Londra-Parigi, la guerra infinita di Mario Ciriello

Londra-Parigi, la guerra infinita Rissa sulla Manica: attacca il «Times», replica «Le Monde», si armano gli intellettuali Londra-Parigi, la guerra infinita «Imbroglioni». «E voi, una riserva zoologica» L LONDRA A Manica scotta, Londra e Parigi s'accapigliano e non è un duello cavalleresco, una baruffa goldoniana, ma un alterco da angiporto, da osteria del Far West, una rissa rozza, brutale, selvaggia. Altro che le picconate italiane, la furibonda «guerra» anglofrancese scolorisce, offusca le zuffe della nostra campagna elettorale, le deprezza a bonarie liti in famiglia. Tra Londra e Parigi volano ingiurie di fuoco, invettive al vetriolo, menzogne, minacce. Da tre settimane divampa questo conflitto e non se ne intravede l'epilogo. Si spegnerà soltanto per stanchezza, per esaurimento, non finirà certo a tarallucci e vino, nessuno si arrenderà. Dobbiamo preoccuparci? Vi sono rischi per l'Europa? C'è il pericolo di riverberi politici, diplomatici? La risposta è no. Possiamo sederci in platea e assistere senza ansie a questo ruggente match, possiamo osservarlo con animo tranquillo, perché i primi a godersi lo spettacolo sono proprio i protagonisti, inglesi e francesi. Sarà eccezionale, questa volta, la violenza del linguaggio, ma non è certo eccezionale la colluttazione. Un profondò, antichissimo rapporto di odio-amore lega Londra e Parigi, sono come due sorelle che segretamente si ammirano e si invidiano ma che una qualsiasi scintilla basta a trasformare in Furie ululanti. E' un retaggio della storia. Sir Philip Sidney, scrittore e diplomatico, contemporaneo di Shakespeare, disse: «Questo nemico così charmant, la Francia». Ancora oggi, quattro secoli dopo, i francesi irritano, stizziscono, indignano gli inglesi più di ogni altro popolo: e questi sentimenti sono ricambiati a Sud della Manica. André Maurois ha scritto nella Storia d'Inghilterra: «Le guerre del Trecento e del Quattrocento lasciarono un odio che, con alcune intermittenze, doveva durare sino alla fine del secolo XIX e lasciare nelle masse popolari dei due Paesi un'invincibile ed ereditaria diffidenza». Le alleanze delle ultime due guerre non hanno sanato le ferite. I francesi parlano anzi del «tradimento» di Dunkerque e rammentano con orrore ^aggressione» a Mers-el-Kebir, la base navale di Orano, nel luglio '40, quando una flotta di Sua Maestà affondò tre grandi unità e uccise 1250 marinai francesi. Churchill aveva ordinato l'attacco, per impedire che i vascelli cadessero in mani tedesche. Poi, pianse. Questa volta è stato il Sunday Times a destare le latenti ostilità. Ha acceso la miccia domenica 16 febbraio con una vasta inchiesta intitolata «Cos'è che non va in Francia?». Le sue conclusioni erano tetre. La Francia è malata, sosteneva, e, con una sciabolata finale, ricordava che l'infermità è visibile anche nello sport. «Lo si è visto a Albertville, dove la Francia si è dimostrata incapace di vincere più di tre medaglie d'oro». La reazione d'Oltremanica era immediata e irosa. Perdeva le staffe anche Le Monde. Il quotidiano parigino abbandonava la sua anglofilia e rammentava alla «perfida Albione» che, se la prova francese a Albertviile era stata insoddisfacente, la britannica era stata «disastrosa»: «Senza nessuna medaglia». Per il Canard enchainé vi è qualcosa di comico in questa predica che giunge dal traballante pulpito inglese. «La Rolls Royce è nella pattumiera, l'economia è sempre più fiacca e gli scozzesi vogliono andarsene dal cosiddetto Regno Unito». Allo stesso tempo, l'ufficio del Sunday Times a Parigi era bombardato «da una pioggia di telefonate ostili». Un signore di Lione urlava: «Abbiamo scelto l'alleato sbagliato durante la guerra. Prima ci affondate la flotta a Mersel-Kebir. Adesso ci ingiuriate». Un'altra voce inveiva: «Migliaia di vostri connazionali comprano ogni anno case di campagna in Francia, ma allo stesso tempo ci insolentite. La solita ipocrisia