Mao, il libretto a luci rosse

Mao, il libretto a luci rosse Inedito ritratto del Timoniere in due biografie americane Mao, il libretto a luci rosse Sesso e droga nella vita privata wt|N despota spietato che predicava la purezza ideologica ma coltivava I le antiche lascivie impew I riali, si rifugiava nell'oppio, amava circondarsi di servitori: questo il ritratto di Mao nel recente libro di Harrison E. Salisbury, I nuovi imperatori, la Cina nell'era di Mao e Deng. Il lavoro di Salisbury svela il privato «abbietto» del Grande Timoniere ed esce negli Stati Uniti contemporaneamente ad un libro dedicato a Kang Sheng, accanto a Mao per anni, dirigente della Rivoluzione culturale: Gli artigli del drago, di Robert Pack e John Byron. Il volume, opera di uno studioso e di un agente dei servizi americani (che si firma con uno pseudonimo), descrive Sheng come un personaggio sadico e viscido, e anche lui con un debole per droga, sesso e torture. Finiti in piazza gli orrori dello stalinismo, si stanno ora tardivamente rivisitando la Cina e il maoismo. Lo scenario che emerge dai due libri è impressionante: Zhongnanhai, la chiusa e nuova Città Proibita del potere comunista, vicina a quella imperiale ora aperta al pubblico, viene descritta come un fortilizio popolato di briganti, capeggiati da uno zoticone erotomane che rimase tale fino alla soglia della fossa. Presentando le due opere, Time afferma che con esse la glasnost sta arrivando a Pechino: giudizio azzardato, e non solo perché i due libri vengono pubblicati in America, non in Cina; ma soprattutto perché tutto quel che di male c'era politicamente da dire su Mao lo proclamò lo stesso Comitato centrale del partito comunista cinese alla fine del giugno '81 : il Timoniere aveva avuto il merito di fare la rivoluzione, ma poi aveva gettato il Paese nel baratro con le Comuni e il Grande balzo in avanti del '58, causando infine «un immenso disastro alla Cina e al popolo» con la Rivoluzione culturale. Questo giudizio è in un memorabile documento storico e politico che in Occidente venne ignorato dalla sinistra o non capito, nel suo significato dirompente. Per quanto riguarda Kang Sheng, basterà ricordare che fu espulso dal partito nell'autunno 1980, cinque anni dopo la morte, in una rivalsa postuma condita di rivelazioni sui suoi misfatti. Pilotate, certo, ma basate su montagne di cadaveri. La parte più interessante, nel libro di Salisbury, è costituita dalle rivelazioni sulla vita privata di Mao: le confidenze vengono da personaggi a lungo e benevolmente frequentati dall'autore. Alcuni presero parte alla Lunga Marcia (che Salisbury ha ricostruito in altre opere), molti di essi occupano ora posizioni di altissimo livello. Lo scrittore non li cita tutti, ma è noto che uno dei suoi amici è Yang Shangkun, capo dello Stato, già ufficiale dei servizi segreti. «La residenza di Mao - scrive - talvolta traboccava di giovani e belle donne». Gran nuotatore (ricordate la taversata dello Yangze nel luglio '68?), il Timoniere amava i balletti con fanciulle nude nella sua piscina personale. «Ovunque andasse gli si preparavano complessi artistici acquatici e partner adeguate». Mao, secondo uno dei suoi medici, era un vero «maniaco sessuale». E non sdegnava l'oppio, né le collezioni di immagini pornografiche. I pettegolezzi che da anni giravano a Pechino sul Timoniere ora hanno la dignità di pagine scritte e attendibili. Ma si può aggiungere altro: pare ad esempio che il leader cinese amasse farsi bendare e poi giocare a mosca cieca con gruppi di ragazze selezionatissime. Era ormai vecchio, e con le prime avvisaglie del morbo di Parkinson, ma gli piaceva brancolare