I LORD DELLA LETTURA

I LORD DELLA LETTURA I LORD DELLA LETTURA Compie 90 anni il supplemento letterario del «Times» UN mega Nonagenary Quiz ha solennizzato nel numero 4633, lo scorso gennaio, il novantesimo compleanno di uno dei più prestigiosi supplementi letterari di un quotidiano, antenato glorioso anche di Tuttolibri: il Times Literary Supplemènt. Il quiz consiste in novanta frasi estratte da altrettanti articoli pubblicati sul settimanale; i lettori sono invitati a individuare di ognuna l'anno in cui apparve. Il premio per il certosino vincitore consiste in sei bottiglie di «Krug champagne, generously donated by the Brothers Krug» (si sa che i premi letterari inglesi sono spesso assai modesti). Le frasi appartengono al tipo: «L'introduzione di Mr Bertrand Russell è interessante dal suo punto di vista, ma manca di dare qualsiasi indicazione della folgorante originalità dell'idea di Mr Wittgenstein...»; o: «Ci vuole certamente un certo coraggio a intitolare un romanzo Manzi al lavoro». Quella del Tls è una storia di tante cose: della costituzione di uno stile, di un prestigio e di un servizio senza rivali; con i suoi picchi e le sue défaillances, la sua sanità e le sue stravaganze. Stravagante è già la nascita: partorito dal Times il 17 gennaio del 1902 perché le recensioni dei libri avrebbero ingombrato lo spazio necessario alla politica, in vista della nuova sessione del Parlamento; quando il Parlamento andò in vacanza, il supplemento continuò perché, come vuole la leggenda che sempre circonfonde un giornale inglese, l'amministrazione se n'era dimenticata: nato da un ripiego, visse d'una distrazione. Dodici anni dopo la prima ospitalità nel marsupio del grande quotidiano, il Tls diveniva un settimanale indipendente, venduto a parte e non più allegato. Lo dirigeva pressoché dall'inizio Bruce Richmond, che continuò nell'incarico per trentacinque anni, maneggiando collaboratori del calibro di Edith Warton, Max Beerbohm, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, John Middleton Murry, E. M. Forster, Walter de la Mare, Sir J. G. Frazer. La macchia forse più grave di quel trentacinquennio fu un pezzo approfondito su Mussolini scrittore in cui fra l'altro si leggeva: «Nel suo Diario di guerra egli ottiene un'austerità d'espressione in frasi sintetiche che ricorda Giulio Cesare; frasi fors'anche non formulate in modo perfetto, ma indubbiamente con una spina dorsale... L'effetto per il lettore inglese non è affatto aissimilè'da^quello che spesso proviene dalla poesia di Thomas Hardy». Altre direzioni memorabili saranno quella di Stanley Morison che, immediatamente dopo la guerra, potè vantarsi di aver risollevato le sorti del giornale «rendendolo nuovamente difficile da leggere»; e quella successiva di Alan Pryce-Jones, un frutto tipico delle grandi scuole del Regno Unito, compagno, basta dire, di Evelyn Waugh, Cyril Connolly, Harold Acton. Pryce-Jones non era praticamente mai in ufficio. Girava il mondo in cerca di nuove idee, nuovi libri, nuovi collaboratori; riceveva nel suo club, non per nulla il Travellers. Ma fu sotto Arthur Crook, nel '72, che si verificò quella che viene tuttora considerata la rivoluzione più profonda e più sofferta del novantennio del Times Literary Supplementi la fine dell'anonimato e l'avvento dèHà'firhìià degli aùtori'in calce alle recensioni, Si toglieva quel che di compassato e di soporifero prodotto dall'anonimato, ma anche il senso di sicurezza e di consuetudine che esso dava al lettore: un anonimo non può mai essere ambizioso né spericolato. Senza dire che, immersi in quel limbo paritario, ci si poteva anche permettere di leggere e recensire più distrattamente i libri. Non meno appassionate - e appassionanti - dovettero essere le discussioni intorno all'abolizione dei necrologi, quella, mai definitiva, dei cru¬ civerba letterari, difficilissimi, e di una rubrica dal titolo «Notati anche», fossa comune in cui venivano ammassate brevi schede e menzioni di libri giudicati altrimenti immeritevoli di spazio: ma, così, salvati o umiliati? Rileggendo queste storie ci si rende conto di come in realtà sia umbratile e mobile anche il più tradizionale dei giornali; mobile non soltanto nelle piccole variazioni o aggiustamenti della veste tipografica, spesso significativi anche del costume, ma nello sviluppo e nel taglio dei testi e delle tematiche, dentro la sua cadenza. E' sembrata cosa da nulla la recente comparsa di una recensione sull'ultima pagina del Tls, votata fino ad ora agli annunci e agli indici; eppure viene considerata, e a ben pensarci è una sorpresa settimanale, spesso un colpo di coda. Impressiona il pensare che il famoso saggio di T. S. Eliot sul dramma elisabettiano comparve la prima volta su questo settimanale; e che nei suoi archivi si trova un biglietto con cui il collaboratore Henry James accompagna la restituzione delle bozze di un articolo ove il direttore Sir Bruce Richmond aveva tolto una frase e mezzo, con le parole: «Il suo è un mestiere da macellaio»; o leggere nei diari di Virginia Woolf, per lunedì 19 dicembre 1921, le trattative col medesimo Richmond, «il quale coccola il suo giornale come un figlio unico», intorno all'aggettivo «laido» applicato dalla scrittrice proprio a un racconto del «caro vecchio James». Ciò che non muta e non manca mai sono l'attenzione e lo spirito dei lettori del Tls. Nello stesso numero nonagenario la rubrica delle «Letters to the Editor» ne ospita una in cui l'indignato signor Malcolm Page, nel corso di una polemica sull'opportunità o no che le biblioteche pubbliche si liberino dei libri assolutamente superflui, racconta come una biblioteca universitaria canadese si vanti di aver inviato in Cina una gran quantità di libri dei propri depositi, fra essi una Storia del cricket a Eton e Harrow sino al 1932; mentre il signor Augusto Ancarani della Commissione delle Comunità europee scrive da Bruxelles facendo notare che in un articolo del 6 dicembre ci si chiedeva se il telefono, utilizzato sin dagli inizi per trasmissioni nelle case di funzioni religiose, fosse mai stato usato per confessioni: ebbene, rileva l'Ancarani, nel Clochemerle di Chevalier si racconta di due preti che usano per confessarsi e assolversi a vicenda nemmeno il telefono, ma il telegrafo. Carlo Carena E' nato per non togliere spazi alla politica con le recensioni dei libri, ed è diventato un'istituzione: ci hanno collaborato da Warton a Beerbohm, dalla Woolf a Forster

Luoghi citati: Bruxelles, Cina, Regno Unito