Bush, duello sul set di Vìa col vento

Bush, duello sul set di Vìa col vento In Georgia si ripropone l'incognita del conservatore Buchanan, si vota in altri sei Stati Bush, duello sul set di Vìa col vento Resa dei conti tra Clinton e Tsongas II Presidente: vedrò Eltsin a giugno WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La grande corsa elettorale sta diventando sempre più frenetica. Ieri, mentre gli elettori di sette Stati si recavano alle urne per definire la classifica di una tappa piuttosto importante, George Bush e Bill Clinton, i due acciaccati «numeri uno» dei due opposti campi, erano già avanti di due o tre settimane, facendo rispettivamente campagna in Illinois e in Florida. Ma tutti e due tenevano lo sguardo fisso sulla Georgia, quello, tra gli Stati che hanno votato ieri, che avrebbe fornito la risposta più importante per entrambi. Il Presidente uscente (che ieri ha annunciato la data del prossimo vertice con Boris Eltsin, il 16 e 17 giugno) poteva trarre poco conforto dall'ultimo sondaggio «Cbs-New York Times», che lo confermava in testa rispetto a qualunque dei candidati democratici in lizza, anche se battibile da un «innominato» democratico senza volto, che peraltro non esiste e quasi certamente non spunterà più. La sua lotta è ancora tutta contro il repubblicano di destra Pat Buchanan ed è una lotta triste, proprio perchè può essere persa anche se è vinta in partenza. Non si profila e probabilmente non si profilerà mai l'ipotesi che i delegati repubblicani alla convenzione di Houston di metà agosto scelgano di nominare l'ex-giornalista della Cnn. Ma l'indice di gradimento di Bush segnalato dall'ultimo sondaggio continua a calare, avendo toccato un patetico 40% e, se i risultati di questa mattina dimostreranno che, rubando a Bush un terzo circa delle preferenze repubblicane, Buchanan è in grado di replicare anche nel Sud il successo di febbraio in New Hampshire, l'immagine del Presidente subirà uno sfrégio difficile da cicatrizzare. Nei sette Stati interessati ieri dal voto, i repubblicani erano coinvolti solo in cinque: tre primarie (Georgia, Colorado e Maryland) e due «caucus» (Minnesota e Washington). Le elezioni americane sono molto complesse: per quanto riguarda il processo di «nomination», che serve a guadagnare i delegati alla convenzione e prece¬ de lo scontro diretto tra i due contendenti finali per la presidenza, in alcuni Stati si svolgono vere e proprie elezioni primarie, alle quali si può esprimere un numero più vasto di elettori. In altri si svolgono i «caucus», assemblee interne dei partiti, che fanno una scelta analoga, ma con un campione più ristretto. In alcuni Stati si fanno prima i «caucus» poi le primarie. La scelta del metodo non solo varia da Stato a Stato, ma da partito a partito. Buchanan non si è presentato nel Colorado. Ha fatto una campagna distratta in Maryland, sperava in una sorpresa favorevole dal «caucus» dello Stato di Washington (dove poi si terranno le primarie il 17 aprile), ma si è concentrato soprattutto sulla Georgia, impugnando le bandiere dalla patria, della tradizione e dei valori antichi. Ha accusato Bush di essere corrivo nei confronti dell'omosessualità e della pornografia e Bush lo ha ricambiato, accusandolo di «bigotteria», di essere contro le donne, e, tra le righe, di razzismo e antisemitismo. Ieri, il duello repubblicano vero si è svolto lì, nella terra di «Via col vento». Oggi si saprà. Per Clinton è in qualche modo la stessa cosa. L'ultimo sondaggio lo dava in testa di 9 punti su Paul Tsongas, il greco del Massachusetts che ha sconfitto una forma di leucemia. Ma, in un certo senso, Clinton non poteva ancora essere considerato il «front runner» democratico, il capoclassifica del suo campo, perché, fino a ieri, non aveva ancora vinto da nessuna parte. Essendo, come governatore dell'Arkansas, un uomo del Sud, era certo di vincere in Georgia, ma il problema era «come», di quanto. Clinton, malandato per scandali e sospetti, aveva bisogno di una vittoria perentoria, che gli consentisse di mantenere in piedi la potente e costosa macchina elettorale che ha costruito. Tsongas, indicato dai sondaggi come uomo di testa in Colorado, sperava di perdere onorevolmente in Georgia, lasciandosi così aperta la strada alla raccolta di altri delegati nel Sud. Aveva discrete certezze di piazzarsi in testa nelle altre due primarie, oltre al Colo¬ rado, che interessavano i democratici ieri, Maryland e Utah. Nei tre «caucus» democratici, Minnesota, Idaho e Washington, la situazione si presentava sostanzialmente equilibrata alla vigilia. Uno sarebbe andato meglio qui e uno là. Inoltre le elezioni di ieri, oltre che definire la classifica, possono anche averla ristretta inesorabilmente. A Bob Kerrey non è certo bastata la vittoria, peraltro scontata, nel South Dakota, per ritagliarsi addosso l'immagine di candidato eleggibile, così come non è bastato a Tom Harkin fare il pieno nel «caucus» del suo Iowa, dove peraltro non aveva avversari. E il californiano Jerry Brown era ancora al di sotto della quota di voti per ottenere il sostegno federale alla continuazione della campagna. Per tutti e tre, il voto di ieri può aver comportato il ritiro dalla corsa per la mancanza dei fondi necessari a proseguirla. Paolo Passarini PRIMARIE CAUCUS* ' ASSEMBLEE 01 PARTITO SOLTANTO 448,5 DEI 4287 CANDIDATI ALLA CONVENTION DEMOCRATICA E 42 DEI 2209 A QUELLA REPUBBLICANA HANNO ESPRESSO UNA POSIZIONE. ECCO LE ULTIME PREFERENZE DEI DELEGATI, COMPRESI I RAPPRESENTANTI ELETTI CHE SONO AUTOMATICAMENTE DELEGATI. DEMOCRATICI REPUBBLICANI ALTR114 BROWN 8,28 TSONGAS 21 KERREY 22,25 BUSH 28 CLINTON 96 HARKIN 73,25 INDECISI 5 ^^^^^^ Bi BUCHANAN 9