Il capestro per la cattolica Polonia di Giuseppe Zaccaria

Il capestro per la cattolica Polonia UNA FORCA AVARSAVIA Il Paese di Giovanni Paolo II di fronte alla prima condanna a morte del post comunismo Il capestro per la cattolica Polonia Pena capitale a un pregiudicato che ha ucciso 3 persone La Chiesa non ha ancora preso una posizione ufficiale VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO Di essere entrato in qualche modo nella storia della terza Repubblica, Eugeniusz Mazur non si è reso conto. Né avrebbe potuto: a quarantatre anni di età, ne ha trascorsi in carcere già una ventina, si esprime solo in un dialetto polacco del Nord-Est, a fatica riesce a compitare i titoli dei giornali, è un asociale, un violento, un pluriomicida. Un condannato a morte: il primo nella Polonia del post comunismo. La sentenza è stata emessa ad Olsztyn cinque giorni fa. Adesso in via Swietokrzjska, proprio dinanzi al mastodontico Palazzo della Cultura, c'è una manifestazione. In questo annuncio di primavera un centinaio di ragazzi e ragazze innalza cartelli, improvvisa girotondi, intona slogans ritmati. Ce l'hanno con la pena di morte? Sì, ma in un senso diverso. Gridano: «Salviamo la pelle agli animali». E' una manifestazione di ambientalisti. Le foto brandite come simboli mostrano gli occhi sgranati di un volpacchiotto sormontati dalla famosa scritta «Tua madre porta la pelliccia, la mia non più». Le ragazze si pavoneggiano negli ultimi modelli di pelliccia sintetica. Ci torneremo fra poco, sulla manifestazione. Ma intanto, da questa immagine avrete capito quanto poco importi alla cattolicissima Polonia la sorte di quella bestia chiamata Eugenio. Arrivi a Varsavia convinto di trovare un Paese spaccato in due dalle polemiche, lacerato dal dibattito sul diritto alla vita, percosso fino all'anima dalla prospettiva che lo Stato torni a trasformarsi in boia. E invece no. La sconcertante verità è che alla patria di Giovanni Paolo secondo, alla nazione che per prima frantumò il blocco comunista, al luogo in cui 170 parlamentari si sono mobilitati per cancellare la legge sull'aborto, il fatto che Eugeniusz Mazur potrebbe finire impiccato al gancio di un soffitto non appare affatto strano. Anzi. Succede abbastanza di rado che un avvenimento, per quanto crudo e feroce, consenta da solo un viaggio attraverso le contraddizioni di un Paese, eppure nella Polonia di oggi succede. Sarà perché è scritto nei cromosomi di questo popolo, sarà per la frantumazione e la violenza nella sua storia: ad ogni modo, oggi a Varsavia si può essere contemporaneamente contro l'aborto («perché spegne centinaia di migliaia di vite») e a favore della pena di morte («non in assoluto, ma in certi casi sì»). Prendete la signora Ewa Wetowska. Questa elegante e mite gentildonna rappresenta l'organismo statale per i «Diritti del cittadino», ma se poi deve pronunciarsi sulla sorte del condannato argomenta olimpica: «Il mio vecchio professore di diritto ammoniva sempre a non collegare le grandi discussioni di principio coi casi concreti. Cosa vuol dire? Che in generale mi dichiaro contraria alla pena di morte, se però sono sicura di non trovarmi di fronte a un caso in cui è giusto che la pena venga applicata. Non basta dichiararsi contrari alla pena capitale, bisogna anche essere contro le facili critiche ai magistrati». E' vero, in questo caso non si può dire che la giustizia abbia usato la mano pesante. Da noi, uno come Eugeniusz Mazur dal frullatore delle cronache sareb¬ be asceso ai titoli come il Mostro della Fattoria, lo Sbudellatore del Nord Est, la Belva di San Giuliano. Si celebrava appunto San Giuliano, il 9 di gennaio, quando l'anno scorso a Babienec, un paesino all'estremo confine orientale, Eugeniusz Mazur si presentò a una fattoria per chiedere il pagamento di alcune giornate di lavoro. Faceva in tutto 212 mila zloty, circa 20 mila lire. Il proprietario, Jan Mroz, trent'anni, forse era ubriaco, forse contava sul fatto che Eugenio la Bestia fosse uscito di galera solo da tre mesi. Disse di no. Eugenio lo ammazzò a coltellate, poi raggiunse nel fienile la moglie di Jan, Anna, 22 anni, e il fratello di questa, Gzegorz, 19. Le perizie medico-legali si diffondono su dettagli che sarà meglio risparmiarci. Anna fu uccisa con una ventina di coltellate al petto, Gregorz tentò di scappare. Fu raggiunto, colpito, atterrato, spinto contro un muro. Mentre con una mano continuava ad affondare la lama, con l'altra la Bestia gli spappolava il cranio contro un muro. Restava Agnieska, tre anni, figlia del fattore. Quando la ritrovarono, era irriconoscibile. No, difendere un simile pazzo sanguinario era impossibile, l'avvocato Jan Kosko ne sa qualcosa. Ma difendere il suo diritto alla