inglese». Passano i giorni, la diatriba comincia a disinfiammarsi, ma una singolare e infelice coincidenza porta al proscenio un sondaggio dello «European Value Systems Study Group», una rete di insegnanti universitari europei. Analizzate le risposte di 19 mila persone in tredici Paesi, gli studiosi indicano nei francési il popolo con minor «moralità civica» (l'Italia non ne esce affatto male: è a metà, superata solo dalle nazioni scandinave e dalla Gran Bretagna). I francesi, invece, sembrano avere il primato europeo nell'esigere assistenze e indennità statali alle quali non hanno diritto, nel viaggiare a ufo, senza biglietto, sui trasporti pubblici, nel turlupinare il fisco, nell'accettare bustarelle, nel comprare beni rubati, nel tacere sui danni inflitti a un'auto parcheggiata. Come poteva la stampa inglese lasciarsi sfuggire un boccone tanto ghiotto? Il più feroce era ì'Evening Standard, il giornale londinese della sera, su cui Nigel Rosser tuonava il 5 marzo: «I francesi sono i maggiori imbroglioni d'Europa: e l'informazione è ora ufficiale... I nostri vicini sono in fondo alla scala dell'onestà europea, sono evasori fiscali, scrocconi sulla pelle dello Stato, autisti ubriachi... A cominciare dalla battaglia di Hastings, nel 1066, quando le forze normanne fecero finta di fuggire e di arrendersi prima di raggrupparsi e di avventarsi sugli inglesi che li inseguivano, per poi massacrarli, da allora, sino all'ultimo incontro di rugby al Pare des Princes, tre settimane fa, noi britannici abbiamo sempre saputo che i francesi sono dei traditori. Adesso, questo documento conferma scientificamente la loro perfidia». Sotto questa gragnuola di sberle, la Francia è esplosa, e il suo vessillo è stato impugnato dall'ultimo numero di ParisMatch. E' una risposta spietata, una bordata che si vale di foto e diciture beffarde, e che ha la sua arma più crudele in un lungo articolo di Jean Cau, un intellettuale, saggista e giornalista, autore prolifico, ex collaboratore di Sartre. Con abile e agile penna che gronda veleno, Cau disegna un'Inghilterra immiserita nella finanza e nello spirito, una specie di triste e polveroso museo. Jean Cau sa scrivere ma, come spesso accade agli intellettuali, si lascia prendere e inebriare dalla foga, dalla passione e, alla fine, non dipinge un ritratto ma una caricatura. Troppe iperboli, troppi sarcasmi. Afferma che il «famoso pragmatismo» degli inglesi impedisce loro «di aspirare a qualsiasi ideale» e che il rispetto francese per la «ragione» accende Oltremanica una «antipatia che confina quasi con il disgusto». Poi, un colpo basso: «Voi britannici non siete più un popolo, ma la riserva zoologica di una specie che noi non osserviamo più con ammirazione e un po' di paura, ma con curiosità. Dietro l'inglese "eccentrico" si levava fino a poco tempo fa l'ombra immensa di Britannia. Ora c'è quella del signor Toyota, con gli occhi a mandorla» (su un'altra pagina, Paris-Match ricorda che i giapponesi producono ormai una su tre delle vetture «made in England»). Cau non trascura il sesso e scrive che gli inglesi «si sposano soltanto per motivi di procreazione patriottica o di igiene sportiva, in quanto l'amore è un'invenzione francese il cui brevetto gli inglesi si sono sempre rifiutati di usare». Il bombardamento finale. «Albione puritana e protestante sogna i nostri abbracci latinopapisti e non sopporta il nostro rifiuto. Così Albione ci insulta e ci tratta da nullità, da maniaci, da falliti, da millantatori, da barboni, da bruti e ci giudica marci, fetidi, morti, sepolti, galli senza cresta divenuti capponi... Volete il mio onesto parere? Eccolo: io credo che uno di questi giorni dovremo invadere l'Inghilterra. Tale è l'amore che avete per noi, un amore furioso, che ci accoglierete a braccia e lenzuola aperte. A presto, stiamo per arrivare». Il titolo dell'intera satira non è meno caustico del testo: «Avevo paura che noi francesi non fossimo più degni del vostro odio». Ma