I MASS MEDIA RIFANNO LA STORIA? di Alberto Papuzzi

I MASS MEDIA RIFANNO LA STORIA? I MASS MEDIA RIFANNO LA STORIA? GLI storici e JFK. Dice Pietro Melograni, che insegna all'Università di Perugia: «JFK mi ha impressionato. Ho capito quale impatto un film può esercitare sulla rappresentazione, la ricostruzione di un fatto storico: molto più forte di quello che può provocare un saggio storiografico». Dice Gian Giacomo Migone, americanista dell'Università di Torino: «A JFK ho dedicato una in^ tera lezione. E' un film in cui la storia è manipolata, ma come hanno detto anche gli studenti è così bello che le sue tesi, se non si è preparati, risultano assolutamente convincenti». JFK è la punta di un iceberg. E' la spia di una questione enorme: quella dei rapporti tra storiografia e mass media. Rapporti sempre più stretti: i giornali, la televisione, il cinema triturano ricostruzioni storiche, la storia entra nel dibattito politico, soprattutto quella contemporanea, ma anche l'Illuminismo o la Restaurazione, gli storici scrivono sui giornali, gli storici appaiono in televisione. Ma che cosa producono questo abbraccio, questa commistione? Nascono problemi pratici, di comunicabilità, di linguaggi, di strumenti; ma si affacciano anche interrogativi pesanti: che cos'è «storia» oggi nella percezione di iin italiano medio? Dice Salvatore Veca, filosofo della politica: «Se domandiamo che cosa è veramente accaduto a un giovane che è rimasto incollato davanti al video a vedere i servizi sulla guerra del Golfo o le bare dei soldati dell'Armir, che cosa ci risponderà?» Secondo Furio Diaz, che insegna alla Normale di Pisa, la storia è una sola: «Noi continuiamo a pensare che si debba fare la storia come deve essere fatta, con il metodo scientifico. Non passa certo né per i giornali né per la televisione». Ma l'idea della Resistenza che si forma oggi l'italiano medio corrisponde a quella ricostruita, studiata, documentata, analizzata, con straordinaria chiarezza, da Claudio Pavone nella sua opera Una guerra ci vile (Bollati Boringhieri) frutto di vent'anni di ricerche, con dotte senza colpi-di scena, o sarà quella del «triangolo ros so»? E quanto peserà sull'im magine storica di Palmiro Togliatti la sua lettera sui soldati italiani prigionieri dei sovietici, diffusa ai giornali con eccesso di zelo e con grossolane altera zioni da Franco Andreucci, che non è un giornalista o un regi sta, ma uno storico di profes sione? Su US News & World Report, settimanale americano di tendenza conservatrice, è apparso un commento che stronca JFK «Oliver Stone's paranoid propaganda», dice il titolo - e che si chiude con la seguente pessimistica affermazione: «E' ormai possibile che la propaganda visiva diventi il documento storico di base di persone la cui for- mazione culturale sta passando dalla parola stampata all'immagine visiva». Secondo US News è in agguato il rischio, di orwelliana memoria, che i mass media riscrìvano la storia a uso e consumo del potere. Sulla sua ultima «Bustina di Minerva» Umberto Eco [L'Espresso del 1° marzo) finge di essere vecchio, di avere le idee confuse e di andare a rileggersi fra dieci anni i giornali di oggi. Il titolo dice già tutto: «Ma che cosa ci faceva Tyson con Togliatti?». La storia contemporanea attraverso i giornali diventa un'insalatona russa che mescola il reale e l'effimero: «Mi pare che dietro a tutto ci fosse Gadda, in soggiorno obbligato a Recalmuto, dove aveva avuto un flirt giovanile con Pavese, sospetto di simpatie repubblichine dopo che era passato alle "Cosmicomiche", ma non erano andati al di là di un castissimo bacio. Ma allora perché hanno ucciso Bisaglia nella casa del fratello prete?». Non è la prima volta che si mettono in discussione il rap¬ porto che lega storiografia e mass media e gli effetti della cultura visiva o elettronica sulla percezione della storia. Marshall McLuhan aveva argomentato, nei suoi saggi, che la cultura della stampa incoraggiava rigorose analisi mentre la cultura dell'immagine elettronica, che ritribalizza la parola, tende a ridurre il senso critico. Di tutt'altro avviso Jacques Le Goff che nella sua Intervista sulla storia (Laterza 1982) stigmatizzava «la paura e il disprezzo dello storico vecchio stampo nei confronti dei nuovi mezzi del comunicare e in particolare dei mass media». Ma queste erano prese di posizione teoriche: la sfida (o la minaccia) della storiografia giornalistica, televisiva, cinematografica allora si affacciava appena all'orizzonte. Che cosa accade, invece, oggi? «Il problema che stanno discutendo i miei amici filosofi che si trovano in America o in Inghilterra», dice Veca, «è la cosiddetta videocrazia, cioè il ruolo e la responsabilità delle emittenti televisive e dei mass media in un mondo in cui valori, stili di