RITRATTO DI PRIMO LEVI LE DOMANDE DI UNA VITA di Giorgio Manganelli
RITRATTO DI PRIMO LEVI LE DOMANDE DI UNA VITA RITRATTO DI PRIMO LEVI LE DOMANDE DI UNA VITA E. possibile immagiV nare due scrittori M più distanti di Pri* mo Levi e Giorgio Manganelli? L'uno a rincorrere il volto cinico e bugiardo della letteratura, l'altro a tratteggiarne la fisionomia onesta e veritiera; l'uno a ricercare la «taciturna trama di sonore parole», l'altro a dirne di chiare e distinte. Quasi fatale che la differenza sfociasse in una schermaglia polemica. L'episodio è registrato nel libro documentario su Primo Levi, che s'intitola Echi di una voce perduta (Mursia, pp. 364, L. 35.000). Ne sono autori Gabriella Poh e Giorgio Calcagno: più la prima che il secondo, stando alle stesse parole di Calcagno nella bella Prefazione. Gabriella Poh ha frugato negli archivi dei giornali, ha recuperato i nastri registrati di interventi fatti in pubblico dallo scrittore, copie stenografiche di dibattiti, specialmente interviste a periodici, radio, televisione, e ha ordi¬ nato il tutto in un itinerario cronologico-tematico che percorre l'intero arco della vita. Ne è venuto l'autoritratto intellettuale e morale di un uomo che sembrerebbe conservarsi uguale a se stesso attraverso ciò che scrive. Il suo modello di scrittura è il weékly report, il rapportino settimanale che si usa fare nelle fabbriche, così come per Stendhal era il codice civile. E' un'iperbole, ma indica la sobrietà e la concisione, la chiarezza e il rifiuto di una letteratura «satura di sentimento». Levi è contro i retori e i profeti, non ama le qualifiche sospette e di sé avverte: «Io non scrivo'per migliorare l'umanità». In lui c'è la chimica, gran serbatoio di metafore; c'è il piacere dell'avventura insieme con la gioia più* volte dichiarata del raccontare ;'^'è la necessità di comunicare, dr> testimoniare, di parlare, ma anche di ascoltare. C'è infine l'elogio del misurarsi conradiano con la materia, con le cose. E poi la tecnica, le'radici, l'essere torinese, l'essere ebreo. Tutto questo scaturisce dal libro con evidenza, ma ne rappre- senta la parte emersa. Gli autori accompagnano le dichiarazioni con rispetto, non forzano la lettera, riducono il commento a quasi pura didascalia, anche se non restano insensibili alle zone d'ombra e alle spie di un mondo offeso, avvolgente e restio, che resiste a ogni tentativo di pacificazione. Davvero il riserbo, la prudenza, la fermezza, la precisione, il controllo sono i caratteri trasparenti di un tracciato senza strappi? Oppure l'immagine domestica e compatta, mite e colloquiale scivola nell'ambiguità di una maschera scheggiata? Non è un caso che uno delubri più sof¬ ferti di Levi sia I sommersi e i salvati? Vi si parla ordinatamente di un magma che urla ancora, nonostante il potere medicinale della scrittura, ripetutamente riconosciuto fin dalle pagine di Se questo è un uomo e nelle mille testimonianze in proposito. La ragione non serve a rimuovere l'ostacolo ma ad affrontarlo. Il suono inarticolato, la lettera deforme e violata, l'esplosione viscerale della parola possono suggerire che la confusione prevale sull'ordine e la morte indecente sulla vita, ma non possono offrire le chiavi di un'interpretazione: restano un conglomerato brulicante di schegge e tocca all'arte, o più umilmente al mestiere, ricavare «un organismo da un coacervo». Le poesie di Ad ora incerta andranno indagate più a fondo di quanto non sia stato fatto finora; così come andrà indagata meglio l'antologia La ricerca delle radici, che s'incardina esemplarmente tra due poli negativi: da un lato la maledizione di Giobbe, vittima di una scommessa crudele, schiacciato dall'onnipotenza di un Dio «creatore di meraviglie e di mostri»; dall'altro la sconvolgente parabola dei buchi neri e la solitudine sempre più immedicabile dell'uomo sospeso in un «universo ostile, violento». Le tante interviste qui utilmente raccolte e ordinate suggeriscono con discrezione che è necessario non limitarsi alla ferma trasparenza delle parole così simili a quelle «frenate, educate, precise e prive d'enfasi», che Levi riconosce ai moderni cantori di una tecnologia «a misura d'uomo». Anche Libertino Faussone, il protagonista della Chiave a stella, dice al suo interlocutore: «Guardi, lei lo sa che a me le parole grosse non mi piacciono». Levi parla chiaro, ma è uno scrittore difficile. Il suo segreto resiste ben oltre quella tomba «all'ombra di due aceri rossi», che la Poh e Calcagno ricordano con tratto gentile. Resta anche nelle opere e negli echi della voce perduta che tuttavia nelle interviste del libro accade nitidamente di risentire. Giovanni Testo Primo Levi; esce da Mursia «Echi di una voce perduta» a cura diG. Poli e G. Calcagno
Persone citate: Calcagno, Faussone, Gabriella Poh, Giobbe, Giorgio Calcagno, Giovanni Testo, Primo Levi
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