L'ex braccio destro inguaia Gotti di Franco Pantarelli

L'ex braccio destro inguaia Gotti Al processo di New York il mafioso racconta gli omicidi ordinati dal boss L'ex braccio destro inguaia Gotti «Decidemmo la morte di Castellano e partecipammo anche noi all'agguato» NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Eccola l'arma segreta dell'accusa contro John Gotti. Si chiama Salvatore Gravano, è più noto come «Sammy Bull», Sammy il toro, ed è stato per molto tempo il luogotenente di Gotti, il capo della «famiglia» Gambino che le autorità di New York stanno cercando di incastrare. Il processo contro Gotti attualmente in corso è il quarto. In tutti gli altri tre è stato assolto perché le prove messe insieme contro di lui non sono risultate sufficienti. Questa volta, dicevano all'inizio i rappresentanti dell'accusa, ce la faremo. E l'udienza di ieri è sembrata dare loro ragione. Sammy Bull è uno che sa tutto, che ha visto tutto, che ha partecipato a tutto, compreso l'assassinio di Paul Castellano, il 16 dicembre 1985, che segnò l'ascesa di Gotti alla testa della più importante delle cosche mafiose newyorkesi. E quel che conta è che Sammy Bull ha deciso di spifferare tutto. La sua ricostruzione di quel delitto è stata estremamente precisa e il coinvolgimento di John Gotti ne è risultato evidente. Mentre i killer abbattevano il bersaglio Castellano, all'uscita dal ristorante «Spark's Steak House», sulla 46a strada, lui e Gravano erano in un'automobile parcheggiata a poche decine di metri di distanza, pronti a finire il lavoro. Ogni tanto, durante la sua deposizione, Gravano guardava nervosamente verso la sedia dove stava seduto Gotti. Ma se si aspettava una qualche reazione da parte del boss è rimasto deluso. Il suo ex capo, come sempre elegantissimo, ha continuato a sorridere per tutto il tempo. L'udienza di ieri, comunque, è stata sicuramente tutta contro di lui. Quando l'altro ieri il presidente del tribunale aveva annunciato: «Il prossimo testimone sarà Salvatore Gravano», era subito cominciata la caccia ai posti. Per tutta la notte la gente è rimasta in fila per non perdere il grande evento, e alla fine quella perseveranza è stata premiata. «John era il boss», ha detto Gravano con voce calma. «Io ero il suo luogotenente». E Frank Locascio, l'altro imputato eccellente in questo processo? «Frankie era il consigliere», ha spiegato Gravano. E tanto per puntualizzare, il procuratore che lo interrogava, John Gleeson, è intervenuto dicendo alla giuria: «Frankie è quello che proprio in questo momento vi sta sorridendo». A quel punto è cominciata la deposizione vera e propria. Il procuratori; Gleeson gli ha chiesto se avesse partecipato a degli assassinii e Gravano ha risposto tranquillamente «sì». A quanti? «Diciannove». Poi ha raccontato il suo apprendistato a Brooklyn, i primi furti, le rapine sempre più impegnative, fino alla grande occasione: la presentazione a Paul Castellano, erede del grande Carlo Gambino. Il «giuramento» - incisione sul dito indice per prelevare il sangue e un santino da bruciare - lo fece proprio alla presenza di Castellano, impe¬ gnandosi all'eterna fedeltà. Poi però partecipaste alla sua uccisione. «Sì». Perché decideste che Castellano doveva morire? «C'erano varie ragioni. La principale è che stava svendendo la famiglia per i suoi interessi personali». Così lui, Gotti ed altri cominciarono ad organizzare l'assassinio del vecchio capo, ottenendo anche l'approvazione delle altre famiglie di New York: la Lucchese, la Colombo e la Bonanno. La notte prima del delitto si incontrarono nello scantinato della sua ditta di costruzioni a Brooklyn e decisero che «il tempo era venuto». «Stabilimmo quali uomini dovessero sparare e quali posizioni dovessero assumere fuori del ristorante». L'indomani ognuno fece quello che era previsto. Tutti erano dotati di walkie-talkie «in modo che potessimo restare in contatto». Gravano e Gotti si piazzarono nella stessa automobile, a poche decine di metri di distanza. Come è arrivato Gravano alla decisione di vuotare il sacco? A convincerlo, a quanto dicono le autorità, è stata la paura di passare il resto della sua vita in prigione. Quando fu arrestato nel novembre scorso, assieme a Gotti e Locascio, prese segretamente contatto con l'Fbi e offrì la propria collaborazione in cambio di una riduzione della pena. Gli è stato promesso che la sua condanna non sarà superiore ai venti anni di prigione. Ma nonostante il segreto il «mondo» di Gotti aveva già saputo quattro mesi fa che Gravano aveva «tradito» e che si apprestava a questa deposizione. E infatti da quattro mesi il suo soprannome è cambiato. Ormai è «Sammy Rat», Sammy il topo. Franco Pantarelli Il capoclan ha ascoltato la deposizione con un sorriso John Gotti scherza in aula con il suo avvocato. Sotto il cadavere di Paul Castellano, il boss assassinato nel dicembre del 1985

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