La flotta rossa cerca padrone

La flotta rossa cerca padrone Manca la nafta, caos e ordini contraddittori: siamo marinai, obbediremo La flotta rossa cerca padrone A Sebastopoli, contesa tra Mosca e Kiev SEBASTOPOLI DAL NOSTRO INVIATO In questa giornata cupa di neve e pioggia, il grande scafo nero del sommergibile quasi si confonde con il grigio scuro dell'acqua e del molo. E' il primo sottomarino della Flotta ex sovietica mai visitato da un giornalista occidentale, e il suo nome è come un simbolo della scomparsa potenza: «Il giovane comunista di Gorkij». Alla città di Gorkij è stato ridato l'antico nome di Nizhnij Novgorod, la Gioventù comunista è stata sciolta, ed il Paese che il battello difendeva, l'Urss, non esiste più. Siamo nella rada di Sebastopoli, principale base della Flotta del Mar Nero, ancor oggi sottoposta ad un regime di permessi rigidissimi. Il nostro, costellato di timbri, è stato firmato da cinque autorità, tra cui il «Kgb» locale. Scendiamo nello scafo attraverso una botola angusta, preceduti dal comandante Vladimir Smirnov. «E' una nave moderna e molto maneggevole, che può restare in mare per mesi, certo non tanto a lungo quanto un sottomarino atomico». Smirnov, 36 anni, moglie e due figli, è in Marina dal 1976, ma solo l'anno scorso ha finalmente ricevuto un appartamento di tre stanze, dopo aver trascorso metà della sua vita tra i sottomarini e le camere dei convitti. «La cosa peggiore è l'incertezza - dice mostrando un sorriso dai denti d'oro -, non sappiamo quale Paese dovremo servire, se l'Ucraina, la Russia o la Csi (la Comunità di Stati emersa dalla vecchia Urss). Una cosa sola sappiamo: che la Flotta sarà ridotta, e nessuno può dire chi verrà mandato a casa con un semplice "grazie"». Le sue preoccupazioni sono le stesse di quasi tutti gli abitanti di Sebastopoli. Costruita per ospitare la flotta, assediata e conquistata durante la guerra di Crimea, rasa al suolo e nuovamente cpnquistata dai tedeschi durante l'ultima guerra, la città è stata caparbiamente ricostruita negli anni di Stalin con uno strano rispetto per il suo carattere originario. Adagiata tra fiordi e montagne, sempre battuta dal vento, Sebastopoli è più ridente, più pulita, più accogliente della maggior parte delle città dell'ex Urss. Ma la sua vita dipende interamente dai militari, e i suoi abitanti, in grande maggioranza russi, pensano con sgomento alla possibilità che la Flotta venga divisa. I loro timori sono più che fondati. Crollata l'Urss, infatti, Ucraina e Russia hanno iniziato a litigare per il possesso della Flotta del Mar Nero. Il Presidente ucraino Leonid Kravchuk vuole diventare il leader di una «potenza marittima», ma non ne ha i mezzi, ed è probabile che, se riuscirà a mettere le mani sulla Flotta, ne venderà buona parte. Boris Eltsin, dopo aver dichiarato in pubblico che la Flotta «era, è e sempre sarà russa», è sceso a più miti consigli, ma cerca di concedere il meno possibile, mantenendo il grosso delle navi sotto il Comando unificato della Csi. Di fatto oggi la Flotta del Mar Nero, potente com'è, alla Russia non serve. Una portaerei, due portaelicotteri, nove incrociatori, 30 sommergibili, 21 cacciatorpediniere, 15 fregate, 160 navi da combattimento minori, 21 unità anfibie e 53 ausiliarie principali, più un'Aeronautica che comprende 100 bombardieri, 65 caccia d'attacco al suolo e 50 aerei antisommergibili. Quanto alle armi atomiche, i dirigenti della Flotta dicono di non averne, ma le fonti occidentali sostengono il contrario, e un ufficiale del comando, chiedendo di restare anonimo, ci ha confermato la presenza almeno di atomiche tattiche. A chi serve tanta potenza nella pozzanghera del Mar Nero? Secondo Kravchuk, del resto, il Comando di Mosca ha già iniziato a «svendere» le navi. L'ammiraglio -Igor, Kasatonov, comandante della Flotta, ci ha detto che si tratta di normale ricambio, ma intanto è, stata creata un'apposita impresa commerciale, la «Navycon», che in base ai piani dovrebbe disfarsi di 58 navi, 22 delle quali da combattimento, entro la fine del '93. Gli Stati ex sovietici, infatti, concedono denaro con il contagocce, e i problemi economici premono sempre più. Secondo Andrej Lazebnikov, portavoce di Kasatonov, da novembre a fine febbraio la Flotta «non ha ricevuto neanche una goccia di benzina». L'Ucraina e l'Azerbaigian, che pure pretende parte della Flotta, si rifiutano di inviare la nafta per le navi, la Cecenia non manda più l'olio per i motori degli aerei, e dai magazzini mancano persino le magliette per i marinai. La tensione tra gli Stati eredi dell'Urss si riflette naturalmente sull'efficienza della Flotta. In questa situazione gli intrighi, è chiaro, si moltiplicano. Il controspionaggio della Flotta è passato sotto il controllo dell'Ucraina e lavora per scalzare il comando di Kasatonov. Il contrammiraglio che lo comanda (la nostra fonte non ha voluto rivelarne il nome) si è fatto ricoverare in ospedale, per non avere responsabilità. Le autorità di Kiev cercano in tutti i modi di convincere ufficiali e marinai a giurare fedeltà all'Ucraina, utilizzando promesse e minacce, e intanto mandano i coscritti solo alla Flotta del Mar Nero, nel tentativo di «ucrainizzarla». Le reclute giunte alla Flotta dopo l'ultima chiamata alle armi, per il 95 per cento sono di nazionalità ucraina. Il tempo, così, è dalla parte di Kravchuk, che ne perde più che può. Dopo aver preteso tutte le navi non armate di ordigni nucleari, il Presidente ucraino ha dato ad intendere di potersi accontentare di un 30 per cento delle unità. Ma il 5 marzo una delegazione della Flotta guidata dal vice di Kasatonov, ammiraglio Kapitanets, è arrivata a Kiev solo per constatare che gli ucraini avevano ancora una volta alzato la posta: «Vogliamo l'80 per cento della Flotta». Eltsin, fino ad ora, si è detto disposto a concederne il 20 per cento, essen¬ zialmente le unità per la difesa costiera. Con queste premesse, è difficile che il 20 marzo, quando a Kiev si riunirà il vertice della Csi, si arrivi ad una soluzione concreta, e il meglio che ci si possa aspettare è un accordo per un «periodo di transizione». «Aspettiamo che i politici si decidano», ci dice Anatolij Reshetov, 34 anni, figlio di un «eroe dell'Urss» e comandante del cacciatorpediniere «Skoryj», ancorato a breve distanza dalla nave ospedale «Enisej» dove abbiamo passato la notte. E se la sua nave passasse all'Ucraina? «Io sono un professionista, non immagino cos'altro potrei fare, se non il marinaio». La rassegnazione di Reshetov, un russo, è condivisa da quasi tutti, anche se solo l'un per cento degli ufficiali ha fino ad ora giurato fedeltà all'Ucraina. Le ragioni di questo fatalismo sono semplici, addirittura essenziali. Reshetov guadagna 1600 rubli al mese, pari a 16 dollari, ed è un fortunato, perché ha casa. Nell'atrio del convitto per ufficiali della guarnigione di Sebastopoli il visitatore è salutato da una statua dorata di Lenin e da una schiera di carrozzine da neonato. Irina Rodina vive qui con i suoi tre figli e con il marito, in una stanza col gabinetto comune a un'altra famiglia. Ci vive da cinque anni. Nella stanza, oltre a un tavolo, due letti singoli e uno scaffale, c'è una montagna di oggetti, un pappagallino e un acquario. I bambini saltano da tutte le parti mentre la donna ci racconta che a gennaio, per tutto il mese, è mancata l'acqua calda. Qui sei famiglie usano la stessa «cucina»: sei tavoli, tre lavandini e un fornello elettrico a tre fuochi. Qui il marito di Irina, un capitano, spende più della metà del suo stipendio di 1600 rubli solo per affitto e riscaldamento. Qui, per Irina e per molti altri, è «casa», un qualcosa che tutti hanno paura di perdere, al di là del quale c'è solo incertezza. Fabio Squillante Marinai della flotta sulla tolda di un'unità ancorata nella rada di Sebastopoli, il loro futuro dipende dalla contesa tra Mosca e Kiev [foto apj