vita, adesso è davvero così arduo? Si direbbe di sì: al punto che se si escludono telegrafiche dichiarazioni di principio nessuno, se non la sezione polacca di «Amnesty International» e qualche giurista, ha avuto finora il coraggio di combattere questa battaglia. Neppure la Chiesa. «Vede, il fatto è che in Polonia il problema economico è sempre più pressante, e la criminalità comincia a fare paura...», da direttore generale del ministero della Giustizia, Andrzej Cubala deve mantenere un certo distacco. Le statistiche però sono impressionanti: nel '91 i delitti più gravi (furti, violenze, rapine) sono stati 866 mila, gli omicidi sono passati dai 530 dell'89 ai 730 del '90, e l'anno scorso hanno toccato la cifra record di 971. «Soprattutto, aumenta la circolazione delle armi da fuoco: la mafia russa e i romeni le vendono a poco prezzo». Insomma, vi state avvicinando ai livelli italiani. Ma permetta una domanda: lei è cattolico?. «Sì, come quasi tutti in questo Paese». E come fa a convivere con l'idea della condanna a morte? «Rispondendole da giurista, e non da credente, le dico che nel nostro codice la pena capitale non è mai stata abolita. L'ultima esecuzione risale al 1988, e riguardò un uomo di Danzica che aveva violentato e ucciso una bambina. Da allora altre condanne a morte, pur pronunciate, sono state commutate nell'ergastolo. Era in atto una specie di sospensiva, insomma: una legge non scritta che rinviava al nuovo codice la definizione del problema. Ma il fatto è che successivamente nessun governo se l'è sentita di affrontarlo». «Quattro anni fa il ministro Balcer propose una legge che sospendeva formalmente la pena di morte per 5 anni. Il progetto è stato elaborato a lungo, l'anno scorso la commissione per la riforma ha preparato il testo definitivo. Adesso toccherebbe al Parlamento, ma non se ne parla. Ha letto i sondaggi? Dimostrano tutti che la popolazione è favorevole per il 72-75 per cento a che l'impiccagione venga mantenuta». Già, tralasciavamo di raccontarvi come poi dovrebbe avvenire, nei fatti, questa esecuzione. Ma prima di restare agghiacciati nello scoprirlo avevamo cercato di chiedere quanto meno alla Chiesa polacca come mai quest'improvviso salto all'indietro nella storia di Polonia non abbia provocato un moto d'indignazione, una protesta, un intervento. Sabato mattina, sede del Primate di Polonia, una grande villa chiara a due passi dalla Vistola. Pretendere di essere ricevuti su due piedi dal cardinale Glemp sarebbe eccessivo, ma forse conoscere il parere della Chiesa polacca lo è un po' meno. Che ne pensa, monsignore? Il primo cappellano Kaminski allarga le braccia, in gesto benedicente, e risponde: «Purtroppo non sono autorizzato ad esprimere le posizioni del Primate...Si rivolga all'arcivescovado». Da lì, fino ad oggi, è emersa l'unica flebile voce della Chiesa di Varsavia. Il vescovo Alois Orszulik ha fatto telegraficamente sapere di essere «contrario in linea di principio». La situazione è difficile per tutti. Andrej Drzycimski, porta- voce di Lech Walesa, sente il dovere di spargere nebbia persino sulle possibilità che pure la legge assegna a Walesa. Se la condanna sarà confermata in appello, il Presidente grazierà il condannato? «Il Presidente ha detto di essere contrario alla pena di morte, ma rispetta l'operato della magistratura. Quindi non posso esprimere né le mie opinioni personali né prevedere le sue. Si sa che è contrario, ma non si può mai dire. La decisione insomma è tutt'altro che scontata». E i giornali? Ecco un brano tratto dalla «Gazeta Wyborcza», già quotidiano vicino a «Solidarnosc». Non si discute sul se ma sul come. «Secondo la legge il condannato, seguito da sei persone fra cui un medico e un cappellano, viene condotto nella prima stanza della morte dove trova un lavabo, un water, un tavolino e una sedia. Poi passa nella seconda, dove troverà ad accoglierlo due persone vestite di nero, con cravatta nera, camicia e guanti bianchi. Una delle due gli infila al collo un cappio che passa attraverso un gancio infisso nel soffilo, l'altra tira la corda e con una leva fa aprire una botola». Chissà che espressione avranno, dopo venti minuti, gli occhi melmosi di Eugenio la Besta. Ricordate quelli del volpacchiotto sbandierato dagli animalisti? In via Swietokrzjska le ragazze indifferenti alla pena di morte ma sensibili alla sorte degli animali, indossavano pellicce artificiali che avevano tutte sulle spalle il gartellino con prezzo e negozio di provenienza. Non era solo ambientalismo, ma anche pubblicità. Capito? Giuseppe Zaccaria Secondo i sondaggi il 75% della gente è favorevole al mantenimento dell'impiccagione Walesa è contrario ma non ha deciso se firmerà la grazia presidente polacco Lech Walesa