Venturi, passioni e scontri di Angelo DragoneLionello Venturi

Venturi, passioni e scontri Verona con 130 quadri racconta le battaglie del critico Venturi, passioni e scontri Ci rivelò l'impressionismo VERONA DAL NOSTRO INVIATO Sono generalmente gli storici e i critici a lumeggiare nei loro scritti o con mostre l'attività degli artisti. Nell'esposizione Da Cézanne all'Arte astratta ordinata da Giorgio Cortenova e Roberto Lambarelli alla Galleria d'Arte moderna di Verona, in Palazzo Forti (dove rimarrà aperta fino al 10 maggio, per trasferirsi poi a Roma) avviene; il contrario. Centotrenta sono le opere esposte, quarantadue gli autori, tra i più noti, compresi Modigliani, Severini e Arturo Martini, per spaziare ancora da Casorati ad Afro e Birolli sino a Santomaso e Vedova, e alla generazione di Dorazio e Fenili, ma la rassegna vuol essere un «omaggio a Lionello Venturi». Storico e critico d'arte, il cui precocissimo impegno, durato oltre mezzo secolo, potè confrontarsi con l'antico e il moderno, Lionello Venturi (1895-1961) si sentì in prima linea, dalla cattedra universitaria - a Torino tra il 1915 e il '31, poi a Roma, nell'ultimo dopoguerra - come nella trincea d'un giornale: per una tradizione del nuovo contro le «ampie sacche d'incultura e di pregiudizi». Fu un'autentica battaglia combattuta in favore della Storia e della liberta, per la Cultura. Per non piegarsi al fascismo, alla cattedra preferì l'esilio a Parigi e negli Stati Uniti, dove continuò a pubblicar libri: Cézanne (1936), Gli archivi degli Impressionisti (1939), Rouault (1940), il divulgativo Come si guarda un quadro, da Giotto a Chagall (1945). A riecheggiarne il magistero, nelle aule come nelle soprintendenze, eran rimasti i migliori suoi allievi torinesi, da Argan e dalla Brizio a Giusta Nicco. Troppo pochi, forse, per aver ragione di ambienti fortemente retrivi se a Torino si faceva ancor sentire l'indottrinamento d'un Thovez che, direttore della Galleria d'Arte moderna dal 1913 al '21, nelle sue collaborazioni giornalistiche, accusava di «degenerazione artistica» l'opera di Degas, Renoir, Manet, e definiva «terroristi della pittura» Cézanne, Gauguin e Van Gogh. Così che, rientrato in patria nel '45, Venturi non esitò a riprendere insieme l'insegnamento alla Sapienza (Roma) e la polemica giornalistica, col memorabile Spalanchiamo le finestre uscito su La Stampa. E' probabilmente questa la chiave in cui va letta la mostra veronese: più consona alle due Gallerie che la ospitano e, d'altra parte, rispettosa del più autentico interesse manifestato dal Venturi per la cultura del suo tempo, sino a fare di una ricerca la testimonianza civile e morale che ha dato significato all'intera sua vita d'uomo e di studioso. L'iniziativa veronese si direbbe rifletta d'altra parte (dopo un'analoga impresa, nell'autunno scorso, a Pavullo nel Frignano) una ormai sentita esigenza, manifestatasi anche nell'ambito della Scuola Normale di Pisa che con l'Istituto per i Beni culturali della Regione Emilia-Romagna, fin dal 1989 ha avviato uno studio sulla personalità di Adolfo Venturi (padre di Lionello, oltreché della moderna storia dell'arte). Mentre l'Ali emandi ripubblicava le Memorie autobiografiche di Adolfo (un vero e proprio diario di lavoro), Mimita Lamberti avviava l'esame dell'inedito carteggio (in deposito alla Normale di Pisa) tra padre e figlio: un epistolario durato un trentennio, fino alla morte di Adolfo (1941), e in gran parte dedicato alle rispettive esperienze storico-artistiche, così da dare al loro dialogo, nota Giacomo Agosti nel catalogo veronese, «una dimensione culturale, prima che familiare»: con precisi riscontri nelle esperienze di altri studiosi formatisi con Adolfo, all'Università di Roma o alla mitica «scuola di perfezionamento» da lui fondata a cavallo del secolo: dalla quale, per oltre trent'anni, sotto la guida sua e di Pietro Toesca uscì ricordava Lionello nel '45 - «la grande maggioranza di coloro che hanno insegnato o insegnano nelle Università d'Italia o ne dirigono le gallerie». Una trafila cui non s'erano sottratti neppure i due Venturi: Adolfo a Modena, Lionello in soprintendenza alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, poi alla Borghese di Roma e a Urbino, quasi che la formazione stessa del docente universitario non potesse far senza quell'apprendistato. Nel suo itinerario la mostra affida piuttosto ad alcuni testi in catalogo (Mazzetta) la memoria di interi squarci di splendida sensibilità critica, ricordando quanto è stato dato da Lionello Venturi all'arte antica, nel passare da Giorgione a Caravaggio (fin dal 1910) e a Giotto. Basti qui accennare alla documentata rivendicazione, dovuta aTMaurizió Calvesi, d'un Venturi tempestivamente impegnato in acuti studi caravaggeschi arricchiti intanto dagli scritti di Roberto Longhi. Ma da Cézanne in qua, il visitatore potrà ripercorrere attraverso le opere in mostra buona parte delle vicende artistiche del nostro secolo, scoprendo insieme la parte avuta dal Venturi nella moderna storiografia. Era già in cattedra a Torino quando sul filo di alcune mostre o neU'indirizzare l'avvocato Riccardo Gualino nei suoi acquisti di collezionista, s'incontra con l'opera di Lega e Fattori. Venne di lì a poco la breve, ma anticipatrice, stagione dei Sei pittori di Torino (Boswell, Chessa, Galante, Carlo Levi, Menzio, Paulucci) ch'egli pose nella prospettiva di un'arte europea da ricondursi all'impressionismo e postimpressionismo francese. Un'impresa cui, nel dopoguerra, ha fatto riscontro l'affermarsi del gruppo degli Otto (sorto dalla disgregazione del «Fronte nuovo delle Arti») ormai nell'ambito dell'astrattismo e dell'astrattoconcreto. Angelo Dragone Dall'Università alla polemica: «Spalanchiamo lefinestre» mi Tra le opere esposte a Verona: «Le cabanon de Jourdain» (1906) di Cézanne e «Signora dal bavaretto», olio su tela di Modigliani (1917). Sotto: Lionello Venturi