Nelle Primarie è l'ora dei ritiri
Nelle Primarie è l'ora dei ritiri Dure pressioni del partito repubblicano su Buchanan perché si faccia da parte Nelle Primarie è l'ora dei ritiri Kerrey s'arrende, Harkin e Brown vacillano WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Forte in Texas, che gli fbrnì i voti per essere eletto in Congresso, George Bush, in vista delle elezioni di martedì prossimo, sta corteggiando soprattutto la Florida, promettendo agli esuli cubani di Miami l'imminente caduta di Fidel Castro e facendo comizi con Norman Schwarzkopf, per ricordare agli elettori quella vittoria nel Golfo, che tutti sembrano aver dimenticato. Inoltre, preparandosi alla lotta nel terzo potente Stato della «cintura del sole», la California, che voterà in giugno, promette acqua per irrorare i suoi campi devastati dalla siccità. Nel frattempo, nella lunga corsa delle presidenziali americane, è cominciato il gioco dei ritiri, quelli annunciati ufficialmente, quelli incombenti, quelli chiesti provocatoriamente e quelli sperati. Ieri, con un misto di tristezza e di ironia, ha gettato la spugna Bob Kerrey, il senatore del Nebraska e eroe del Vietnam, che era stato presentato come una delle più fulgide speranze dello schieramento democratico. «Dopo lo scorso martedì - ha detto, riferendosi al mediocre piazzamento in tutti e sette gli Stati in cui si è votato - mi sento un po' come la squadra di bob della Giamaica alle Olimpiadi invernali». «Eravamo pronti a lan- ciarci a tutta velocità, ma purtroppo abbiamo finito la benzina», ha ammesso. E, per essere ancora più chiaro, ha aggiunto: «Mentre siamo pieni di entusiasmo, sfortunatamente non siamo pieni di danaro». Kerrey, passando di sconfitta in sconfitta, ha perso i finanziatori e accumulato debiti per un milione di dollari, più di un miliardo di lire. Non aveva più soldi per gli aerei, per gli alberghi, per organizzare manifestazioni. Ed avendo bruciato anche una parte delle sue fortune personali, un proseguimento della campagna nello sconfinato Texas avrebbe potuto trasformarlo letteralmente in un senzatetto. Abbandonando la corsa, Kerrey ha rimpianto di aver detto, per esigenze di propaganda, cose pesanti sugli altri quattro candidati democratici, che «meritano tutti la nomina». Ma poi, rispondendo a una domanda, ha tradito una preferenza per Bill Clinton, che sta assistendo con una certa preoccupazione all'assottigliarsi, nei sondaggi, del suo margine di vantaggio su Paul Tsongas in Florida. Ormai la corsa per la nomina democratica è ristretta a loro due, anche se il voto del Colorado ha regalato un po' di carburante a Jerry Brown, fino a martedì scorso «maglia nera» della classifica. Tom Harkin non ha ancora an- nunciato il ritiro e lotta disperatamente, anche se con poche speranze, per rimanere in corsa. Il suo sarà quasi certamente il prossimo e non lontano abbandono. Seguirà probabilmente quello di Brown. Con una sparata propagandistica un po' spericolata, Pat Buchanan ha, invece, invitato Bush a ritirarsi. «Rischia di diventare il Jimmy Carter del partito repubblicano - ha detto -. Dovrebbe cominciare a riflettere seriamente sulla possibilità di rinunciare alla rielezione». «E' andato oltre ogni possibile limite, sta giocando con noi ai cartoni animati», è stata la risentita reazione di Marlin Fitzwater, portavoce di Bush. «Ve lo immaginate Bush che si presenta agli elettori - ha dichiarato William Bennet, uno dei suoi collaboratori passati - e dice: "Ho vinto fin qui in tutti gli Stati e quindi mi ritiro"?». Infatti, sulla carta, Bush ha sempre battuto ovunque Buchanan, che ha raccolto un pugno di delegati e non ha alcuna speranza di vincere. Ma la carta non dice tutto. Tutti sanno che Buchanan non corre per vincere, ma solo per «mandare un messaggio a Bush» e, nello stesso tempo, costruirsi una base per disegni futuri. Ma, nel frattempo, la sua campagna sta mettendo in cru¬ dele evidenza l'attuale debolezza di Bush (ieri la Camera ha bocciato la sua proposta di bilancio, 370 no, 42 a favore). Per questo, dalla Casa Bianca e dal vertice del partito repubblicano, vengono messe in atto discrete ma forti pressioni perché a ritirarsi sia proprio Buchanan, che rischia di indebolire oltre l'accettabile l'immagine del partito e di Bush. Intanto Bush, che assiste sgomento a una crescita del suo avversario anche in Florida, confida agli esuli cubani la sua speranza di «essere il primo presidente americano a mettere piede in una libera Cuba». Paolo Passerini Buchanan parla a un gruppo di scolari durante il suo tour elettorale ad Atlanta [FOTOAP]
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