Processo al filosofo Fu ideologo nazi? di Osvaldo Guerrieri

Processo al filosofo Fu ideologo nazi? All'Adua «Sit Venia Verbo» di Deutsch Processo al filosofo Fu ideologo nazi? .ii ut Br.rr ;oiv ' f TORINO. Per tre soli giorni è andato in scena all'Adua, con il patrocinio del Centre Culturel Francais, «Sit venia verbo», dramma di Michel Deutsch tradotto da Gabriella Bosco con la consulenza letteraria di Guido Davico Bonino e allestito da Gianfranco Varetto per la compagnia Diritto e Rovescio. E' la prima volta che un testo di Deutsch viene messo in scena nel nostro Paese. Deutsch, nato a Strasburgo nel 1948, è uno dei più autorevoli rappresentanti del cosiddetto «théàtre du cotidien», un movimento che, a dispetto del nome, non intende riprodurre la realtà quotidiana. Al contrario, cerca di teatralizzare ciò che, generalmente, sfugge al teatro: gesti e parole considerati naturali o insignificanti, ma dai quali è possibile dedurre una «ideologia del reale». Deutsch applicò questi principii già nel 1975, con «La bonne vie». Quando, nel 1980, collaborò con JeanPierre Vincent al Théàtre National de Strasbourg, precisò la sua linea poetica. Al regista, che cercava di trasformare il Tns in un organismo somigliante alla Schaubùhne di Peter Stein, Deutsch fornì un copione in qualche modo rivoluzionario. Era «Convois», un testo che nasceva da un collage di discorsi. L'esempio di Botho Strauss non è lontanissimo da questa concezione drammaturgica. La sua eco è percepibile anche in «Sit venia verbo», rappresentato per la prima volta nel 1988 con la regia dello stesso Deutsch. Ma anche Thomas Bernhard non sembra estraneo a questo dramma sulla colpa individuale e collettiva. E' assolutamente bernhardiano il lun¬ go monologo iniziale del protagonista, il filosofo Erwin Meister, che, dopo la sconfitta della Germania, è tenuto prigioniero in un teatro, in attesa di un processo che dovrà valutare le sue responsabilità ideologiche circa l'affermarsi del nazismo. Nel frattempo Meister è interrogato da un suo ex allievo, Wolfgang Lerner, tornato in Germania con gli Alleati dopo un decennio di autoesilio americano. Su quel palcoscenico-prigione s'aggira anche una donna, la signora Gottlieb, che dovrebbe spiare l'illustre prigioniero, ma ne diviene la confidente. In «Sit venia verbo» non importa ciò che accade, ma come accade. E' tipico del «théàtre du cotidien» preferire alle situazioni il dialogo, per cui è irrilevante che il filosofo venga assolto e reintegrato nel suo incarico universitario e che il suo carceriere finisca suicida qualche anno dopo (anche gli innocenti hanno rimorsi). Conta, invece, la schermaglia verbale, che è certamente un mezzo di conoscenza, ma è anche uno strumento per concedersi e per negarsi. C'è dunque molta ambiguità in questo testo che Varetto affronta anche da protagonista con una magnifica concentrazione, con un'ironia che lacera continuamente il guscio delle apparenze e delle possibilità. Un bel pezzo di bravura, che offusca la pur corretta interpretazione di Alessandra Mida e di Massimo Pedroni. Alla recita cui abbiamo assistito, pubblico attentissimo ma desolatamente scarso. Speriamo che le repliche romane siano più fortunate. Lo meritano. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Germania, Strasburgo, Torino