Zio Carlo fantasma del Reno fa il maggiordomo al castello

Zio Carlo fantasma del Reno fa il maggiordomo al castello La valle tedesca è la più ricca di spettri: uno studioso di Coblenza a caccia di leggende e testimonianze di oggi Zio Carlo fantasma del Reno fa il maggiordomo al castello COBLENZA DAL NOSTRO INVIATO Quando comparve per la prima volta nel castello di Oberlahnstein, affacciato al Reno nel suo tratto più bello, fra Magonza e Bonn, la dama velata disse di chiamarsi Dorotea. Con una penna scrisse il nome del marito, un doganiere al servizio del Signore di Magonza vissuto nel Seicento. Poi sollevò il velo e mostrò un volto «giovane ma pallido e tirato da far paura»: così testimoniò la donna che la vide allora, a metà dell'Ottocento, la madre del canonico Johan Wendelin di Coblenza. Dorotea le raccontò la sua tragica vicenda: duecento anni prima il marito l'aveva assassinata e poi sepolta nelle cantine del castello. Il suo spirito non avrebbe avuto pace finché le sue ossa non fossero state ritrovate e non avessero avuto «cristiana sepoltura». «Vicino a me - precisò la giovane - ci sono la spada che mi ha uccisa e alcune monete d'oro: dovranno servire perla tomba». Nel generoso inventario di spettri e apparizioni che abitano le fortezze medievali lungo il Reno - la valle più ricca al mondo di castelli e di fantasmi - la dama velata di Oberlahnstein è forse quella che più appassiona Wilhelm Avenarius, lo studioso di Coblenza che ha raccolto in un volume testimonianze dirette e leggende. Il motivo della sua predilezione sta probabilmente nella particolarità che distingue Dorotea da ogni altra creatura sovrannaturale: il suo rapporto conflittuale con la realtà dei vivi. In genere, le «presenze soprannaturali» del Reno sono benevole e bonarie. Fa eccezione la «dama velata», come mostra la sua storia: le confidenze di Dorotea terrorizzarono la madre del canonico Wendelin, che non volle parlarne con nessuno, e la dama misteriosa tornò spesso a trovarla, invocando ogni volta una «cristiana sepoltura» che la donna si ostinava a rifiutarle. Così, un po' alla volta, la giovane gentile e mite s'incattivì: nel castello cominciarono a vedersi catene di fuoco, a sentirsi lamenti e urli. Una notte, la madre del canonico si svegliò per il dolore che le bruciava il collo, e si accorse che un fuoco misterioso l'aveva ustionata fino alle braccia. Solo quando si posò una pietra tombale sul luogo in cui si sarebbero dovuti trovare i suoi resti, Dorotea si placò. Da allora capita di vederla passeggiare nelle sale del castello, e qualcuno assicura di sentire ancora i suoi gemiti. Soltanto fantasie, leggende? Avenarius, che confessa di non aver mai visto un fantasma, pensa che ci sia del vero nelle testimonianze che ha raccolto: «anche se naturalmente non si possono escludere imbrogli», come spesso accade in queste zone di confine fra realtà e immaginazione dove, sullo sfondo di vicende sanguinose, i protagonisti sono sempre cavalieri e dame, vecchi monaci e forze del Male destinate a essere sconfitte. Molti testimoni forniscono particolari che difficilmente avrebbero potuto conoscere in anticipo. E' capitato anche a una archeologa americana impegnata in una ricerca al castello di Springeburg: quando gli scavi hanno portato alla luce due anelli, vicino a uno scheletro femminile, lei ne ha ripulito uno e se lo è infilato al dito. Improvvisamente ha provato un forte senso di vertigine e un mal di testa violentissimo, e ha avuto una visione: di fronte al castello c'era un cavaliere con una bandiera e uno stemma, che l'archeologa ha saputo poi descrivere in dettaglio. Era della casata dello junker Mulenstein, che nel 1595 aveva partecipato alla battaglia contro le truppe di Strasburgo; ma la ragazza non si era