Addio ai Caffè delle Spie

Addio ai Caffè delle Spie Finita la Guerra Fredda, che ne sarà dei mitici ritrovi di Vienna, Budapest e Praga? Addio ai Caffè delle Spie moni, della SCRITTORI e spie sono terribilmente uguali, som steneva Graham Greene: Il nei caffè trovano ispira^ZJzione, si scambiano opiinformazioni. Nei ritrovi Mitteleuropa dove sono nati capolavori passavano anche fiumi di informazioni top secret. Che sarà, ora, di quei simboli della nostalgia asburgica trasformati in reperti archeologici della Guerra Fredda? A Vienna, ogni mercoledì, dalla stazione Friedensbrucke, parte il «Terzo uomo-tour». Per 90 minuti, un distinto signore guida i turisti nella città occupata e divisa in quattro fotografata da Graham Greene. Tappa al Café Museum, a cui si ispirò lo scrittore inglese per ambientare molte scene del suo racconto-sceneggiatura. Quel locale fu anche la base operativa di una spia autentica, Michael Haitiana, funzionario dell'agenzia per l'Energia Atomica dell'Orni. Al Café Museum raccoglieva «soffiate» da diplomatici del Terzo Mondo e concordava la consegna di documenti scottanti. Stabiliti i tempi, spediva la moglie con il figlio in carrozzina alla Karlskirche, una tenebrosa chiesa barocca dove avveniva lo scambio di materiali, infilati sotto il sedere del bambino. Haitiane! fu spia e scrittore di thriller, stesso curriculum , di Graham Greene, John Le Carré e Ted Allbeury, per qualche tempo al servizio dell'Intelligence britannico. Al Café Mozart e all'hotel Sacher l'autore del Terzo uomo trovò l'ispirazione per il suo soggetto cinematografico. All'hotel Sacher, quello della famosa Torte, la realtà è andata oltre la fantasia. Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre del 1990 il suo proprietario, Peter Guertler, forse il personaggio più corteggiato dai salotti viennesi, si uccise. Fu un colpo di scena, si era chiacchierato di presunte implicazioni in traffici d'armi. Altro particolare: in seconde nozze aveva sposato l'ex ambasciatrice americana in Austria, Helene von Damm. Un anno prima di togliersi la vita si era candidato alla presidenza della Repubblica. Si suicidò nel suo casino di caccia, come un altro erede al «trono» austriaco: Rodolfo d'Asburgo. Tutti i principali caffè, a Vienna, furono frequentati da spie e scrittori più o meno famosi. Secondo la leggenda, fu Georg Franz Kolschitzky, una sorta di agente segreto, a fondare il primo Kajfeehaus nella capitale degli Asburgo: nel 1683, travestito da musulmano, riuscì a infiltrarsi tra le armate turche che assediavano la città, svolgendo un ruolo determinante nella loro sconfitta. In uno dei locali più degni eredi della tradizione, il Central, si trasferirono Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal e Karl Kraus dopo la demolizione del Café Griensteidl. Lì, al Central, Lev Davydovic Trockij concepì in parte la sua rivoluzione. Ci passò anche Ciu En-lai, campione di biliardo in una sala della Krugerstrasse. Scrittori e intellettuali a parte, nei caffè viennesi gli austriaci facevano soltanto da sfondo: si spiavano tra loro russi, americani e inglesi. A Budapest e a Praga, invece, occhi indiscreti scrutavano per incastrare ungheresi e cecoslovacchi. In un «pezzo» di storia della seconda capitale asburgica, il Café New York, si consumò il dramma di George Faludy. Il grande poeta ungherese frequentava i tavolini del New York quando, appena dopo la guerra, gli commissionarono un poema sul «più grande statista mai esistito»: Josif Vissarionovic Dzugasvili, detto Stalin. Ci provò, ma trovare una musa disposta a ispirare un canto dedicato al dittatore gli parve impossibile. Commise l'errore di manifestare i suoi dubbi tra quei marmi verdi. Nel giugno del '50 venne arrestato con l'accusa di essere il «leader dei trockisti ungheresi: un clerical-fascista». Liberato nel '53, tornò sul «luogo del delitto», il Café New York, Quando gli