Date a Cesare Irpef e llor

Date a Cesare Irpef e Ilor Tasse, inflazione 2000 anni fa Date a Cesare Irpef e Ilor ]L più recente volume della grande Storia di Roma Einaudi, dedicato a L'impero mediterraneo: i principi e il mondo, offre l'occasione per un «check up» anche empirico assai istruttivo oltreché curioso, su questioni non di ideologie o di culture ma del concreto quotidiano: di quando lo Stato batte cassa, o c'è cattiva congiuntura, o la moneta va a rotoli. Il periodo in esame è quello di due millenni fa, che abbraccia i primi due secoli dell'era moderna, da Augusto ai Severi: dall'esordio cioè di quel principato che fu anch'esso, come dice Emilio Gabba, «un sistema senza alternativa» nonostante le contestazioni dei ceti alti: e fino ai brividi del suo, alla fine, pur inevitabile tramonto. Territorialmente comprende tutto il mondo conosciuto: dalla Scozia all'Africa settentrionale, dall'Atlantico al vicino Oriente, tutti vi sono dentro. Incominciamo col capitolo (di E. Lo Cascio) dedicato alle «tecniche di amministrazione»; osserviamo che cosa avviene nella macchina fiscale e come venga regolata. Fisco rapace sui terreni Uno scrittore di agronomia racconta che i proprietari nelle province romane posseggono i lóro terreni «quasi solo per trarne di che pagare il fisco»; il quale disponeva di ben poche altre fonti di reddito, al di fuori di quello fondiario dei provinciali (solo i provinciali pagavano le imposte dirette, in cambio della sicurezza che lo Stato romano garantiva loro, «Law and order»). Scomparve durante l'impero la figura odiosa dell'appaltatore, ma il sistema rimase quello palesemente iniquo di una tassazione non progressiva, fondata su una dichiarazione personale del contribuente, detta «professio» e relativa ai suoi possedimenti, con molti dettagli: ubicazione, dimensioni, coltivazioni: se seminativo, a grano tenero, a grano duro, oppure a vigneto, soprattutto in Gallia, a oliveto, in Spagna e sulla Costa Azzurra, ad allevamento di bestiame, prevalentemente ovino. Oltre all'Ilor (l'imposta veniva raccolta dalle comunità locali, che ne rispondevano presso il fisco centrale), chi non era cittadino romano soggiaceva anche a una tassazione personale, un'Irpef o forse una «poli tax», a cui si aggiungevano altri balzelli, quale il 5 per cento sui passaggi ereditari fra estranei e un'Iva dell'I per cento sulle vendite all'asta. C'era di che star tranquilli invece a Roma, dove risiedeva il governo centrale? Sì e no. Le spese dello Stato, soprattutto quelle militari, erano ingenti e le crisi economiche e monetarie a cicli ricorrenti. Essendo il sistema fiscale assai rigido (sappiamo che solo un imperatore, Vespasiano, riuscì ad aumentarne le aliquote), le difficoltà di bilancio venivano fronteggiate soprattutto con la classica manovra della svalutazione monetaria. Il sistema monetario romano si fondava sul denario, composto d'argento, e sull'aureo (le sabbie aurifere dei fiumi elvetici fecero già allora la fortuna della Svizzera), in rapporto di valore fra loro di 1 a 25. Bastava aumentare la presenza del metallo vile nella moneta per riuscire a coniarne di più a costi minori. Il saggio Marco Aurelio ricorre anch'egli a questa misura, e suo figlio Commodo riduce ulteriormente l'argento nel denario, che si deprezza di un 20 per cento rispetto a cinquantanni prima. I prezzi s'impennano. Commodo emana un calmiere, che rimane lettera morta o ha l'effetto d'impoverire ulteriormente il mercato, già scarso per difetto di mano d'opera nelle campagne a seguito di un forte calo demografico. Il suo fugace successore Pertinace deve intervenire drasticamente: taglia a fondo la spesa pubblica, procede alla vendita di beni di proprietà dello Stato e alla reintroduzione di metallo pregiato nel denario, chiaramente sopravvalutato rispetto al suo valore intrinseco. Quanto all'aureo, il suo valore era talmente elevato che la maggioranza dei salariati aveva scarse probabilità di vederne qualcuno nella busta paga nel corso dell'intera sua vita. L'ostinato Pertinace non rimane sul trono che tre mesi. Eletto suo malgrado dai pretoriani il 31 dicembre del 192, il 28 marzo successivo quegli stessi pretoriani lo ammazzano e mettono il trono all'asta, aggiudicandolo a Didio Giuliano per 25 mila sesterzi a testa, per ciascuno dei suoi elettori. Solo un anno dopo, la nuova dinastia militare dei Severi contrae nuovamente e drasticamente al 50 per cento la proporzione dell'argento nel denario: segno e conseguenza, forse, di un dissesto finanziario e di una congiuntura inflazionistica rovinosa, o forse viceversa, di un vistoso incremento produttivo che imponeva alla zecca un'attività frenetica per immettere sul mercato nuova moneta... L'economista si esercita su questi dati, e può ricavarne molte lezioni, anche contrastanti ma prodigiosamente non inutili a tanta distanza di tempo. La cautela va esercitata però sulle enormi differenze di condizioni, del complesso e del singolo: tanto che non è nemmeno facile, anzi è questione quasi insolubile, quella.di stabilire esattamente il valore d'acquisto della moneta e il tenore di vita permesso da redditi e salari, pur ben noti grazie alle fonti storiche e ai documenti privati, conservati e restituiti soprattutto dalle sabbie dei deserti africani. Burocrazia e bustarelle. Ma anche l'uomo comune può fare considerazioni proprie e trova, se non equivalenze, certamente una consolazione dai confronti, quando legge che un funzionario statale continuò a percepire per duecento anni lo stesso stipendio nonostante l'inflazione lenta ma inesorabile; e che i soldati vennero via via pagati più in natura che in quattrini, poiché i quattrini valevano sempre meno e le merci costavano sempre più. I primi, gli impiegati statali, erano relativamente pochi, infinitamente più pochi che nell'apparato burocratico del contemporaneo impero cinese, e già istituzionalmente mal pagati, se non nei gradi alti, a cui si accedeva perlopiù grazie a rapporti di amicizie personali; perciò si salvarono grazie alla corruzione e alla legalizzazione di privilegi e fuori busta, nonché di bustarelle. A loro volta i secondi, i militari, godettero periodicamente di donativi, in occasione dei ricambi sempre più frequenti, e si può capirlo, dei principi. Cario Carena

Persone citate: Commodo, Einaudi, Emilio Gabba, Gallia, Lo Cascio, Severi

Luoghi citati: Didio Giuliano, Roma, Scozia, Spagna, Svizzera