sotto la requisitoria di Cau si snoda un altro saggio, questo a firma di Anthony Burgess, che Paris-Match presenta come «difensore» della Francia. Un paladino astuto, però, che riesce a indicare le differenze profonde, e non necessariamente negative, che dividono i due popoli. Burgess descrive l'intellettualismo francese e l'anti-intellettualismo inglese e spiega, con frase brillante: «Gli inglesi possono contare solo sulla propria intuizione, che non è necessariamente una guida fidata. I francesi fanno assegnamento sulla materia grigia». Il pragmatismo britannico è «una forma di stupidità», continua Burgess, ma non privo di meriti, come dimostrò nel 1940. La ragione ordinò allora alla Francia la «sottomissione» al travolgente potere nazista. L'Inghilterra, invece, incapace di valutare i fatti, continuò, testarda, la lotta. Non è una tesi nuova quella di Burgess, la storia inglese è un mosaico di iniziative, di idee, di politiche «stupide», incomprensibili ad amici e nemici. Queste «eccentricità» hanno talvolta risultati penosi, come il cocciuto, sterile antieuropeismo Anni 50 e 60, ma talvolta danno frutti stupefacenti, come la liberazione delle Falkland e l'abbattimento della dittatura militare argentina. Secondo Burgess, gli inglesi vorrebbero che la «ragione» francese, da loro invidiata, fosse attiva e prolifica, ma sono delusi. «Da Rousseau a Derrida, la Francia ha offerto al mondo idee nuove. Ma queste idee hanno adesso la forma di giochi semiotici, evitano la realtà». Oggi le due nazioni attraversano una crisi e Burgess avverte che «l'approccio cartesiano non sembra più sufficiente». E conclude in bellezza: «Di tanto in tanto, la Francia dovrebbe rammentarsi che deve in pari misura a Rabelais come a Descartes e che il disordine umano, quello anzi che, nello stile di Beckett, chiamerei la merda universale, è lì affinché se ne rida». Nessun malessere è eterno. C'è un'altra voce inglese su Paris-Match, quella di Charlotte Rampling, l'attrice che da molti anni vive a Parigi, ora sposata a Jean-Michel Jarre. La sua opinione sulla «petite guerre»? «Non è un fatto nuovo. Inglesi e francesi sono popoli orgogliosi, non si mischiano facilmente. Vi sono intolleranze reciproche». Qualche esempio? «Per gli inglesi, i francesi sono troppo estroversi, troppo latini, troppo ciarlieri, troppo eccitabili e allo stesso tempo troppo ragionatori. Non hanno né pudóre, né sangue freddo. Gli inglesi, invece, parlano lentamente e riflettono prima di parlare, spesso fin troppo». Per Charlotte Rampling, insomma, «i ritmi inglesi sono totalmente diversi dai ritmi francesi. E' come paragonare la tartaruga alla lepre». Ma è stato Burgess, con il suo panorama psico-storico, a innalzare l'alterco dal fango, a dargli dignità e utilità. Dunque, non sarà certo l'ultima lite. Sì, perché inglesi e francesi, benché diversissimi, condividono due peculiarità. Un sondaggio a Bruxelles fra gli eurofunzionari si è concluso con la domanda: «Quali . sono i principali difetti dei francesi e degli inglesi?». Le risposte al quesito sono identiche: arroganza e sciovinismo. Ogni incontro può divenire uno scontro. All'inizio degli Anni 70, quando Londra, cambiata idea, tentava di entrare nella Comunità europea, Le Monde così descrisse un vitale vertice anglofrancese, a Parigi: «Il téte à tète di due arroganze». Mario Ciriello Jean Cau, allievo di Sartre: «Non siete più un popolo, uno di questi giorni saremo costretti a invadervi» Burgess: nel '40 la vostra ragione vi ha ordinato di cedere a Hitler A fianco, la spiaggia di Dunkerque disseminata di cadaveri, dopo la battaglia fra anglo-francesi e tedeschi nel giugno '40. Sopra, Giovanna d'Arco; a destra, Charlotte Rampling Lo scrittore Anthony Burgess (a fianco) difende l'Inghilterra su «Paris-Match». Sopra, Edoardo IV parte per Calais, in un'antica stampa: quando il Duca di York sai) al trono; nel 1461, il porto sulla Manica era rimasto l'unico possedimento inglese in Francia ài*