«Vaticano poco sociale» di M. Tos.
«Vaticano poco sociale» Un convegno dei dipendenti denunci^: predica bene, agisce male «Vaticano poco sociale» Donne penalizzate: assegni familiari solo agli uomini, niente asili nido Per tutti stipendi bassi, discriminazioni, «finto dialogo sindacale» CITTA' DEL VATICANO. Scoppia in Vaticano la «questione sociale»: dopo anni di proteste più o meno silenziose, centinaia di dipendenti hanno partecipato ieri pomeriggio a una conferenza-dibattito intitolata: «Una nuova cultura del lavoro per costruire una comunità di persone. Il lavoro in Vaticano alla luce della Centesimus Annus». L'intento: far risaltare le discrepanze fra la dottrina sociale della Chiesa e la sua applicazione all'interno delle mura leonine. E gli interventi dei dipendenti laici l'hanno confermato. Le peggio trattate sono le donne. Le «politiche familiari» più volte raccomandate dalla dottrina sociale della Chiesa sono poco applicate in Italia, ma - ha detto una dipendente - anche per le donne in Vaticano «dove, nonostante le buone intenzioni, il ritardo è ancora più sensibile». Le 390 dipendenti donne (di cui 130 suore, su un totale di 3400 salariati, di cui oltre 2300 laici) lamentano fatti precisi. Gli assegni familiari sono pagati soltanto agli uomini, «salvo rare ecce- zioni in cui alle lavoratrici è stato chiesto di documentare che il marito fosse disoccupato o guadagnasse poco: non sappiamo ancora quanto sia poco per il Vaticano». All'assistenza sanitaria vaticana hanno avuto accesso finora solo i figli dei dipendenti uomini: «Per i figli delle donne c'è l'Usi, e tutti sappiamo la differenza qualitativa che esiste fra le due». E ancora: «Non esistono congedi, retribuiti e non, per assistere figli malati o handicappati, anche nella più tenera età. Non esistono asili nido, nemmeno convenzionati». Protestano anche i giornalisti della «Radio Vaticana»: a fronte di prestazioni identiche a quelle dei colleghi italiani, «percepiscono mediamente poco più della metà dello stipendio ordinario di questi». Non vogliono reclamare un trattamento eguale, «vista la natura diversa del nostro datore di lavoro», ma chiedono diritto di cittadinanza alla professionalità e pongono una domanda bruciante: «Perché poi una disparità rispetto ai giornalisti dell'Osservatore Romano, che godono di un migliore trattamento normativo ed economico?». «Siamo alienati!», protestano i dipendenti laici. I loro stipendi vanno da un minimo lordo di 1.461.546 lire, ad un massimo di 2.317.166, esclusi gli assegni familiari (35 mila lire a persona) e gli scatti biennali. Da queste somme bisogna detrarre una parte per previdenza e assistenza, ma non le tasse, che in Vaticano non esistono. I dipendenti sono offesi dal termine «prestatori d'opera» con cui vengono definiti negli atti ufficiali, si sentono «braccia». E non si spiegano «perché i Regolamenti si scrivono senza il parere dei dipendenti; perché non è mai possibile sapere la norma o l'articolo in base al quale si prendono i provvedimenti; perché sono introvabili i testi; perché esistono disparità di trattamento nelle mansioni e nei livelli a seconda degli uffici». E manca il dialogo, o meglio, lamenta il segretario dell'Associazione, Valerio Arringoli, è «un finto dialogo». [m. tos.]
Persone citate: Annus, Donne, Valerio Arringoli
Luoghi citati: Citta' Del Vaticano, Italia
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