Brescia esclude Carli, lite nella dc

Brescia esclude Carli, lite nella dc Non c'è posto per il ministro, il presidente attacca i «cannibali» della Lombardia Brescia esclude Carli, lite nella dc Andreotti: dovevano combinarci anche questa ROMA. E alla fine ci ha pensato Giulio Andreotti a dire basta ai «piranha» della de lombarda. Il presidente del Consiglio ha perso la pazienza ieri mattina, quando ha saputo nella riunione dell'ufficio politico che la de bresciana aveva privato del suo collegio senatoriale anche il ministro del Tesoro Guido Carli. «Ma insomma - è sbottato, fissando negli occhi Arnaldo Forlani e sotto gli sguardi d'assenso di Antonio Gava e Ciriaco De Mita - con tutti i problemi che ci hanno combinato, a Brescia, adesso anche questa... Non lo so, ma ditemi voi se è possibile che ci si comporti in questo modo nei confronti di un uomo che siamo stati noi a chiamare in campo in un momento difficile, perché era l'unico che ci potesse far arrivare decentemente all'appuntamento di Maastricht...». Prima Mino Martinazzoli, uno dei capi della sinistra interna, che annuncia il suo ritiro dalla politica in seguito alla bagarre per le liste elettorali. Poi, il sottosegretario Gilberto Bonalumi privato del suo collegio e, ieri, il «caso Carli». La de bresciana sembra proprio nella tempesta. E anche se alla fine l'appello di Francesco Cossiga e degli altri capi de («gli suoneremo lo zufolo per convincerlo» è stata la battuta di Amintore Fanfani) faranno ritornare Martinazzoli sulle sue posizioni; se con ogni probabilità Bonalumi riuscirà ad avere il suo posto e Guido Carli sarà candidato in un collegio sicuro a Genova, anche in questa occasione l'immagine della de lombarda uscirà nuovamente compromessa. In questi tre giorni di manovre, trattative sotterranee e di scambi che hanno fatto da sfondo all'approvazione delle liste elettorali a piazza del Gesù, lo scontro tra le diverse fazioni della de lombarda, tra seguaci di Martinazzoli, di Prandini e di altri, è stato affrontato, accantonato e ripreso più volte nelle continue riunioni dei capi de. La caparbietà con cui i dirigenti locali hanno fatto di tutto per non trovare un accordo, può essere paragonata per intensità solo alla costanza con cui in questi giorni il colonnello dei carabinieri, Filipponi, ha passeggiato nel cortile di piazza del Gesù per sapere se sarà candidato o no in Umbria, o alla trepida attesa che sta logorando i nervi dei due ex senatori della sinistra indipendente Adriano Ossicini e Boris Ulianich che sono ancora all'oscuro del loro destino nelle liste di piazza del Gesù. Gli altri democristiani assistono quasi impotenti, meravigliati semmai dal fatto che a dare questo spettacolo siano proprio loro, i lombardi, quelli che più degli altri de sono sottoposti all'insidiosa concorrenza delle Leghe. «Il problema - è l'analisi spietata di Giampaolo D'Andrea, il coordinatore degli uffici di lavoro della de - è di classe dirigente. Purtroppo non sono più i tempi di Marcora, e le difficoltà per noi in quella regione nascono dagli uomini che abbiamo. Prandini si salva, ma il segretario di Brescia è un cialtrone. Anche Martinazzoli non si discute, ma i suoi, a dir poco, sono faziosi. Così alla fine quando c'è da scegliere i candidati la de lombarda dimentica di difendere l'immagine del partito e si dedica al cannibalismo». Cannibalismo: certo l'espressione è pesante ma che dire di un Martinazzoli che è costretto a minacciare le dimissioni per farsi rispettare? E del siluramento alle spalle di cui è stato oggetto Guido Carli, che ancora ieri giurava di non saperne niente? «La verità - spiega il siciliano Rino Nicolosi - è che i de in Lombardia sono una razza in estinzione. In questi giorni in direzione a guardarli affannarsi in trattative e scontri ho avuto proprio l'immagine della nave che affonda e tutti corrono impazziti al grido si salvi chi può». «Già - ammette crudo Vittorio Sbardella - sono cose che capitano quando non si hanno più i voti...». Sembra quasi di assistere alla rivincita della de meridionale, contro l'aristocratica de del Nord. E queir «adesso basta» di Giulio Andreotti è quasi un richiamo rivolto a tutti: a quel Gianni Prandini che all'im¬ provviso da senatore si è messo in testa di diventare deputato, solo per togliere a Martinazzoli il posto di capolista a Brescia; ma forse anche allo stesso Martinazzoli, troppo incline a salire sull'Aventino. Ora, come già avvenne per le elezioni del Comune di Brescia, tutto è nelle mani di Forlani, Gava, Andreotti, De Mita. In quell'occasione tutti pensarono di aver toccato il fondo, tali furono gli insulti che si scambiarono Martinazzoli e Prandini. Ma a quanto pare quella valutazione era ottimistica, se anche un ottantenne con un nome di rango come Guido Carli è stato costretto a emigrare a Genova per non rimetterci le penne. [au. min.] Martinazzoli «Mi ritiro» Ma Cossiga insiste «C'è bisogno di te» Guido Carli A destra Giovanni Prandini con Giulio Andreotti Mino Martinazzoli ha deciso di non candidarsi per Il 5 aprile

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