Clinton prenota un pezzo di Casa Bianca

Clinton prenota un pezzo di Casa Bianca E' il grande favorito tra i democratici nel Supermartedì, mentre Harkin abbandona Clinton prenota un pezzo di Casa Bianca Votano 11 Stati, decisiva la Florida Sondaggi incoraggianti per Bush WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Meno tre. Proprio alla vigilia del «Supermartedì», in cui si pronunceranno gli elettori di 11 Stati, anche Tom Harkin ha annunciato il suo ritiro dalla competizione. Per i democratici restano quindi in corsa solo Bill Clinton, Paul Tsongas e Jerry Brown. Ma è possibile che questa notte il distacco tra Clinton e gli altri due diventi tale da farlo apparire come l'unico candidato effettivo per il suo partito. In campo repubblicano, il «Supermartedì» si annuncia per George Bush, forte negli ultimi sondaggi locali, meno amaro dei turni precedenti, mentre per il suo concorrente Pat Buchanan comincerà probabilmente la discesa. Quella che non accenna affatto a calare è l'insoddisfazione degli elettori di entrambi i campi per i rispettivi candidati. «I miei consiglieri mi avevano raccomandato di non partire troppo forte e io devo averli presi un po' troppo sul serio», ha dichiarato ieri Harkin annunciando il suo abbandono. Ha scelto di parlare all'università dei sordi di Washington, perché vi insegna suo fratello. Ma la scelta è parsa alludere simbolicamente alla sordità con cui gli americani hanno accolto il suo messaggio di democratico alla vecchia maniera, di «old fashioned liberal», come lo hanno presentato i giornali. La sua linea tradizionale «più tasse, più investimenti, più Stato», abbandonata dai democratici fin dai tempi di Jimmy Carter, gli ha procurato solo due vittorie poco significative, nei «caucus» del suo Stato, lo Iowa, e in quello dell'Idaho. Poi solo sconfitte brucianti, che hanno anche segnalato quanto poco ormai contino i sindacati operai. Clinton, Tsongas e Brown non sono dei democratici classici. I primi due propongono, soprattutto per quanto attiene all'economia, politiche molto simili a quelle di Bush e dei repubblicani e Tsongas in particolare polemizza con il suo partito quasi quanto con quello avversario. Questo li mette in una curiosa posizione: il tallone d'Achille di Bush è l'insoddisfazione della gente per l'andamento dell'economia, e loro non sono in grado di proporre cose molto diverse. Questa appare la radice della crisi democratica, che non è di uomini ma di politiche, o, meglio, sembrano mancare gli uomini perché mancano le politiche. Non a caso, neppure Brown, il terzo superstite, pur essendo molto più «liberal» dei moderati Clinton e Tsongas, è un democratico classico e si caratterizza più come alfiere di un composito universo «alternativo», costituito da minoranze, gruppi di pressione vari e ambientalisti. L'unica forza che tiene ancora Brown, ex governatore della California, in una corsa senza molte speranze, è la debolezza dei suoi due avversari negli Stati del West, dove la gente neppure li conosce. Anche per questo, oltre che per la vastità del campione e per il largo numero di delegati in palio, il confronto di oggi è decisivo: se Clinton riuscisse ad aggiudicarsi, oltre al Texas (dove si prevede per lui una maggioranza schiacciante), anche la Florida, balzerebbe in testa e diven¬ terebbe un personaggio nazionale. Per quésto la Florida è il vero campo di battaglia. Mentre Brown, che ha vinto il «caucus» del Nevada cucinando piatti in pubblico a Las Vegas per guadagnarsi l'appoggio della potente associazione dei cuochi, ha cercato di ottenere il sostegno degli haitiani di Miami cantando canzoni in creolo, Clinton e Tsongas hanno puntato su obiettivi più seri. Il primo ha cercato di conquistare l'elettorato ebraico, molto potente in Florida, il secondo, oltre a curare il suo gruppo etnico, i greco-americani, ha mirato il suo messaggio sui democratici dei ceti medio-alti delle grandi città del Sud dello Stato. Pur apparendo entrambi moderati, Clinton, con la sua insistenza sui problemi della classe media, raggiunge meglio di Tsongas i ceti poco abbienti. Ha già conquistato, finora, 288 delegati, contro i 134 di Tsongas e i 56 di Brown. Deve arrivare a 2144. Oggi la posta è di quasi 700. Se vincerà, comincerà per lui la parte più dura. Gli scandali, a partire dairultimo sulla speculazione immobiliai'è sui monti Ozarks, ritorneranno tutti fuori. Paolo Passarini .WASHINGTON MICHIGAN 20 NEW YORK 36 NEW HAMPSHIRE 4 MAINE 4 MASSACHUSETTS 13 PENNSYLVANIA \ VERMONT 25 m 3 » \ \ \ RHODEISLAND 4 CONNECTICUT \X^y^^ NEW JERSEY ^ —_ MARYLAND ALASKA 3 OKLAHOMA WASHINGTON D.C. 3 I NUMERI SI RIFERISCONO Al VOTI ELETTORALI DI CUI DISPONE OGNI STATO IN NERO GLI STATI IN CUI SI VOTA OGGI LOUISIANA 10 MISSISSIPPI 7 ALABAMA I FLORIDA 21 J VIRGINIA OCCIDENT. I § 1 CAROLINA D. NORD 13 CAROLINA 0. SUD DEMOCRATICI BROWN 56 ALTRI 5 CLINTON 288 INCERTI 234 TSONGAS 134 IMPRECISATI 18 TOTALE 735 DA NOMINARE 3503,5 TOTALE DEI DELEGATI PER LA CONVENTION DI LUGLIO: 4288 MAGGIORANZA NECESSARIA PER VINCERE LA NOMINATION: 2145 REPUBBLICANI BUCHANAN 20 INCERTI 5 BUSH 184 TOTALE 209 DUKE 0 ALTRI 0 DA NOMINARE 2000 TOTALE DEI DELEGATI PER LA CONVENTION DI AGOSTO: 2209 MAGGIORANZA NECESSARIA PER VINCERE LA NOMINATION: 1105