Togliattigrad, russi e italiani fra auto, amori e servizi segreti

Togliattigrad, russi e italiani fra auto, amori e servizi segreti Don Andreoli, cappellano della Fiat, rompe il silenzio Togliattigrad, russi e italiani fra auto, amori e servizi segreti LA SPEZIA DAL NOSTRO INVIATO Togliattigrad, 1970. Russi e italiani per la prima volta al cinema insieme. Quel contatto preoccupa il regime di Breznev. E prima che inizi il film, uno speaker avverte i sovietici che lo spionaggio non è solo finzione: può avvenire proprio lì, dove sono arrivati i lavoratori stranieri. «Siete invitati a non riferire nulla che risulti di danno alla patria e a far tesoro di quanto può essere utile alla causa comune». Dal mese di aprile era in funzione, nell'ex Stavropol, ribattezzata Togliattigrad, il VAZ, Volzskij Avtomobil'nyj Zavod, Stabilimento Automobilistico sul Volga, cinque milioni di metri quadrati di fabbrica impiantata dalla Fiat per produrre la Zigulì. Con dirigenti, tecnici, operai, c'era un sacerdote modenese, don Galasso Andreoli, cappellano di fabbrica dal 1956. Per vent'anni don Andreoli non ha parlato di quell'esperienza: «Tu devi tacere: prima, durante e dopo», gli aveva detto monsignor Casaroli al momento della partenza dall'Italia. La consegna, precisa don Andreoli, «non era censura, ma rispetto per la Fiat, che mi aveva accolto come cappellano, non come osservatore politico». Ora, dopo glasnost e perestrojka, dopo il crollo del comunismo e la fine dell'Unione Sovietica, il sacerdote rompe il silenzio. I suoi ricordi sono raccolti in un libro, Cappellano con la Fiat a Togliattigrad (edizioni La Casa di Matriona, Milano). Nel monastero di Bocca di Magra (La Spezia), dov'è convalescente dopo un intervento chirurgico al cuore, questo prete di 63 anni, determinato quanto pacato, con un sorriso quieto che lo ringiovanisce, racconta la società sovietica brezneviana fuori dall'ufficialità: il regime poliziesco e l'ateismo feroce, la miseria e \a propaganda di regime, Va\col e la sanità disastrata vissuti nella realtà di tutti i giorni. Avverte: «Non tenni un diario: se avessero visto appunti scritti, mi avrebbero rimpatriato». Ecco subito il Kgb: «Vivevo all'albergo Zigulì. Ad ogni piano c'era un'addetta al controllo: era vietato l'ingresso ai russi. Ne fu segnalato uno e la milizia lo portò via». Tutto era possibile spionaggio da parte degli italiani. Molti telefoni erano controllati, a maggior ragione quello di un prete: «Mi chiamava mia madre, la sentivo bene fino a che non parlava in dialetto. Allora la linea veniva disturbata. Prima di coricarsi, alcuni facevano pernacchie verso probabili microfoni nascosti. Un ingegnere andò in taxi verso Kujbysev, città proibita dove si costruivano missili: fu rimpatriato, la sua guida spedita in Siberia». Anche l'amore era sospetto: «A una ragazza russa fu impedito di sposare un nostro operaio: i genitori di lei lavoravano in una fabbrica di armi». Ma amore e sesso erano il punto debole della sorveglianza. La milizia era sconfitta dall'intraprendenza feinminile (le donne erano il 30% del personale russo). Le proposte arrivavano per telefono. Qualcuno obiettava: «Ma ho 54 anni...». E la bella: «Net problem». «Sono sposato!», «Net problem». Chiamavano anche la camera di don Galasso. E lui: «Sono un prete!», «Net problem». Il sacerdote non fa prediche: «Non era licenziosità, né prostituzione. Erano ragazze disagiate: noi potevamo telefonare alle nostre famiglie, loro no. I nostri operai erano gentili, educati, i loro uomini erano rozzi, quelli che potevano permetterselo passavano il tempo libero a ubriacarsi. Avevano bisogno di affetto». E qualcuno si arrendeva: «Dissi all'avvocato Agnelli: io ho fatto voto di castità, loro no». Ne venne qualche matrimonio: «Quelle donne si adattavano ai lavori più pesanti, ai servizi più umili. Le vedevo in fabbrica sgretolare il cemento col martello penumatico o verniciare le vetture, mai stanche. A lavoro finito, prendevano la ramazza e pulivano il pavimento». La vita