Sarajevo ostaggio dei serbi
Sarajevo ostaggio dei serbi Dopo il sì all'indipendenza della Bosnia gli ultra isolano la capitale: assalto alla tv, si tratta nella notte Sarajevo ostaggio dei serbi Un giorno sulle barricate: voci di 12 morti SARAJEVO NOSTRO SERVIZIO La miccia della polveriera bosniaca è esplosa a Sarajevo. Tre morti e nove feriti - ma altre fonti parlano di 12 morti - sono le prime vittime dell'assedio che dura dalla mezzanotte di domenica da quando sono bloccate tutte le vie di accesso alla città. E' interrotto il traffico aereo, ferroviario e stradale. Da Sarajevo non si può uscire né entrare. Il voto sull'indipendenza s'è appena concluso (65% di sì), e la capitale della Bosnia Erzegovina e i suoi 600 mila abitanti sono isolati da decine di barricate. Le hanno erette gruppi di civili serbi armati che ieri sera hanno aperto il fuoco su alcune migliaia di manifestanti che si erano recati verso le barricate gridando «Vogliamo la pace, questa è la Bosnia». Autobus e filovie messe per traverso chiudono i ponti e le principali arterie di comunicazione. Le strade sono rimaste deserte tutto il giorno, i negozi chiusi, le scuole e le università vuote. Il regolare rifornimento di pane e latte, giornali è praticamente sospeso. Decine di migliaia di persone non hanno potuto raggiungere i posti di lavoro. Anche i giornalisti della televisione e dei quotidiani sono rimasti fuori dalle loro redazioni. «Siamo ostaggi nelle loro mani. Ma tutti quelli che vogliono andarsene devono avere la possibilità di farlo». Il portavoce degli osservatori della Cee, il portoghese Joao da Silva appare sconvolto. Dopo un giorno di trattative con le autorità bosniache, l'esercito federale, ma soprattutto con i rappresentanti dei serbi, gli osservatori stranieri che hanno controllato il referendum riescono finalmente a . partire con due autobus scortati dalle forze di polizia. La notte è già calata quando il convoglio parte in direzione di Belgrado. Fuori si spara con più intensità. Le raffiche sono oramai continue. A far scoppiare la situazione è stato l'omicidio di Nikola Gardo- vic, l'uomo di nazionalità serba ucciso domenica pomeriggio all'entrata della chiesa ortodossa della Bascarsija, il vecchio quartiere musulmano della città. Gardovic, padre dello sposo, era nel corteo di nozze sul quale hanno sparato tre giovani identificati poche ore dopo dalla polizia bosniaca che ha reso noti i loro nomi. I tre, più volte incarcerati per furti, droga e crimini vari, non sono ancora stati arrestati. A poche centinaia di metri dal Parlamento bosniaco, sul ponte di Vrbanja è sorta la prima barricata dei serbi. «Ci siamo organizzati spontaneamente per reagire al vile assassinio del nostro connazionale». E' quanto sostiene domenica notte uno degli uomini armati di mitragliatrice che pattugliano il ponte. Ma subito dopo annuncia che i serbi hanno bloccato tutta la città. Visibilmente nervosi, i serbi sulle barricate parlano malvolentieri. Al minimo sospetto puntano i fucili, sparano in aria per intimidire chiunque osi avvicinarsi. In mattinata da Belgrado, dove è andato per la riunione della dimezzata presidenza federale, il leader del partito democatico serbo della Bosnia Erzegovina, Radovan Karadzic, lancia un durissimo messaggio: «L'omicidio politico di domenica, che è un vero colpo al cuore del popolo serbo, ci ha fatto capire come sarebbe la nostra vita nella cosiddetta Bosnia indipendente. Noi non accettiamo nessuna Bosnia indipendente. Faremo di tutto per calmare i serbi che il presidente Izetbegovic ha reso matti, ma credo che sarà molto difficile impedire la guerra civile». Subito dopo il partito dei serbi manda un ultimatum alla presidenza della Bosnia. Nei sei punti chiedono che venga cessata ogni attività riguardo all'indipendenza e al riconoscimento internazionale, la ripresa della conferenza sulla Bosnia, il controllo dei media da parte di un comitato paritetico, la destituzione dei capi della polizia e l'arresto dei colpevoli dell'omicidio. Chiedono inoltre assoluta sicurezza per tutti quelli che sono sulle barricate. La presidenza della Bosnia risponde con un comunicato in cui condanna il tragico incidente di domenica e spiega che il referendum non pregiudica la futura riorganizzazione all'interno della Repubblica. Invita tutti gli autori delle barricate a rientrare in casa. In serata raggiunge un accordo con il partito dei serbi, che invita i ribelli delle barricate a tornare a casa. Ma la situazione non cambia. E' oramai chiaro che le barricate fanno parte di uno scenario dettagliatamente preparato e che l'omicidio domenicale è stato un semplice pretesto. Gli uomini sulle barricate, collegati via radio, vengono riforniti di nuove armi, fucili automatici Zoi. Lo stesso accade in altre città bosniache bloccate dai miliziani serbi: Doboj, Bosanski Brod, Gorazde sono assediate. E' interrotto il traffico ferroviario e stradale con la Croazia. A Banjaluka i serbi si sono impossessati della tv. Il capo serbo, Karadzic, ammonisce. «E' da un anno che lanciamo avvertimenti, che diciamo che il popolo serbo non accetterà mai la formazione di uno Stato islamico. Mi chiedo come mai Izetbegovic abbia potuto credere che i serbi, che sono le prime vittime del fondamentalismo musulmano, avrebbero accettato una qualsiasi dominazione. Uno Stato che ci verrebbe imposto in questo modo sarebbe peggiore del Libano. Se loro continuano a ignorare la volontà dei serbi, noi cominceremo a funzionare come uno Stato a tutti gli effetti come la Repubblica serba della Bosnia Erzegovina. Abbiamo il controllo del 50 per cento del territorio, abbiamo la nostra Costituzione e continueremo a funzionare nella Federazione jugoslava». Da Belgrado intanto la presidenza federale in cui oramai siedono soltanto i rappresentanti serbi e montenegrini, accusa la Cee di aver commesso un grave errore invitando la Bosnia al referendum sull'indipendenza. Ingrid Badurina Posto di blocco serbo su una delle strade che portano a Sarajevo [FOTOAP]
Persone citate: Brod, Ingrid Badurina, Izetbegovic, Joao, Karadzic, Nikola Gardo, Radovan Karadzic
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