In 300 nella trappola di fuoco di Aldo Cazzullo

In 300 nella trappola di fuoco Fuga di grisù 500 metri sottoterra in Turchia, già recuperati cento cadaveri In 300 nella trappola di fuoco //più grande disastro minerario dal '45 ANKARA. Sono intrappolati là sotto, 500 metri sotto terra, e stanno morendo. «Non ci sono più speranze di recuperarli vivi», dice il direttore della miniera. Quanti sono? C'è un unico modo per saperlo: contare le lampade che mancano dal magazzino. Erano in settecento a scavare il carbone per conto dello Stato, sulle montagne di Kozlu, nel Nord della Turchia. Ognuno aveva la sua lucerna. Ne mancano 339. E' il più grande disastro minerario al mondo del dopoguerra. Ma le donne che piangono piano e attendono fuori dal buco nero dell'ingresso ancora non lo sanno. Sono centinaia: si abbracciano, in silenzio. Ogni tanto qualcuna perde il controllo, comincia a urlare: «Fatemi vedere mio marito». Con loro tanti curiosi e decine di ambulanze: arrivate per i feriti, continuano a caricare cadaveri. Al tramonto ne avevano già portati fuori un centinaio. Molti superstiti sono rimasti, vogliono salvare i loro compagni. Ma l'incendio non è spento, i soccorritori devono farsi strada nelle gallerie, tra il fumo e i detriti. Hanno ancora addosso l'angoscia per quel che è successo, e la paura. Sono le otto e mezzo di sera. Si lavora, in fondo alla miniera. In settecento si sono calati in fondo ai due pozzi: Incirharmami, 485 metri dal suolo; e Ihsa- niyenen, ancora più giù, 560. Routine. Non possono sapere che si è appena liberata una sacca di grisù, da sempre il nemico degli «uomini di carbone». Una volta tenevano là sotto con loro un uccellino in gabbia: se d'un tratto cadeva stecchito, il gas stava arrivando, via di corsa. Ora ci sono canali di aerazione e sonde di controllo. Che non sono serviti a nulla. In pochi secondi il gas ha invaso i pozzi, saturato l'aria. Poi l'esplosione. «E' stato come un fulmine. Un bagliore terribile. Ci ha spazzati via. Dopo non ricordo nulla». A Cevat Engin è andata bene: è uno degli 87 feriti, si salverà. Quel che non ricorda è il boato che scuote la miniera, le tante piccole esplosioni innescate dal gas. E il fuoco. «E' mancato subito l'ossigeno - dice un suo collega alla tv - Si è sviluppato un calore insopportabile, il grisù che bruciava. E anche a noi sembrava di bruciare, dentro. Le lampade si erano spente, era buio, unica luce l'incendio». Qualcuno è riuscito a fuggire. Sali Vanik era più in alto, con qualche compagno. «Abbiamo sentito un sibilo, come di un vento fortissimo. Come potrò dimenticarlo? Le gallerie che attraversavamo per risalire erano piene di cadaveri». Comincia una notte d'angoscia. Le prime voci parlano di duemila in trappola. Il trenino che porta là sotto è bloccato. I cunicoli sono in fiamme, si prova a arginarle con blocchi di cemento. Niente da fare, non si passa. E viene il giorno della rassegnazione. «Nessuna speranza. I dispersi sono morti o moriranno prima di essere soccorsi», annuncia il direttore della miniera. La Turchia è sotto choc. «L'intera nazione è in lutto», continua a ripetere il primo ministro Suleyman Demirel, mentre si aggira come in trance sul luogo del disastro e tra i feriti. I minatori già gridano contro di lui e il suo governo. Denunciano l'inadeguatezza di macchinari e tecniche per l'estrazione del carbone. Il sindacato federale «Turk-is» accusa «le autorità negligenti oltre ogni limite, nonostante ripetuti avvisi sull'insicurezza delle miniere turche». Cita i dati ufficiali delle vittime nella regione carbonifera di Zonguldak: in dieci anni sono morti 483 lavoratori, senza considerare l'ultima strage. I feriti sono più di settantamila. Replicano il premier e gli altri sette ministri sul luogo della tragedia con una nota asciutta: «Le misure di sicurezza nella miniera carbonifera statale di Kozlu rispettano in pieno le misure e gli standard di sicurezza internazionali». «Sciocchezze», si indigna il presidente del Parlamento di Ankara, Husamettin Cindoruk: «La verità è che i minatori turchi e le loro famiglie vivono come seduti su casse di dinamite». Aldo Cazzullo

Persone citate: Cevat, Suleyman Demirel

Luoghi citati: Ankara, Turchia