parve di intravedere la figura dell'uomo che lo aveva denunciato, prese la rincorsa e gli assestò un calcio: non seppe mai se quella sbrigativa vendetta avesse colpito l'uomo giusto. Quel che resta del Café New York è meta di turisti tedeschi, interessati più alla musica tzigana che ai numerosi ritratti di scrittori appesi alle pareti. Oggi, al New York non si incontra più la bionda e sensuale Ildiko, venere e prostituta raccontata dal- lo scrittore di thriller Stephen Barlay. Ildiko si muoveva tra i tavoli di marmo verdi con un libro sotto il braccio. Non lo lasciava mai, se ne separava solo dopo una notte d'amore. Lasciava sul comodino il volume, si rivestiva, si avvicinava alla libreria e ne sfilava un altro. Ne sono passati di personaggi inquietanti per i caffè di Budapest. Come Carlos, la primula rossa del terrorismo internazionale, spesso ospite dei servizi segreti dell'Est all'Intercontinental. Ma a differenza di Vienna, dove i punti di ritrovo sono sempre stati piccoli musei coccolati, nella capitale ungherese, i comunisti hanno fatto sparire molti caffè. I nuovi padroni forse non hanno mai dimenticato che la rivoluzione del 1848 è partita proprio da un Kaffeehaus, il Pilvax. Nella loro lingua, «fare mercato nero» e «sorseggiare una tazza di caffè» si può esprimere con la stessa parola: «taka- tazny». Così, il Café New York era stato diviso in due negozi statali, il Café Japan è diventato una libreria, il Café Belvarosi è un ufficio dove si progettano «fabbriche senza finestre», il Café Kiraly, amato dai sultani turchi, è semplicemente sparito dalla mappa della città. Per censirli tutti, prima della «purga», Béla Bevilacqua-Borsody dovette compilare ben tre volumi. Più a Nord, a Praga, l'aria che si respirava nei caffè della Guerra Fredda non era meno pesante. Il Café Europa è stato, per tutti gli Anni Cinquanta e Sessanta, uno dei punti nevralgici del traffico d'armi internazionale. In un'ambientazione Art Nouveau, capitava di trovare seduti allo stesso tavolo la Pasionaria o l'assassino di Trockij. In quei decenni, i locali di Praga erano «covi di serpenti». Nicholas Shakespeare, scrittore e giornalista del Telegraph Magatine, ha rintracciato una delle spie allora più at¬ tive, Josef Vytrhlik, per 14 anni al servizio della polizia segreta cecoslovacca. Suo compito era quello di scandagliare nei minimi particolari la vita dei diplomatici occidentali: seminava i caffé di belle ragazze e di microfoni. «Negli Anni Cinquanta non c'era una sola "bionda" che non fosse al nostro servizio: avevano in dotazione un appartamento. Cominciavano a frequentare le loro vittime nei locali; dopo due o tre mesi le portavano in camera dove, da pareti a specchio, scattavamo fotografie». Solo molto più tardi è fiorita la fama di locali come l'Obecni Dum o lo Slavia, luogo di appuntamento per intellettuali dissidenti come Ludvik Vaculik o l'attuale presidente Vaclav Havel. Per un caffè c'è anche chi è diventato spia. Johnny Walker, sottufficiale della Us Navy, si vendette i segreti della Marina americana per pagare le cambiali sottoscritte dopo aver tentato di avviare, sulla costa del Pacifico, il Bamboo Snack Bar. Divenne uno dei più quotati informatori del Kgb, cominciò a viaggiare: da improvvisato Humphrey Bogart a Casablanca, alla Vienna di Graham Greene. I suoi rapporti con i russi rischiarono di incrinarsi, proprio nella capitale austriaca, per banali questioni di trasferte. Lo alloggiarono in una pensioncina di quart'ordine ma lui, che si sentiva uno 007 da mito, mandò a dire a Mosca che il fatto non avrebbe più dovuto ripetersi. Lui era uno, ormai, da alberghi per agenti segreti. Era uno da Sacher, appunto. Pier Luigi Vercesi Covo di scrittori e 007. Al Sacher si ispirò Greene per «Il terzo uomo» |§i' Una sala dell'«Obecnl Dum» di Praga e in basso l'entrata del «Sacher Café» di Vienna. A fianco Graham Greene e Jean-Paul Sartre