Hemingway? Bravo giornalista inattendibile
Hemingway? Bravo giornalista inattendibile Grande prosa e grandi imprecisioni negli articoli scritti per il «Toronto Star» e ora ritrovati Hemingway? Bravo giornalista inattendibile Errori storici, sviste clamorose e un direttore fuori dai gangheri JWASHINGTON RA già bravo ed era già molto bugiardo. Venticinque articoli scritti da Ernest Hemingway per il Toronto Star, mai pubblicati dal giornale o mai attribuitigli finora, sono stati ritrovati rovistando negli archivi. Vanno ad aggiungersi ai 175 già pubblicati con il titolo, ormai inattuale, Da Toronto: raccolta completa degli articoli di Hemingway per il Toronto Star. I nuovi pezzi confermano un'originale ricerca stilistica già in uno stadio avanzato, la caratteristica prosa descrittiva, le volute ripetizioni che avvincono come percussioni ritmiche, l'incalzante crescendo di frasi staccate. Scriveva già molto bene, Hemingway. Ma informava malissimo. Era un giornalista brillante e inattendibile. Tra gli articoli ritrovati da William Burril negli archivi dello Star o tra le carte dello scrittore conservate nella biblioteca «John Fitzgerald Kennedy» a Boston, c'è una lunga intervista del '22 all'allora primo ministro francese, Georges Clemenceau, che fece uscire dai gangheri John Bone, il direttore dello Star. Hemingway è efficacissimo nel descrivere l'uomo e il suo «cottage» a Les Sables-d'Olonne. «La stanza era fatta con semplici assi di legno. Su un lato c'erano, appesi a un supporto, un catino e una brocca per lavarsi. Sull'altro lato un tavolino per scrivere. Dietro il divano, dove ero seduto, un comodo letto. Sopra il let¬ to uno scaffale di libri». Entra il protagonista. «Un uomo corpulento, appesantito dall'età, con addosso un vestito di tweed marrone, un buffo berretto piatto, la faccia marrone come un indiano, i baffi bianchi pendenti, le bianche sopracciglia a cespuglio, con quell'aria da tigre che ha nelle foto, i suoi occhi balenavano mentre, avanzando sulla sabbia, parlava alla sua prosperosa nuora. I due si fermarono sulla soglia della porta. "Au revoir, papa", la donna si piegò su di lui. Allora Clemenceau la circondò con un braccio e la baciò: "Au revoir, bambina mia, a presto"». Bello. Solo che, iniziata l'in¬ tervista, il primo ministro francese, senza che l'intrepido intervistatore trovi nulla da obiettare, fa una sparata contro il Canada, sostenendo che non andrà mai in quel Paese perché «si è sottratto ai suoi obblighi, rifiutandosi di aiutare la Francia durante la prima guerra mondiale». «Non può aver detto una fesseria simile», intuisce subito Bone. Infatti, il Canada aveva mandato truppe in Europa addirittura due anni prima degli Stati Uniti. Il direttore «rifila» pesantemente l'intervista e, in una lettera all'autore, coglie l'occasione per comunicargli che, «pur non volendo rinunciare a un eccellente colore», era stato necessario correggere «alcuni rilievi storici gravemente inaccurati». Ma, per Hemingway, la storia viene dopo lo stile. E così, continuando in quello che amava chiamare il suo «severo apprendistato» da giornalista, eccolo alluvionare il giornale con undici servizi da New York sulla visita del primo ministro inglese Lloyd George nell'ottobre del '23: 6200 parole in due giorni. «Sul wcunpo di golf con Lloyd George», «Lloyd George il sopravvissuto». Sono due dei pezzi più efficaci. Ma non vennero mai pubblicati. Mentre cercava il ritmo e gli aggettivi, Hemingway aveva perduto la notizia che fece titolo su tutti gli altri giornali: accogliendo l'illustre ospite, il sindaco facente-funzioni aveva pronunciato un saluto insultante. Tanto che il New York Herald ci aprì la prima pagina. Allora, per punizione, Bone smise di pubblicare i servizi del suo inviato speciale. Mancavano tre mesi alla fine della carriera di giornalista regolare di Hemingway. Ma il futuro scrittore proseguiva imperterrito nella sua ricerca formale. «Era così buio che la guardia non poteva vedere la testa del suo cavallo. Un urlo e poi il silenzio. I quattro uomini avevano i fucili pronti». Paolo Passeri ni Ernest Hemingway: lo scrittore americano, morto suicida nel '61, amava ricordare il suo «severo apprendistato» da giornalista
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