mai occupata di quella storia e non aveva idea che ci fosse uno stemma come quello. Anche sull'esistenza di «Onkel Karl», lo spettro forse più famoso del Reno, ci sono testimonianze multiple e credibili, assicura Avenarius. Per secoli, questo fantasma si era manifestato nella fortezza di Neuwied sol¬ tanto con rumori e un brusio incomprensibile. Tutti potevano sentirlo ma nessuno aveva mai incontrato la «presenza», chiamata «zio Carlo» dalla gente della valle in mancanza di notizie precise sulla sua identità. Finché, un pomeriggio del '60, un ospite del principe Friedrich Wilhelm zu Zied, l'attuale proprietario del castello, incontrò un «un uomo alto e magro vestito con eleganza» che gli parlò con grande gentilezza. Da allora, «Onkel Karl» si è fatto rivedere spesso per offrire il proprio aiuto ai vivi anche nelle piccole vicende quotidiane: un giorno del '79, per esempio, un cameriere che stava scendendo al pianterreno vide un'ombra e sentì una voce ordinargli di passare per un'altra scala. Ubbidì, e si accorse che una tubatura dell'acqua era saltata: se fosse stata scoperta più tardi, avrebbe provocato danni gravissimi. «Un episodio tipico dello "zio Carlo" - secondo il principe Friedrich Wilhelm - che cerca di non spaventare mai nessuno e di tenere sempre in ordine la casa». Nel castello di Maus, costruito nel Trecento da Kuno di Falkenstein, arcivescovo di Trevi¬ ri, è nota invece la presenza di una «donna luminosa», sempre avvolta da un alone verde che risplende. Si aggira silenziosa, ma la sua comparsa è diventata un annuncio di sventura da quando venne vista per molte notti di seguito, alla vigilia della prima guerra mondiale. La gente della valle è convinta che si tratti dell'amante dell'arcivescovo Kuno, rinchiusa in vecchiaia nelle segrete del castello, dove morì senza darsi pace. Ci sono altre vicende oscure, sulle colline intorno al Reno, e fra tutte spicca quella di Markus, il monaco di Markburg. Nella fortezza poco a Sud di Coblenza - che i giapponesi hanno acquistato in copia per ricostruirla sull'isola di Mijikojima, entro il Duemila - capita ancora di incontrare il fantasma di un frate vissuto nel Duecento: nel 1937 è stato perfino fotografato, inginocchiato nella cappella del castello, un uomo magro dalla lunga barba nera. Quand era in vita, il monaco Markus fu al centro di una storia sanguinosa, come raccontano le cronache del tempo: la figlia del conte Eberhard von Eppstein, Elisabeth, era fidanzata con Wigbert von Lahnstein, che nel 1278 era partito per la guerra senza più dar segni di vita. Un giorno arrivò un altro cavaliere che disse di essere il cugino di Wigbert, Roichus von Andechs, e di averlo visto morire in battaglia. Passati pochi mesi, Elisabeth consolò il suo dolore assieme a Roichus, ma la notte prima del matrimonio il frate Markus ebbe una visione: lo sposo in realtà è il Maligno, gli disse una voce. Il monaco brandì la croce e il terreno inghiottì il falso Roichus. Sconvolta dal dolore, Elisabeth finì in convento e, quando Wigbert ritornò, si buttò dalla rupe, che da allora porta il nome di Rittersturz, il precipizio del cavaliere. Markus torna ancora a pregare, di notte, e l'ombra di Wigbert si incontra spesso sui contrafforti del burrone. Emanuele Novazio Spiriti benevoli e bonari con l'eccezione di Dorotea, la «dama velata» diventata cattiva a causa dei vivi Da sinistra a destra, i castelli di Neuschwanstein, di Pfalz e di Schriesheim La Valle del Reno è la più ricca al mondo di fortezze medievali e di fantasmi: cavalieri, donne luminose, vecchi monaci con un passato di amori proibiti e di sangue

Persone citate: Emanuele Novazio, Falkenstein, Friedrich Wilhelm, La Valle, Maus, Wilhelm Avenarius

Luoghi citati: Bonn, Coblenza, Magonza, Strasburgo, Trevi