La dc, al gioco tutti sono invitati

La dc, al gioco tutti sono invitati «UN VOTO COME NEL '46» Da Firenze parte la nuova strategia per spezzare il potere d'interdizione di Craxi La dc, al gioco tutti sono invitati Forlani: «Prima i programmi e porle alleanze» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO A guardarla a prima vista è sembrata la de di sempre. Forse un po' più variopinta grazie a quelle mimose chi; hanno accompagnato i garofanf bianchi sul palco del Teatro Verdi di Firenze, dove Arnaldo Forlani ha chiuso la conferenza programmatica. Ma a parte quelle sfumature di giallo l'atmosfera è stata quella abituale: c'è stata la solita battuta sopratono di Ciriaco De Mita questa volta contro Francesco Cossiga e Giulio Andreotti («perché non se ne vanno tutti e due?») subito ridimensionata; c'è stato chi ha ironizzato sul gadget elettorale di Gianni Prandini, un ombrello con la scritta maliziosa «Prandini ti copre»; c'è stato lo sfogo di qualche parlamentare romano per le cene elettorali offerte ai dipendenti dell'Acea da Vittorio Sbardella a Villa Miani. Ed ancora, sempre secondo il vecchio copione, c'è stato anche chi ha riferito dei consigli dati dal segretario de ai vertici della Rai, venuti a Firenze al gran completo (il direttore generale, Pasquarelli, il direttore della rete 1, Fuscagni, il direttore del Tgl, Vespa e, per l'occasione, anche Vittorio Orefice) la sera prima ad una cena all'hotel Majestic. Questa volta nessuna lavata di testa, ma tanti complimenti. «Forlani gli ha detto che il tgl è diventato più efficace», ha assicurato il segretario amministrativo della de Severino Citaristi. Si è lagnato, a quanto pare, solo Gerardo Bianco, il coordinatore del programma elettorale, ignorato nel tg di venerdì scorso e risarcito da Vespa in quello di ieri sera. Eppure nascosta nel solito folklore a Firenze ha fatto capolino una nuova de, quella post-comunista che ha preso il posto di quella anti-comunista. Per scoprirla bisogna stare attenti ai propositi e ai segnali che i leader de hanno avanzato o lanciato dal palco di Firenze. Arnaldo Forlani ha quasi cambiato pelle. Lui che è sempre stato il teorico del «preambolo» contro il pei e dell'alleanza con il psi, ha aperto la campagna elettorale con un discorso puntiglioso sul programma e poco attento alle alleanze future. E questo a 48 ore dall'avvertimento lanciato al psi: «il governo non deve essere una trappola per le riforme». De Mita gli è andato dietro raggiante. Lui l'ha predicata per anni e adesso tutta la de ò pronta a seguire la tattica del gioco a tutto campo. E ieri a Firenze il presidente della de è andato ancora più avanti: per lui la de non deve mirare a due maggioranze una per governare con il psi e l'altra con il pds per fare le riforme -, ma deve puntare «ad una maggioranza che legittimi il governo», ad una maggioranza che faccia le riforme. E il corollario di questa affermazione è semplice: o il psi si converte alle proposte de e dimentica la repubblica presidenziale, o la de si sceglierà un altro interlocutore. Infine Antonio Gava. In questi mesi ha aperto sempre di più al pds sulle riforme istituzionali. E anche ieri, a suo modo, è andato avanti: ha negato che ci sia dietro l'angolo un governo costituente «come nel '46», ma ha anche detto che «queste elezioni gli ricordano più quelle del '46 che quelle del 48». Un tipico messaggio in codice doroteo. Ma allora cosa bolle nel pentolone de? Guai a dirlo, guai a parlarne, ma la de che si presenta alle prime elezioni dopo il crollo del comunismo, ha una novità: la vecchia diga contro il pei è diventata un partito di program- ma. E in quel programma pesano i contenuti cari ai vescovi e al mondo cattolico, dalla bioetica all'aborto, ma anche, e soprattutto, quella riforma elettorale tanto lontana dal presidenzialismo di Craxi e vicina all'impostazione del pds. E questa de, partito di programma, si presenta come un interlocutore insidio- so proprio per gli alleati di un tempo. A Firenze i più bersagliati sono stati liberali e repubblicani: Forlani ha paragonato La Malfa alla «rana di Esopo, che si gonfia», De Mita ha detto che Altissimo non ha certo «ereditato il pensiero di Cavour» e ha pregato il segretario del pri di rileggersi i discorsi di Aldo Moro e del padre Ugo. Ma anche se i socialisti non hanno ricevuto la loro razione di ironie, la de post-comunista pone un problema soprattutto a loro. Sì, perché questa de ha tutta l'intenzione di mettere una pietra tombale sul potere d'interdizione del psi: «Noi - ha spiegato più volte ieri Mancino - non scherziamo». Il psi ha tre strade davanti: o accetta di fare le riforme che vogliamo e allora si potrà valutare dopo le elezioni se dare a Craxi Palazzo Chigi; o accetta di stare con noi nel governo e di far fare le riforme al Parlamento; o si vedrà...». E «quel si vedrà» è perlomeno minaccioso. Specie se si tengono d'occhio i ragionamenti a cui si è lasciato andare ieri Forlani sulla nuova fase politica che si sta aprendo. «I partiti - ha detto - si stanno collocando tutti su un terreno di normalità democratica maggiore rispetto al passato. Cadute le pregiudiziali ideologiche di un tempo, i partiti si spostano tutti su posizioni centrali e di equiibrio». Insomma, al gioco della politica ormai tutti partecipano a pieno diritto. Anche il pds. E se sono sincere le grida di allarme ripetute ieri da Forlani contro gli «sfascisti», se sono veri i timori confermati ieri da De Mita «che è stato raggiunto il limite di guardia oltre il quale la democrazia corre dei rischi», la de per il «dopo-elezioni», ha già pronte le ragioni per motivare «un accordo trasversale» in Parlamento con il pds, o, addirittura, per avventurarsi sulla strada dei vari «governi di programma», «di garanzia», o «costituenti». Sta a Craxi decidere se rischiare questa prospettiva o convertirsi al «verbo» democristiano. Intanto a Firenze Gava e Mario Segni, l'eretico referendario, sono tornati a darsi la mano. Augusto Minzolinf Antonio Gava

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