Gli intrighi del turco

Gli intrighi del turco Gli intrighi del turco EU opera di piraterìa letteraria, anche se con ottimi risultati, quella che tra il 1691 e il 1694 fece emergere dai torchi di una tipografia londinese la sterminata e definitiva edizione di The Turkish Spy, bestseller del 700. Se della prima «risma» di lettere, perché si tratta di un romanzo epistolare, l'autore è noto - il genovese Gian Paolo Marana -, alla stesura degli otto tomi conclusivi si può solo supporre abbiano posto mano uno o più scrittori inglesi: buoni conoscitori di Shakespeare e di profezie legate al sovrano del loro Paese. La prima lettera è del 1637. Mahmut, il protagonista, è a Parigi, dove ha assunto il nome di Tito di Moldavia. Si spaccia per cristiano e, fin dalle righe iniziali, comincia il rosario delle sue lamentazioni. E' un ipocondriaco, malato di corpo e di spirito, attanagliato dalla malinconia per il forzato esilio e per doversi fingere «adepto» di un Dio che non è il «vero». Mahmut è inviato della Sublime Porta nell'epoca in cui Costantinopoli è al suo apogeo. Come altri emissari - a Venezia, a Vienna - raccoglie e trasmette informazioni su qualunque cosa di rilievo passi nelle corti cristiane. Rimarrà in cattività, in quella città che odia, per 45 anni. The Turkish Spy è una dotta storia di spionaggio, un amalgama di racconti nel racconto di cui si serve il protagonista per trattare pressoché tutti i temi più dibattuti dell'epoca. E', quindi, al tempo stesso, un romanzo psicologico, un romanzo esotico, un viaggio filosofico. Quel che sorprende è il risultato dell'«impasto». Lo stesso Gian Carlo Roscioni giunge a concludere: l'Oriente che ne traspare è meno «di cartapesta» di quello delle Lettres persanes. Della spy story ci sono tutti gli ingredienti, pur mal dosati e dispersi in un fiume di parole. Mahmut è progressivamente stretto in una morsa, in parte psicologica, in parte reale: subisce perquisizioni da cui si salva spacciandosi per mercante ebreo; viene riconosciuto per strada, inquisito e alla fine riabilitato per intercessione di un frate; conduce un gioco pericoloso nelle stanze del potere francese, ma ne esce sano e salvo. E' di aspetto repellente, ma non sfugge ad una love-story. Qualche tempo dopo viene sfidato per strada e costretto ad affondare lo spadino tra le costole dell'aggressore. Un episodio che lo tormenterà per anni: solo molto più tardi scoprirà di aver, con quell'atto, reso vedova la sua amante. - Ma Mahmut è soprattutto un intellettuale. Esplora i meandri delle origini dell'uomo. E' attratto dalla filosofia indiana, dall'ermetismo egiziano, dalla cabbala. Dopo l'incontro con l'ebreo errante sembra per un attimo affascinato dal Dio di Israele; è sulle tracce delle dieci tribù perdute, ma all'entusiasmo subentra un nuovo scetticismo. E viaggia, viaggia con la fantasia prendendo spunto da relazioni del fratello e di altri corrispondenti. Tra mille riflessioni, la morsa si stringe sempre più attorno a lui. Il suo spirito è bacato, le sue certezze, pur minime, sono ormai definitivamente compromesse. L'ansia per l'imminente morte violenta lo soffoca. La sparizione dello spione turco a Vienna gli dà la misura di quanto sia precaria la sua vita. Morirà, come tutti i doppiogiochisti, di morte violenta. E, per una strana coincidenza, con la sua morte inizierà anche il declino inarrestabile dell'Impero ottomano. Pier Luigi Vercesi

Persone citate: Gian Carlo Roscioni, Gian Paolo Marana, Pier Luigi Vercesi, Shakespeare

Luoghi citati: Costantinopoli, Israele, Moldavia, Parigi, Venezia, Vienna