dei pochi felici, come già è successo quattro anni fa con Italia magica, per presentarsi ai comuni e più che auspicabili lettori. Merito di DanteIsella se i Racconti della Scapigliatura piemontese vengono sotratti al silenzio pur fecondo delle pubbliche biblioteche e dei tanti repertori bibliografici che corredano tesi di laurea. L'antologia è infatti tutta quanta da leggere. Naturalmente le pagine di Faldella, di Cagna, di Roberto Sacchetti e di Edoardo Calandra. Ma anche YIntroduzione di Contini, di cui Isella fa la storia minuta dalla stesura del '42-43 alla pubblicazione in rivista del '47, alla giusta collocazione antologica del '53, non è meno ricca di umori e di stile. Contini si muove come in un territorio di cui registra le carte e fissa gli itinerari, alla maniera dei critici d'arte «quando attendono a restaurare le linee di una scuola provinciale non ancora consacrata». Il pensiero corre al grande esempio di Roberto Longhi, che il critico non ha mancato di studiare in pagine poi ben presenti a Pasolini. I toni non sono a tratti lontani dall'entusiasmo, anche se l'esperta conoscenza del mestiere e la prudenza del passo impongono frequenti chiaroscuri. Ma il giudizio complessivo è lusinghiero, impegnativo, poiché il Piemonte di Faldella - felice caposcuola - ne esce linguisticamente allineato «all'Ucraina di Gogol, al Berry della Sand, alle contee settentrionali di Emily Brontè e di George Eliot, all'im- minente Sicilia di Verga». Prima di Contini, il solo Croce e, dopo Pancrazi, Giansiro Ferrata si erano accorti di un autore che appartiene alla naturale aristocrazia dei «macaronici» (da Folengo a Gadda) e alla storia linguistica di un'Italia periferica e dialettale. Nel caso piemontese i due strumenti della lingua e del dialetto possono convivere distinti oppure stimolare prove ad impasto di più o meno alto potenziale espressivo. Ad un estremo appunto il calderone disparato della linea Faldella-Cagna, all'altro lo strenuo e sofferto avvicinarsi a una lingua quasi neutra ad esempio nel Calandra che riscrive il suo romanzo più famoso. Ma qui Calandra è presente con una novella, La straniera, il cui protagonista fa pensare per mimetismo derivato di stile a un eroe di Chrétien de Troyes e oggi forse ai più lievi intarsi medioevali di una Laura Mancinelli. Si potrebbero fare esempi di sintassi e di parole. Ma non è già abbastanza persuasivo quest'attacco faldelliano? «Mi dichiaro innamorato cotto non della mia lavandaia, brutta come la notte, ma delle partenze di buon mattino»; subito rinforzato: «quando veggo l'aurora in cielo, a me vengono delle ragazze bionde nel cuore». Pagine che mescolano affari morali e letterari, la pazienza di Giobbe e la peronospora della vite (e della vita), le convul¬ sioni di uno stile da sfrascare, ossia da liberare «dalle scorie della ridondanza», e magari la diffidenza per le opere che necessitano, come Faldella scriverà di D'Annunzio, di «un furto di dizionario dei casini». Il grave limite è proprio l'uggia moralistica, a cui i due amici vercellesi piegano gravemente. Tanto che lo stesso Contini in un saggio di qualche anno dopo può ben ridurre di tono il giudizio perentorio dell 'Introduzione: «Non è il caso di tornare a celebrare monograficamente con soverchia passione d'esegeta un autore che rischierebbe di non reggere, o addirittura di schiantarsi, sotto il peso dell'entusiasmo». Conviene dunque non dimenticare l'indisponibilità continiana «a smarrirsi fra i tanti gatti bigi della notte ottocentesca e a spendersi per loro», anche se è davvero uno spettacolo seguire le scoperte di un critico autentico alle prese con la novità della propria sfida. Le Notizie biografiche e bibliografiche degli autori, adeguatamente aggiornate, non sono l'ultimo dei meriti di un libro come questo, tutto raccomandabile. Giovanni Tesio Gianfranco Contini Racconti della Scapigliatura piemontese Einaudi, pp. 263. L. 28.000 Lorenzo Dellmni «Illialfìn»

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