vita e anche il senso della storia sono affidati soprattutto al video, non più come un tempo alla famiglia, alla parrocchia o alla scuola. La teoria della democrazia si basa su un cittadino illuminato e informato, quindi c'è un problema di responsabilità anche per il potere televisivo come per tutti i poteri. Il vecchio Locke diceva che i valori e la storia si trasmettono in quel grande condotto che è l'alfabeto. Ma oggi? Che cosa ha sostituito l'alfabeto? Lo spot? Non è - sia chiaro un problema censorio, è un problema di ecologia della mente». «Io sono uno storico del Seicento e del Settecento, la base della mia ricerca è il documento d'archivio o la letteratura precedente, non quello che viene divulgato oggi attraverso i mass media», dice Diaz. Per questo illuminista radicale, che ha appena pubblicato le memorie L'arida stagione (Mondadori), quello dei mass media è un universo che si contrappone, con la sua voracità, al lavoro paziente e silenzioso dello studioso: «Cosa si può fare? Purtroppo il cinema e la televisione tengono il campo. E' chiaro che una certa influenza la esercitano, io ne vedo qualche rifrazione anche nei miei studenti, ma non nei più bravi». Ma giovedì mattina, all'Università di Torino, Gian Giacomo Migone ha iniziato il corso sulla guerra del Vietnam con due domande agli ottanta studenti che affollavano l'aula: che cosa sapete sul Vietnam? E attraverso quali fonti? «E' venuto fuori che un po' sapevano, anche se confusamente. Ma senza aver letto libri. Le loro fonti erano film, da Bembo a Platoon, da Berretti verdi a Stanley Kubrick, oppure documentari e dibattiti visti in televisione e qualche articolo di terza pagina. Non avevano letto Stanley Karnow né Mary McCarthy, qualcuno aveva ec cezionalmente letto Pierre Salinger. Allora il problema dello storico è di tener conto che si rivolge a un pubblico che è con dizionato da questo bombardamento dei media. Ma sempre lo storico ha dovuto tener conto del tipo di pubblico: quando Edward Gibbon scriveva la sua monumentale Storia della decadenza e caduta dell'impero romano aveva presente l'inglese colto della fine del Settecento. Così lo storico di oggi, nell'impostare il suo lavoro, nella scelta del linguaggio, nella comunicazione, deve avere presente che il suo è un altro pubblico, che non conversa amabilmente ?del passato in una bèlla villa di campagna, sorseggiando un bicchiere di Porto, come i lettori di Gibbon». All'Università di Perugia Piero Melograni tiene un corso sulla storia d'Italia dal 1944 al 1958. «Ma nessuno dei miei studenti mi ha parlato del Triangolo rosso. I condizionamenti dei mass media mi sembrano inferiori oggi rispetto a un recente passato, quando i giovani erano influenzati da una pubblicistica ideologizzata. Hanno meno preconcetti e pregiudizi». Il problema dei condizionamenti, secondo Me lograni, non riguarda lo strumento, ma l'uso che se ne fa Egli utilizza regolarmente videocassette nelle sue lezioni: «Gli studenti hanno bisogno di immagini. D'altronde quando io parlo non mi esprimo forse per immagini? Se le immagini delle videocassette sono false, basta mostrarglielo. Le videocassette sono molto utili per discutere, per analizzare, an che per stimolare il senso criti co». Ma questa storiografia pa r allei a, prodotta dai mass me dia, che cosa rappresenta per 10 storico di professione: una sfida? Un pericolo? Un nemico? Ci si può convivere o bisogna starne lontani? Migone: «Io credo che esista 11 buono e il cattivo. Non possiamo mica improvvisarci storici luddisti contro la tv. Il do cumentario di Nicola Carac ciolo sui 600 giorni di Salò o il Racconto interrotto di Paolo Gobetti sono esempi di ottimi strumenti per la ricostruzione di una memoria storica che non è detto debba essere affidata solo ai libri di gente noio sa come me o Furio Diaz». Melograni: «Io sono favorevole alla compenetrazione tra storici e mass media. Che si debba superare il disprezzo nei confronti dei mass media, che si debba essere capaci di co municare al pubblico televisi vo, è una mia convinzione profonda. In Inghilterra esiste la Open University. E' una università per adulti con centomi la iscritti che comunica altra verso videocassette. Io penso che gli strumenti storiografici visivi e la collaborazione degl" storici nei mass media sono l'avvenire. Soltanto che ci vo gliono sei mesi per preparare una bella lezione visiva, non è semplice come preparare una tradizionale lezione a braccio La storiografia visiva è una fa tica bestiale». Alberto Papuzzi Cinema, tu, giornali: tramonta la ricerca negli archivi? Melograni, Migone, Veca, Diaz: come cambia l'uso dei documenti. Pro e contro il passato scritto con le immagini I MASS MEDIA RIFANNO LA STORIA? dmsdEmcrostol'

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