degli italiani tentava di rispecchiare quella di casa. Si aprì una scuola. Si vedevano in televisione «Giochi senza frontiere» o «Rischiatutto». A chi aveva lasciato la famiglia in Italia arrivavano notizie piene d'emozione: «A uno telefonò la moglie, incinta alla sua partenza: è nato un maschietto. Lui rimpianse di essere partito. E gli altri: quando andrai a casa e lei dirà a tuo figlio: questo è tuo papà, lui chiederà: mamma, allora chi è l'altro?». Chi era partito curioso del paradiso sovietico urtava tutti i giorni contro la miseria. Qualcuno provò sulla propria pelle l'arretratezza della sanità: «Un tedesco morì pari'assenza di un rene artificiale.! I medicinali mancavano, li procuravamo noi anche per iru&i; Un. operaio fu rimpatriato per macchie ai polmoni scambiate per tubercolosi: erano i postumi calcificati di una pleurite». Un tecnico fu ricoverato per infarto. Dall'ospedale non poteva comunicare con la famiglia: «Prendemmo trecento metri di filo in officina e gli collegammo un telefono. Quando fu dimesso, il primario ci chiese di lasciarglielo». I furti erano una regola. Don Galasso: «I russi portavano via chiavi, trapani elettrici, cacciaviti. Le lampadine rosse e verdi dei quadri di comando appena montate sparivano. Scassinavano i cassetti delle scrivanie alla ricerca di denaro, aprivano gli armadi per impadronirsi di giacche a vento, impermeabili, cappotti». A lui rubarono una valigia con pianeta, stola, calice, pisside e messale. I colpevoli furono scoperti: due anni di lavori forzati. La milizia era severissima: «Gli ubriachi alla sua vista cessavano di barcollare». L'alcol era un,disastro: «Beveva anche chi doveva vegliare sull'etilismo. Nei primi tempi vedevo ovunque ubriachi stesi a terra. Poi, per evitare che lo raccontassimo a casa, la milizia prese a passare con la camionetta e a portarli nelle camere di raffreddamento, sotto getti di acqua gelida. Quando tornavano in sé, venivano rapati, bastonati e multati con 125 rubli». Di fronte a una comunità straniera con un prete al seguito, si avvertiva intensa la guerra fra «religione» marxista-leninista e fede cattolica. Racconta don Galasso: «Un bambino mi spiegò che la non esistenza di Dio era provata: Gagarin non l'aveva visto». La propaganda passava anche per il cinema: «Andai a vedere un western: l'eroe bello e coraggioso era ateo, il traditore, brutto e viscido, prima di mettersi a tavola faceva il segno della croce». Ma la religiosità, seppur nascosta, esisteva, tramandata dalle nonne: «Un facchino mi bisbigliò: Dio è grande! e alzò il pollice in un ok americano. Entrai d'improvviso nell'ufficio della sorvegliante del piano, in albergo, e lei chiuse atterrita il giornale. Vedendo me, sospirò: Slava Bogu, gloria a Dio. Teneva il libro dei salmi fra le pagine della Pravdai>. La curiosità sulla fede gli operai la nascondevano a casa e in strada, provavano a soddisfarla in fabbrica: «Ma parlare col prete era troppo scoperto, facevano domande ai tecnici, che me le giravano». I rapporti fra le due comunità erano buoni. Discussioni nascevano quando l'orgoglio dei sovietici impediva loro di credere alla realtà europea. Don Galasso: «Una dottoressa, guardando la foto della casa di mio fratello, non credeva che un impiegato potesse avere un'abitazione simile: per lei era un albergo di lusso. A loro la tv mostrava i bassi di Napoli, cortei e manganellate della polizia». Tanto che una madre volle seguire la figlia sposata a un italiano nel purgatorio che l'aspettava: «Per esserle vicina là dove si muore di fame e si perseguitano i comunisti. Tornò dopo un mese. Piangeva E non per la figlia». Marco Nei rotti Telefoni e stanze sotto controllo. Bibbia nascosta dentro la Fravda Le giovani russe in cerca d'affetto: «Sono sposato!» «Non importa» L'ingresso di Togliattigrad, un tempo piccolo centro agricolo ora città con 600 mila abitanti. Il 20 aprile del 1970 uscirono le prime sette Zigulì. Accanto: don Galasso Andreoli

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