Detroit silura l'auto «gialla»

Detroit silura l'auto «gialla» Mentre Tokyo avverte la crisi parte la controffensiva delle Case americane Detroit silura l'auto «gialla» Dazi altissimi, guerra dell'indotto WASHINGTON. L'ultimo schiaffo americano all'auto gialla è partito ieri. E' l'aumento dei diritti d'importazione: decuplicati nel giro di 24 ore da un provvedimento del Senato chiaramente ispirato dalla lobby Usa. In prima linea, a spingere il provvedimento, c'era il senatore Donald Riegle, eletto nel Michigan, la patria di Gm, Ford e Chrysler. D'ora in poi fuoristrada e furgoni giapponesi verranno classificati autocarri. La tassa passerà al 2,5% al 25%. Uno scherzetto da 3 mila dollari (più di 3 milioni e mezzo), su ogni pezzo in arrivo: il fisco incasserà 220 mila dollari in più. I rapporti commerciali tra le due potenze economiche, già tesi, diventano incandescenti. Gli Usa soffrono pene d'inferno per i malanni dell'auto. I giapponesi, approfittando della congiuntura americana, hanno invaso i mercati. Oggi è l'auto gialla a confermare i sintomi di crisi, e 10 Zio Sam non perdona: martella sulle importazioni, togliendo 11 fiato a una concorrenza già preoccupata dalle previsioni. A pochi giorni dalla chiusura degli esercizi finanziari e dall'inizio delle vertenze contrattuali, le previsioni di Tokyo sugli utili '92 sono pessime. Mazda teme un crollo del 25%, Nissan del 14%, Honda e Mitsubishi si accontenterebbero di perdere il 13%. Per ridurre il surplus e tagliare le spese, gli industriali proporranno ai lavoratori di ridurre i loro orari-record. Su questi segnali, Detroit drizza le sue antenne più sensibili, prepara la strategia e spara siluri che trovano bersagli facili. Honda ha appena perso una battaglia da 17 milioni di dollari (oltre 21 miliardi di lire) con le autorità doganali Usa: tasse arretrate, per aver importato in un anno 90 mila vetture dal Canada, stabilimento di Alliston (Ontario). Motivazione: non potevano rientrare nell'accordo di libera importazione perché montavano meno del 50% di particolari prodotti negli Stati Uniti. . Scott Whitloc, capo di Honda America, l'ha presa malissimo ed ha accusato l'amministrazione Bush: «Strumentalizza il caso per alimentare i mai sopiti sentimenti antigiapponesi». Witloc sostiene che il modello di punta, la Civic, ha un 69% di made in Usa. La commissione dice: «Non più del 46%», soltanto 5 punti percentuali meno del lecito, ma quanto basta per lanciare il siluro della maxipenale. Toccati sul vivo, i giapponesi girano la patata bollente al Canada: «E' una questione che riguarda soltanto Washington e Montreal». Il ricorso nippo-canadese contro la dogana di Washington è già in viaggio. Ma, nel frattempo, arriva un secondo siluro, ancora più perfido. L'avevano lan- ciato, a giugno, alcune industrie Usa dell'indotto-auto. Tagliate fuori dalle commesse per le fabbriche di auto giapponesi, hanno voluto un'indagine sui componenti usati. La Ftc, la commissione federale per il commercio, ha chiesto alle 13 Case madri la documentazione completa. «Una mole enorme, con moltissimi documenti delicati» ha lamentato la Jama, l'associazione giapponese del settore che ha chiesto di congelare la richiesta o di limitare i documenti all'essenziale. Niente da fare, la Ftc, che in passato era stata molto più morbida, ha già dato l'ultimatum: «Tre settimane di tem¬ po». A Tokyo si chiedono dove voglia arrivare Bush. Il cavillo della documentazione sui componenti potrebbe bloccare il commercio di auto finite. Ma William Tanaka, consigliere della Jama, guarda più lontano e fa già intravedere la contromossa: «C'è una singolare coincidenza: arriva l'indagine Ft e il procuratore generale William Barr parla di un possibile riesame delle politiche antitrust in considerazione dei monopoli che restringono le esportazioni americane. C'è il rischio che vadano in fumo i nostri sforzi per avvicinare l'indotto Usa al mercato giapponese». Brano Gianotti George Bush

Persone citate: Bush, Donald Riegle, George Bush, Gianotti, Jama, Scott Whitloc, William Barr, William Tanaka