per la stanza palpeggiando qua e là, fino alla scelta della favorita. Salisbury lo definisce uno zotico che riuscì a sollevare le masse contadine ma, divenuto imperatore, zotico restò: impreparato a guidare la Cina e modernizzarla. Forse è politicamente irrilevante, ma si potrebbe aggiungere un particolare. Benché figlio di uri piccolo proprietario terriero, Mao solo quando giunse al potere conobbe un aggeggio moderno come il gabinetto, ma non vi si abituò mai. Nella sua confortevole residenza di Pechino e in quelle in cui si trasferiva ogni tanto, come lo sfarzoso ex Club francese di Shanghai, continuava a usare il pitale. Le abitudini rustiche di Mao non erano un segreto. Già Edgar Snow, il suo «cantore», lo descrisse negli anni della lotta a Yanan mentre, con i pantaloni sbottonati, gli spiegava la sua visione del mondo dando la caccia alle piattole. Ma l'autore di Stella rossa sulla Cina intendeva allora esaltarne la semplicità. Anche a Yanan si manifestarono i robusti appetiti sessuali di Mao. Non esitò a disfarsi della terza moglie, che con lui aveva fatto la Lunga Marcia, preferendole Ciang Cing, l'attricetta di Shanghai. La poveretta fu messa in manicomio e fatta scomparire nel nulla. Solo Deng, nel 1980, la fece «riemergere» nominandola membro dell'assemblea consultiva. Ma c'è dell'altro: lo stratega a lungo celebrato come «poeta della propaganda», ma che co- nosceva assai vagamente Napoleone e Rousseau, conservò «dello zotico» (per usare le parole di Salisbury) la furbizia istintiva, la vendicatività rancorosa. Nel '56 lanciò la campagna dei «cento fiori», invitando gli intellettuali ad esprimere le critiche al regime per migliorarlo: una trappola per individuare gli sventurati che abboccarono, e colpirli. Nel '58 lanciò le Comuni e il «Grande balzo in avanti»: collettivizzazione integrale delle campagne e altiforni da cortile, nei quali, per produrre qualcosa, si fondeva ciò che era già fatto: quelli del Quotidiano del popolo misero in fonderia mezza tipografia. L'anno dopo, in una riunione di vertice a Lushan, il ministro della Difesa Peng Dehuai osò denunciare il disastro, e lo fece con un'espressione piuttosto colorita: «Non abbiamo cotone neanche per farci le mutande». Mao ne pretese e ottenne la sostituzione con Lin Piao, ma l'allora capo dello Stato Liu Shaoqi e il segretario del partito, Deng Xiaoping, gli fecero pagare lo scotto: lo misero da parte, pur con mille onori, per poter riparare'i guasti. Ma la Cina aveva pagato un prezzo terribile: secondo le cifre ufficiali, venti milioni di morti. Nel '68, alleatosi con Lin Piao, lanciò la Rivoluzione culturale contro Liu Shaoqi, fedele burocrate, perseguitato fino alla morte in carcere, e Deng Xiaoping, più tardi ripescato da Zhou Enlai. Per questo rilancio politico, l'imperatore erotomane ricorse ai classici strumenti della Città Proibita: la servitù (Chen Pota, suo segretario), il gineceo (la moglie Ciang Cing), la soldataglia (Lin Piao), gli sbirri (Kang Sheng, il Beria cinese). La cui biografia si intreccia con quella del suo capo. Di Mao si ricorderà un'espressione poetica davanti alle Guardie rosse: «La Cina è una pagina bianca, vi si può scrivere quel che si vuole». Ma la Cina, ai tempi della «Rivoluzione culturale», non era una pagina bianca. Era già rossa di sangue. Fernando Mozzetti Invitò tutti a fare critiche, ma per «stanare» i suoi oppositori Un po' di oppio e poi in piscina con una corte di ragazze nude Lin Piao: l'appoggio militare permise a Mao di lanciare la «rivoluzione culturale». Nell'immagine grande, il «Timoniere» con Clan Cing durante la «rivoluzione culturale». In alto, i due nel '49 a Yanan