Battuti gli hooligans, Liverpool insegue la sua leggenda

Battuti gli hooligans, Liverpool insegue la sua leggenda CALCIO: OGGI CAMPIONATO E MERCOLEDÌ' TORNANO LE COPPE W, Una città in crisi crede ancora nei rossi che, per la prima volta dalla tragedia dell'Heysel, affrontano un'italiana, il Genoa Battuti gli hooligans, Liverpool insegue la sua leggenda L'allenatore Souness impreca alla sfortuna: ho fatto l'amore con una strega LIVERPOOL DAL NOSTRO INVIATO In principio era il porto. Poi vennero i Beatles. E dopo i divini «scarafaggi», i millepiedi del Liverpool. Figlio dei tempi, il linguaggio del popolo è mutato con essi. Le sirene delle navi, la musica, il calcio. Quando una città prende l'articolo, vuol dire che non tutto funziona: «il» Liverpool sì, ma il resto? Il pallone come fuga dalla realtà: succede, e come. Mercoledì tornano le coppe europee e i rossi, per la prima volta dalla tragica sera dell'Heysel, affrontano una squadra italiana, il Genoa, la più british di tutte. Nato da una costola dell'Everton, l'altro club cittadino, il Liverpool compirà 100 anni il 15 marzo. Ma non è momento di brindisi, questo. Disoccupazione e recessione, e poi rimpianti, rimorsi, disastri, infortuni. Lungo l'estuario della Mersey, i docks ri¬ puliti e sgargianti mascherano il grigio di una città decadente. Anche il Liverpool non è più la macchina capace di mettere insieme 18 «scudetti», sei dei quali dal 1981 al 1990, 4 coppe d'Inghilterra, 4 coppe di Lega, 4 coppe dei Campioni, 2 coppe Uefa, 1 Supercoppa d'Europa. Graeme Souness, il classico allenatore per cui, e non con cui, si lavora, è costretto a volare basso. Altri tempi, quando Bill Shankly, l'architetto dell'epopea, scherniva così i cugini dell'Everton: «Qui da noi esistono due grandi squadre, il Liverpool e le riserve del Liverpool». Non sono i soldi che mancano. Sono i fuoriclasse. Souness, ex Sampdoria, naso e baffi da duro, estrae dal suo slang ima diagnosi pittoresca: «Ho fatto all'amore con una strega». Come spiegare, altrimenti, le tre operazioni di Whelan, le tre di Ian Rush, una stagione, sbagliata, alla Juventus, e quella che ha bloccato John Barnes, l'artista del gruppo, il giocatore più pagato del Regno Unito, 10 mila sterline alla settimana? Nonché gli incidenti che, via via, hanno messo fuori combattimento Nicol, Tanner (frattura al coccige), Moelby e, buon ultimo, Houghton? Ma anche così malridotto, e virtualmente eliminato dalla corsa al titolo, il Liverpool è sempre il Liverpool. Una leggenda ambulante, con le sue lapidi ce n'è ima che, proprio all'ingresso dello stadio, ricorda i 95 tifosi morti a Sheffield -, con il suo spirito che contagia anche segretarie e fattorini, con il suo stadio che funge, nello stesso tempo, da plaza de toros e museo. Si chiama Anfield Road, dalla via che lo ospita. E' nascosto da camini sporchi e tetti sudici, vegliato notte e giorno da irriducibili peones, una birra in mano, la febbre nel cuore. «Non camminerete mai soli», c'è scritto sulla porta in ferro, dedicato ai giocatori: you'll never walk alone. E dentro la pancia della balena, sul muretto che sovrasta l'ingresso in campo delle squadre, ecco un altro stemma: this is Anfield, questo è Anfield. Sembra l'effigie del santo protettore: «quelli» del Liverpool lo toccano sempre, prima di darsi in pasto alla folla. La notte del 18 marzo, anche il Genoa verrà iniziato a questo rito: Dio sa quanto scatenante. Ad Anfield, dal 1964 a oggi, hanno vinto soltanto Ferencvaros, Leeds e Stella Rossa. Quando si scrive di Liverpool e del Liverpool, il rischio della retorica è forte. A corto di successi, la società si consola con la vittoria sull'hooliganismo, frutto di una tenace battaglia e di una strategia capillare. Presto, Anfield sarà tutto numerato. Il plastico delle nuove tribune sembra un cofanetto di caramelle e spicca all'entrata della sede. Di vergine, così, non rimarrà che il famigerato Kop, la fatiscente curva riservata agli ultras, un intrico di transenne in ferro e gradoni scalcinati: l'ultima, lugubre, «sentinella» deputata a vigilare sulla continuità della tradizione. Non è più il Liverpool mangia fuoco di Keegan. E' il Liverpool operaio di Wright e McManaman. Le dimissioni da stress di Kenny Dalglish hanno riportato in pista Souness, l'uomo che, da liverpooliano, una sera spaccò la mascella a un romeno della Dinamo Bucarest, tale Movila. La rosa pullula di stranieri: Grobbelaar (Zimbabwe), Moelby (Danimarca), Hysen (Svezia), Rosenthal (Israele), Nicol (Scozia), Houghton e Whelan (Eire), Kozma (Ungheria), Rush e Saunders (Galles). Ma nelle coppe può impiegarne solo quattro. Whelan e Rush sono ko, Kozma non «eleggibile». Bruce Grobbelaar è il filo di pazzia che salda l'oggi al sempre: portiere, clown, ma anche, in gioventù, fior di cecchino nelle foreste dell'ex Rhodesia. Ray Kennedy, faccia pulita di un passato radioso, la corda che lega il Liverpool all'albero dei malefici: vive a Newcastle, e ha il morbo di Parkinson. Non l'hanno dimenticato. Perché questa è la legge: non sarete mai soli. A Newcastle, a Marassi, dovunque. Roberto Bec cantini Il Liverpool, che compirà 100 anni il 15 marzo, è allenato da Graeme Souness: l'ex giocatore della Samp dovrà rinunciare contro il Genoa a molti dei suoi stranieri